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 2025  aprile 08 Martedì calendario

L’oro scivola sotto 3mila dollari: perché i fondi adesso vendono

Oro bene rifugio, ma solo finché non arrivano tempeste come quella scatenata dal Liberation Day. Con le piazze finanziarie travolte dall’annuncio dei dazi Usa e dall’immediata ritorsione cinese, anche il lingotto è finito nel mirino di forti vendite, che lunedì 7 l’hanno fatto scivolare sotto 3mila dollari l’oncia, fino a 2.956 dollari sul mercato spot londinese, minimo da un mese. Il record storico, di pochi giorni fa, è 3.167,57 dollari.
In una giornata con altissimi livelli di volatilità, la soglia psicologica e tecnica dei 3mila dollari è stata testata più di una volta e ha resistito a lungo, con risalite anche di 80 dollari nel giro di mezz’ora. Poi la capitolazione, con un ulteriore ribasso di oltre il 2% per il lingotto dopo il -3% di venerdì 4 aprile: perdite eccezionali per il metallo prezioso, che molto raramente (perlomeno in tempi “normali”) registra variazioni di prezzo così ampie.
I ribassi degli ultimi giorni replicano del resto uno schema tipico dei periodi di peggiore bufera sui mercati, come quello provocato nel 2020 dal diffondersi del Covid e prima ancora da altri shock, ad esempio dopo l’attacco alle Torri gemelle nel settembre 2001, durante la grande crisi finanziaria provocata dal crac di Lehman Brothers nel 2008, o all’apice la crisi del debito sovrano europeo nel 2011.
Quando tutto crolla, si cerca di fare cassa come si può. Ed è quel che è successo anche in questi giorni. L’oro – che non solo è un asset molto liquido, ma ha anche generato ricche plusvalenze – è stato venduto da molti investitori per ripianare perdite su altri fronti, o per riuscire a rispondere alle margin call: richieste di integrazione dei margini di garanzia necessari per continuare ad operare sui mercati, che dopo il Liberation Day sono state davvero ingenti.
«Molte grandi banche hanno trasmesso ai clienti le maggiori margin call dagli inizi della pandemia nel 2020», riferiscono fonti del Financial Times. In prima linea gli hedge funds, costretti a battere in ritirata, spesso anche riducendo l’esposizione complessiva.
Per i fondi Usa long/short (che possono guadagnare anche dai ribassi) la giornata di giovedì 3 aprile, all’indomani dello show di Trump nel giardino della Casa Bianca, è stata la peggiore da 9 anni secondo Morgan Stanley, con una perdita media del 2,6%, che avrebbe potuto essere ancora più pesante se non ci fossero state rapide liquidazioni di asset, che hanno ridotto la leva netta dei fondi stessi al 42% (il minimo da 18 mesi).
L’oro è stato vittima di questi fenomeni. In più si sono avviate altre dinamiche, legate anch’esse all’annuncio ai dazi Usa. La Casa Bianca ha finalmente chiarito che gli Usa non intendono imporre dazi sull’oro né sugli altri metalli preziosi. E questo sta facendo chiudere l’anomalo divario di prezzo che si era creato tra le due sponde dell’Oceano Atlantico.
Al Comex di New York il lingotto era arrivato a valere oltre 60 dollari l’oncia in più che a Londra, incoraggiando enormi spedizioni di metallo verso gli Usa. Adesso lo spread si è ridotto a meno di 20 dollari (l’oro a New York lunedì 7 in serata scambiava intorno a 2.985 $/oncia) e dovrebbe continuare a diminuire, verso livelli normali, sotto 10 dollari.
«Ora vedremo quanto i prezzi dell’oro fossero guidati dallo scollamento tra New York e Londra», commenta Nicky Shiels, strategist di MKS Pamp: se questo fattore era un driver importante, allora è possibile che le vendite proseguano (quanto meno al Comex). Quando Trump ha vinto le elezioni Usa, nel novembre 2024, l’oro scambiava intorno a 2.600 dollari l’oncia sia a Londra che a New York.
Il rally ha comunque buone probabilità di riprendere, una volta che la furia sui mercati si sarà placata. Gli analisti si proclamano per la maggior parte rialzisti. E il caos provocato da dazi e controdazi ha addirittura incoraggiato Deutsche Bank ad alzare proprio lunedì 7 le previsioni di prezzo, a una media di 3.139 $/oncia nel 2025 e ben 3.700 $ nel 2026 (dai precedenti target di 2.725 $ e 2.900 $ rispettivamente).
Goldman Sachs ha invece confermato il traguardo di 3.300 $/oncia a fine anno, affermando che la sua convinzione sulla traiettoria al rialzo del lingotto si è ulteriormente rafforzata e consigliando di approfittare degli attuali ribassi per comprare.
Per molti analisti un fattore centrale a sostegno dell’oro resterà il processo di dedollarizzazione, già in atto da qualche anno, che in prospettiva si intensificherà. A conferma dell’interesse delle banche centrali a diversificare verso il lingotto, la Cina lunedì 7 ha comunicato un ulteriore aumento delle riserve auree in marzo, per il quinto mese consecutivo. Con i prezzi record gli acquisti sono stati relativamente moderati (3 tonnellate), tuttavia – come fa notare BMO Capital Markets – «sul totale delle riserve cinesi l’oro ha raggiunto la quota record del 6,5% (in dollari), dal 6% del mese precedente e dal 4,6% di un anno prima»