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 2025  aprile 07 Lunedì calendario

La risposta europea ai dazi di Trump: occorre una tassa al 12,5% sui servizi

Nel 1930 gli Stati Uniti varavano lo Smoot-Hawley Tariff Act, con tariffe medie del 20%: quel provvedimento contribuì a far precipitare il mondo nella Grande Depressione per i tre anni successivi, sia pur imponendo tariffe in media più basse di quelle promulgate da Trump durante il suo Liberation Day.
La risposta europea
Come dovrebbe dunque rispondere l’Europa al più grande shock protezionista registrato da quasi cento anni? Con una reazione serena, compatta, e determinata, prendendo a prestito l’ottima formula sintetizzata dal presidente Mattarella. Serena, ricordando che l’Europa è stata colpita da tariffe del 20%. Una decisione che se fosse stata limitata alla sola Unione avrebbe probabilmente portato ad un calo del Pil continentale di 0,3 decimi di Pil nel 2025, nelle stime della Bce, ma che sicuramente produrrà un calo più marcato, verosimilmente aggiungendo altri tre decimi al calo della crescita, poiché i dazi vanno a colpire tutti i paesi del mondo, con impatti significativi sull’economia globale. Questo produrrà una crescita quasi nulla per l’Eurozona nel 2025, ma non necessariamente una recessione. Effetti simili si avranno per l’Italia, con una situazione che nel 2026 poi andrà a migliorare. Da un lato, perché l’effettivo impatto negativo dei dazi sul mercato americano sarà tutto da verificare: non è ovvio che un dazio del 20% riduca la domanda per lo stesso ammontare, soprattutto se si tratta di un prodotto di qualità, o con poche vere alternative, come la gran parte dei prodotti italiani esportati negli Usa. Dall’altro perché l’Europa, e l’Italia in particolare, è un esportatore molto diversificato. L’ultimo rapporto sulla competitività Istat del 2024 ci racconta che un quarto del totale delle imprese esportatrici italiane, concentrate prevalentemente nelle regioni settentrionali e con un alto grado di partecipazione alle catene globali del valore, genera il novanta per cento dell’export. Queste aziende sono molto in grado di differenziare i loro mercati di sbocco, tant’è che l’Italia negli ultimi due anni sta guadagnando crescenti quote di mercato in nuovi paesi emergenti a medio reddito. Un trend che potrà sicuramente continuare nel momento in cui toccherà diversificare i mercati da quello americano.
Compatta, nel senso che i dazi colpiscono tutti i paesi e tutti i prodotti europei, con la sola eccezione della farmaceutica (in quanto gli Usa dipendono quasi totalmente dai nostri input per il funzionamento del loro sistema sanitario). Questo implica che non c’è spazio, né incentivo politico, per una risposta asimmetrica in cui alcuni paesi Ue tentano la strada di una trattativa bilaterale con il governo americano, nonostante le diverse affinità politiche. Né del resto tale strada bilaterale avrebbe vita facile all’interno delle regole comunitarie: la politica commerciale, incluse le decisioni su eventuali dazi compensativi, sono prese a maggioranza qualificata da parte degli Stati membri, su proposta della Commissione. Dunque a meno di trovare una coalizione ampia e numerosa di alleati, gli spazi per iniziative individuali sono molto limitati, per non dire inesistenti.
Piuttosto, avrebbe senso che l’Ue esprimesse compattezza sul fronte del mix di politiche economiche. Se i dazi americani avranno un effetto negativo sulla crescita europea, l’inedita novità della svalutazione del dollaro a seguito del Liberation Day americano lascia maggiore spazio alla Banca Centrale Europea per una discesa più decisa dei tassi di interesse, che sosterrebbero la domanda interna e, favorendo una riduzione del valore della moneta unica, contribuirebbero in parte ad assorbire la perdita di competitività dei beni europei per i consumatori americani.
La risposta cinese
Infine, la risposta europea dovrà essere determinata. La Cina ha risposto ai dazi americani con dazi compensativi di uguale valore, e si appresta a varare politiche di stimolo interno della domanda. Questo favorisce peraltro la visione strategica del governo di Pechino, che vuole rendersi sempre più indipendente dagli Usa, di cui giustamente non si fida. Nel caso europeo, la risposta potrebbe essere altrettanto determinata ma non deve diventare autolesionista. Noi e gli Stati Uniti siamo storicamente legati da catene del valore sui beni fortemente integrate, e quello che importiamo dall’altra sponda dell’Atlantico è una componente ben precisa delle nostre catene globali del valore.
Le tariffe reciproche
Rispondere dunque con dazi sui beni importati dagli Usa non è nell’interesse europeo. Piuttosto, ricordiamo che mentre abbiamo un surplus nell’esportazione di beni, con gli Stati Uniti registriamo ormai da diversi anni un crescente deficit commerciale in tema di servizi, in particolare digitali attraverso l’uso che facciamo delle grandi piattaforme americane. Se proviamo ad applicare ai servizi Usa la stessa sconclusionata formula di calcolo delle “tariffe reciproche” utilizzata da Trump, otteniamo che dovremmo tassare i servizi americani al 12,5%, a fronte oggi di una importazione con nessun onere né doganale né sostanzialmente in termini di fiscalità. Iniziamo a mettere sul tavolo questa proposta nel negoziato con Trump, e vediamo se e quanto i tycoon digitali seduti in prima fila il giorno della sua inaugurazione si faranno sentire.
Si vis pacem, para bellum dicevano gli antichi romani.