La Stampa, 7 aprile 2025
"Faccio solo il comico ma oggi i politici ci rubano il mestiere"
«Sono molto lontano dall’immagine pubblica che ho». Luca Bizzarri cerca di sfatare il mito della propria carogneria che risale a uno dei suoi primi personaggi comici e poi ha nutrito per anni con una comicità acida e tweet cattivissimi. È lui Il medico dei maiali, «un brav’uomo con lati oscuri», coprotagonista con Francesco Montanari della pièce omonima scritta e diretta da Davide Sacco. «Ho letto il testo e me ne sono innamorato, anche per l’originalità nel panorama italiano. Amo le sfide, mettermi nei guai da solo per poi uscirne».
Parte come una tragedia shakespeariana con un re inglese che muore, un erede al trono inetto e un medico che prova a fare il buon consigliere. Poi però vira: fa pensare molto al nostro presente.
«È un testo senza fronzoli, essenziale. Tragico e grottesco insieme, e comunque senza lieto fine. Uno spettacolo pericoloso come deve esserlo il teatro, quando mette in dubbio ogni nostra certezza, anche quelle dei benpensanti».
È una parabola sul potere?
«Racconta e dimostra ampiamente il rapporto tossico e malato che gli uomini, tutti, hanno con il potere, inteso come prevaricazione: nel nostro piccolo, tutti bravissimi a sdegnarci per le manchevolezze altrui molto meno per le nostre, per cui abbiamo sempre pronta una giustificazione».
Chi vince e chi perde in questo eterno gioco di forza?
«Sia il mio personaggio, che all’inizio pare positivo, sia il giovane erede al trono, sono mossi dalla stessa ossessione per il potere. Però, come disse Luciano Canfora durante una conferenza, “la rivoluzione prende il mondo, gli fa fare un giro di 360° e lo lascia nello stesso punto di partenza": chi aveva il potere lo conserva mentre gli altri restano sempre senza».
Un principe vestito da SS al gay pride, una visione arrogante del ruolo di capo, la piccolezza di chi vive all’ombra del sovrano e pensa solo ai propri privilegi: ogni riferimento a persone e fatti NON è puramente casuale?
«È politico e attuale. Però Sacco ha scritto molto prima che ci fosse quel chevediamo oggi. È semmai terribile vedere come tutto si sia avverato. L’uomo più ricco del mondo che si presenta con un cappello a forma di formaggio, il molto noto che va alle feste mascherandosi da nazista, il commissario europeo che presenta il suo il kit di salvataggio... È uno scontro che lascia i normopensanti basiti. Se queste sono le opzioni, chi scegliere? Si spiega così perché la gente va a votare sempre meno? Non perché siano indifferenti alla politica ma perché attoniti: le opzioni sono una peggio dell’altra».
A proposito di politica: rapporti con il conterraneo Grillo?
«Ricordo una bellissima vacanza insieme nei primi anni 2000: io, lui e Crozza e famiglie. Da quando è in politica, mai più incontrato».
Altro comico che si è dato alla politica, Volodymyr Zelenskij: lei lo doppiò in italiano nella serie che gli diede fama e voti. Che ne pensa?
«Politicamente non saprei dire, quanto alla serie era bruttarella, ruspante. Ma che storia strana e affascinante, la sua, con la finzione che si trasforma in realtà e la tragicità di quel che viene dopo».
Nel suo podcast Non hanno un amico parla della serie del momento, Adolescence. Cosa pensa di ciò che mostra degli adolescenti di oggi?
«C’è un momento che dice la grandezza della serie e la sua acutezza: quando il padre poliziotto e il figlio (per giunta pure lui bullizzato) si parlano e il ragazzo spiega al genitore delle “red pills”. “Come in Matrix” esclama il padre. Il ragazzo lo guarda e non capisce. Parlano della stessa cosa ma non lo sanno. Non hanno punti di contatto, c’è incomunicabilità e incomprensione. Questo sintetizza perfettamente il fallimento di una generazione – la nostra, la mia (è del 1971, ndr) – di figli che non hanno capito i padri ma neppure sanno chi siano i propri figli. Distanti da entrambi, siamo genitori mai cresciuti, ancora legati al grembo materno».
Questo sul fronte padri. Ma i figli?
«Se i cinquantenni di oggi sono i trentenni di ieri, gli adolescenti sono bambini. In palestra qualche giorno fa ascoltavo due padri parlare tra loro di come una lite tra due ragazzi fosse finita con entrambi all’ospedale. Ovvio che una lite che a 8 anni avrebbe avuto come sola conseguenza qualche livido, con un’età maggiore e con ben altra forza (e violenza) diventi molto più pericolosa. E poi c’è il bullismo digitale: se per te esiste solo un pianeta che non c’è, li inizi e lì finisci e resti. Il mondo vero non c’è. E una minaccia di morte è per sempre».
Come quella che lei ha ricevuto non troppo tempo fa?
«Direi che quella era piuttosto un’escandescenza da stadio. Un “De-vi-mo-ri-re” che va contro tutti e nessuno».
Fanno arrabbiare più i suoi podcast o gli editoriali in tv?
«I tweet. Podcast e Floris durano 5 minuti e sentirli è una fatica. Un tweet è subito. Oppure basta un titolo. È un popolo di ultras che si risveglia: con me o contro di me; se non capisco, sono comunque contro»
Solo un problema di comunicazione, quindi?
«Chi mi attacca fatica a comprendere un semplice fatto: faccio il comico, non faccio politica né sono inscatolato in una fazione politica. Ma il concetto è sempre più difficile da capire se i politici ci rubano il mestiere, puntano a far ridere, ad accaparrarsi un pubblico e non un elettorato. Poi, che colpa ne ho se qualche comico si è messo in politica?».