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 2025  aprile 08 Martedì calendario

Il governo studia uno scudo da sei miliardi con fondi Pnrr

E ora Giorgia Meloni deve sperare che la visita a Washington non si trasformi in un gigantesco inciampo. Sicuramente il tempismo non ha aiutato la premier: se sarà confermata la data, entrerà alla Casa Bianca il 16 aprile, meno di 24 ore dopo l’avvio dei primi controdazi stabiliti dall’Unione europea come ritorsione contro le tariffe di Donald Trump. Difficile che l’imprevedibile presidente americano non faccia un riferimento in pubblico, nello Studio Ovale o in conferenza stampa, alla mossa degli europei. L’imbarazzo di Meloni lo raccontano i retroscena dell’incontro dei ministri del Commercio estero – per l’Italia presente il titolare degli Esteri Antonio Tajani. Il governo ha provato a rinviare di due settimane (il 30 aprile) l’entrata in vigore dei dazi Ue proprio per sminare il faccia a faccia tra la presidente del Consiglio e Trump. Ma non c’è stato niente da fare.
Ora a Meloni tocca dimostrare se la sua affinità personale e ideologica con il leader repubblicano potrà davvero essere una leva utile per i negoziati comunitari. Lo smarrimento di queste ore è negli occhi dei fedelissimi che riportano il pensiero della premier: «Ho il dovere di provarci comunque» è la frase che ripete a chiunque le esprima il pessimismo di fronte al crollo dei mercati mondiali.
Anche se non c’è grande speranza all’orizzonte, nella nota di fine vertice Palazzo Chigi ha ribadito che «l’allarmismo rischia di causare danni ben maggiori di quelli strettamente connessi con i dazi». I tentativi di rassicurare per via mediatica sono serviti a prendere tempo. Questa è la settimana in cui il governo entrerà più nello specifico su come attrezzarsi per proteggere le imprese e su dove intervenire. Ieri c’è stata la prima riunione della task force governativa: erano presenti Meloni, Tajani, Matteo Salvini e i ministri direttamente interessati, Giancarlo Giorgetti (Economia), Francesco Lollobrigida (Agricoltura), Adolfo Urso (Made in Italy), Tommaso Foti (Affari Ue), assieme al sottosegretario della presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Ognuno di loro ha analizzato l’impatto potenziale sui singoli settori, illustrando anche le diverse ipotesi allo studio per sostenere le filiere produttive. A preoccupare maggiormente, spiegano da Fratelli d’Italia, è l’agroalimentare. Più in generale, però, si è discusso di quale soluzioni mettere in campo. Oggi, il confronto con le categorie produttive consentirà anche di ragionare sulla fattibilità di alcune proposte. Una delle ipotesi che circola molto in ambienti di governo è quella suggerita da Confindustria: aprire all’utilizzo di parte delle risorse del Pnrr. Si punta ai soldi di Transizione 5. 0, poco meno di 6 miliardi di euro, che altrimenti l’Italia difficilmente sarà in grado di utilizzare per il 2026, come previsto dalle regole del Piano. Un fondo di aiuto e compensazione alle imprese potrebbe essere integrato da altri soldi del Pnrr dirottati strategicamente ai fondi di Coesione (che hanno una scadenza nel 2029). Il tutto potrebbe arrivare a poco meno di dieci miliardi di euro. Ovviamente le modifiche di destinazione andrebbero negoziate con Bruxelles.
Dopo la riunione con i ministri, c’è stato un vertice ristretto a tre tra Meloni, Tajani e Salvini. Ed è stato in quel momento che è emersa come prevalente la convinzione di non poter fare altro che restare allineati alle decisioni dell’Ue, una linea da sempre sostenuta dal capo della Farnesina e completamente avversata da Salvini. Da quanto risulta, però, i toni del segretario leghista sono stati molto meno assertivi contro l’Unione di quelli mostrati in pubblico. Meloni considera il viaggio da Trump un’occasione per tentare di arrivare a un compromesso, negoziando accordi vantaggiosi per entrambi, Usa e Ue: l’obiettivo sarebbe convincere il tycoon a essere più collaborativo, mostrando – in cambio – il volto del governo politicamente più amico in Europa.
La premier pensa di avere qualche carta da giocare. Per esempio chiederà a Bruxelles di intervenire «sulle regole ideologiche e poco condivisibili del Green Deal» e sulle semplificazioni burocratiche. Due ambiti che possono favorire un maggiore ingresso delle imprese Usa in Europa. «Servono determinazione e pragmatismo. Va evitata una guerra commerciale – continuano a ripetere, pur nelle loro differenze, i leader della maggioranza – perché non avvantaggerebbe nessuno, né Stati Uniti né Ue».