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 2025  aprile 08 Martedì calendario

Partiti da Israele 16 aerei con i gazawi. «Il numero aumenterà»

Le indiscrezioni erano cominciate all’indomani del 23 marzo quando il gabinetto di sicurezza israeliano aveva approvato la creazione di un ufficio per gestire i «trasferimenti volontari» da Gaza. Nelle ultime due settimane, più volte, si era parlato di partenze di gruppi di cittadini dalla Striscia. Ieri, la conferma è arrivata dal ministro degli Interni, Moshe Arbel. Dall’aeroporto di Ramon, vicino ad Eliat, nel sud di Israele, ha ribadito che finora sono decollati dallo scalo sedici voli con a bordo gazawi diretti verso Germania, Romania ed Emirati Arabi. «Il numero aumenterà nel prossimo futuro», ha aggiunto Arbel. Arrivata nel giorno del viaggio a Washington del premier Benjamin Netanyahu, la notizia ha suscitato preoccupazione da parte di alcuni Stati arabi che la considerano l’inizio di una migrazione di massa dall’enclave, in accordo con il cosiddetto “piano Riviera” di Donald Trump. Da qui, la precisazione di Berlino. Il ministero degli Esteri tedesco ha smentito di aver partecipato a un processo di ricollocamento. Si è trattato – ha puntualizzato – di un ricongiungimento familiare di 19 gazawi con doppia cittadinanza. A creare allarme, inoltre, l’intensificarsi dei raid e degli sfollamenti all’interno dell’enclave. Dalla ripresa dei combattimenti, il 18 marzo, secondo l’Ufficio Onu per gli affari umanitari (Ocha), il 65 per cento della superficie di Gaza è sotto controllo israeliano o è oggetto di un ordine di evacuazione: almeno 400mila persone sono state sfollate, ha aggiunto il portavoce del segretario generale, Stephane Dujarric. Ieri l’esercito ha intensificato la pressione sulla parte centrale dell’enclave, in risposta a un lancio di dieci razzi da parte di Hamas sulle città di Ashkelon e Ashdod. L’azione del gruppo armaLa settimana scorsa, Israele aveva annunciato la creazione di una “zona di sicurezza” intorno ai confini dell’enclave. La costruzione di torrette di guardia e delle prime infrastrutture sarebbe effettivamente cominciata, sostengono fonti locali. E i palestinesi temono che la presenza di Tel Aviv diventi permanente. Tanto più che il nodo dell’amministrazione della Striscia nel dopoguerra non è stato ancora sciolto. Se la comunità internazionale concorda sull’estromissione di Hamas dal governo, su chi debba occupare quest’ultimo le posizioni divergono. In particolare, l’ultradestra israeliana preme per la rioccupazione e dal governo Netanyahu arrivano segnali ambigui.
Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha ribadito, in una dichiarazione congiunta con l’egiziano Abdel Fatah al-Sisi e il re Abdallah di Giordania, al termine del vertice del Cairo, che Gaza deve essere guidata dall’Autorità nazionale palestinese (Anp). Un’affermazione in linea con il piano proposto dalla Lega Araba il 4 marzo che i tre leader hanno ribadito in una telefonata a quattro con Donald Trimp. L’Egitto, intanto, ha presentato una nuova ipotesi per mettere fine alla nuova fase dell’offensiva. La bozza prevede il rilascio di otto ostaggi da parte di Hamas in cambio di un cessate il fuoco di 4070 giorni. I negoziati, però, vanno avanti a rilento. E gli scontri vanno avanti sanguinosi, con un bilanci di quasi 1.400 vittime – tra cui 490 bambini – in venti giorni, secondo i numeri del ministero della Sanità, controllato dal gruppo armato: 57 nelle ultime 24 ore. Ieri, un raid ha colpito una tenda utilizzata dagli operatori dei media all’interno del complesso dell’ospedale di Khan Yunis, uccidendo un giornalista, il numero 210 dall’inizio del conflitto. Altri nove reporter sono rimasti feriti. Tra questi Hassan Aslih che, secondo l’esercito israealiano, era un miliziano di Hamas, per cui aveva filmato in presa diretta le atrocità del 7 ottobre. Il gruppo armato ha smentito. A creare ulteriori polemiche è la ricostruzione della morte di quindici soccorritori da parte dei militari di Tel Aviv lo scorso 23 marzo. In un primo tempo, l’esercito aveva detto che i tre veicoli su cui viaggiavano erano privi di segnali identificativi. Una versione smentita da un video diffuso sabato dal New York Times. Il presidente della Mezzaluna Rossa palestinese, Yunis al-Khatib, di cui gli operatori erano parte, sostiene che le forze armate israeliane abbiano sparato «con l’intento di uccidere». Dopo avere ammesso che i lampeggianti e le sirene erano affettivamente in funzione, queste ultime dicono di avere agito in base a «un senso di minaccia». In ogni caso, il capo di stato maggiore, Eyal Zamir, ha annunciato «un’indagine approfondita» sull’accaduto.