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 2025  aprile 06 Domenica calendario

Ma che storia racconti? Lite sullo studio a scuola

Il «Corriere della Sera» propone dal prossimo 15 aprile una collana di suoi testi dedicati alla grande avventura della storia. Il primo volume sarà La via della seta. Ernesto Galli della Loggia, nato a Roma nel 1942, ha insegnato Storia contemporanea ed è editorialista del «Corriere». Ha diretto per la casa editrice il Mulino una collana di libri dedicati all’identità italiana. Elvira Migliario, nata a Imperia nel 1956, è docente ordinaria di Storia romana presso l’Università di Trento. Ha pubblicato nel 2022 il saggio «Noi figli di Roma», edito da Le Monnier.
Maurizio Scarpari, nato a Venezia nel 1950, ha insegnato Lingua cinese classica all’Università Ca’ Foscari della sua città. Nel 2023 ha pubblicato il saggio La Cina al centro (il Mulino)
Le indicazioni ministeriali per lo studio della storia nella scuola primaria e secondaria di primo grado hanno suscitato vivaci polemiche. In particolare è stata contestata la loro tesi iniziale secondo cui la riflessione critica sugli eventi passati è un’esclusiva dell’Occidente. Abbiamo chiamato a discuterne due membri della commissione che ha elaborato il documento, Ernesto Galli della Loggia ed Elvira Migliario, e due voci sfavorevoli, il medievista Franco Cardini e il sinologo Maurizio Scarpari.
MAURIZIO SCARPARI – Le indicazioni ministeriali affermano che la dimensione della storia ha segnato solo l’Occidente e non le culture diverse dalla nostra. Come studioso della Cina trovo che tale impostazione rifletta una visione eurocentrica che svaluta le altre civiltà e in passato ha giustificato l’espansione coloniale in nome di una presunta superiorità, creando molti danni al resto del mondo. Oggi l’Occidente – concetto peraltro difficile da maneggiare – appare sotto attacco da parte di autocrazie, in particolare la Russia e la Cina, che trovano vasti appoggi nel Sud globale. Si va verso un cambiamento dell’ordine mondiale, con Pechino che trae vantaggio da sviluppi come le guerre dell’Ucraina e di Gaza, in vista di un conflitto decisivo con gli Stati Uniti. Questa trasformazione epocale richiede una riflessione che vada oltre lo stereotipo ideologico dello scontro tra Oriente e Occidente, tanto più nel momento in cui l’amministrazione Trump sta destabilizzando gli equilibri del passato.
Dovremmo rivolgere una maggiore attenzione alle culture extraeuropee?
MAURIZIO SCARPARI – Sicuramente sì. Per esempio la Cina, al contrario di quanto dicono le indicazioni ministeriali, riflette da più di duemila anni sul proprio passato e ha prodotto una tradizione storiografica che non può affatto essere ridotta a una raccolta di annali e cronache dinastiche. Si pensi allo Hanfeizi, un’imponente opera di dottrina politica del III secolo avanti Cristo, il cui autore è considerato il Machiavelli cinese perché ha segnato, insieme al confucianesimo, la condotta di un impero durato oltre venti secoli ed esercita ancora un’influenza notevole sui governanti di Pechino.
Non è inevitabile che noi occidentali guardiamo il mondo da un punto di vista soggettivo?
MAURIZIO SCARPARI – È sbagliato tuttavia pensare che il pensiero storiografico sia una nostra esclusiva. Certo, anche l’impostazione dei cinesi è sempre stata sinocentrica: al di fuori dell’impero per loro c’erano i barbari. Ma non mi sembra un buon motivo per riproporre un eurocentrismo ormai superato.
ELVIRA MIGLIARIO – Io ho partecipato alla commissione in quanto esperta di storia romana antica. Il nostro lavoro, che è durato molti mesi, ha preso le mosse dall’abbassamento preoccupante del livello di conoscenze basilari negli iscritti all’università. Noi professori ci troviamo a dover colmare enormi lacune accumulate dagli allievi nei precedenti 13 anni d’istruzione. Da un rapporto Censis uscito in dicembre risulta che il 43 per cento degli studenti delle scuole superiori non raggiunge livelli minimi di conoscenza della nostra lingua. In fatto di storia, il 55 per cento degli italiani non sa che Benito Mussolini fu destituito nel 1943, quasi il 30 per cento non sa quando è entrata in vigore la Costituzione, il 20 per cento pensa che Giuseppe Mazzini fosse un politico della prima Repubblica. E ancora, il 50 per cento non conosce l’anno della rivoluzione francese e il 25 non ricorda quello della caduta del Muro di Berlino.
È impressionante.
ELVIRA MIGLIARIO – Da un’altra inchiesta emerge che l’Italia sarebbe la nazione più ignorante d’Europa quanto a percezione e analisi della realtà. Sono dati che pongono interrogativi drammatici sulla tenuta stessa delle istituzioni e che ci riportano alla funzione della scuola nel nostro Paese. Noi ci siamo chiesti come intervenire e abbiamo concluso che la prima nozione di storia da proporre non potesse che essere eurocentrica e italocentrica, tenendo conto che stiamo parlando di indicazioni programmatiche riguardanti l’insegnamento da impartire a ragazzi sotto i 14 anni. Ci è parso che la realtà più vicina e familiare agli alunni fosse il punto di partenza obbligato e che solo nel prosieguo degli studi la prospettiva dovesse ampliarsi al resto del mondo.
FRANCO CARDINI – Riconosco il valore dell’impegno da cui è nato il documento sui programmi di storia, ma su alcuni punti sono in disaccordo. Condivido invece il giudizio di Elvira Migliario circa la situazione quasi irrimediabile in cui si trova la scuola italiana, anche se devo aggiungere per esperienza personale che, ad esempio, gli Stati Uniti, in fatto di semianalfabetismo dei giovani, non stanno meglio di noi.
Lei approva la critica di eurocentrismo rivolta alle indicazioni ministeriali?
FRANCO CARDINI – Vedo un paradosso. Il documento insiste sul concetto di Occidente, ma sul piano obiettivo finisce per essere profondamente antioccidentale. Noi europei per alcuni aspetti abbiamo arrecato molti benefici al mondo ed è giusto dire Grazie Occidente, per citare il titolo del recente libro di Federico Rampini. Però abbiamo anche rotto un millenario equilibrio di civiltà a compartimenti stagni, che comunicavano tra loro in una misura ristretta, e abbiamo aperto la strada a un’economia mondiale globalizzata, nella quale abbiamo coinvolto l’islam, la Cina, l’India, la Persia, gli imperi precolombiani in America. Realtà che avevano a loro volta contribuito al nostro sviluppo: buona parte del patrimonio antico greco-romano ci è stato tramandato attraverso la mediazione degli arabi. Del resto il predominio dell’Occidente non è derivato da fattori culturali, dal cristianesimo o dalla filosofia classica, bensì dalle navi dotate di vele mobili, capaci di percorrere gli oceani, e dalla potenza distruttiva di sua maestà il cannone.
Ma perché il documento ministeriale le sembra antioccidentale?
FRANCO CARDINI – Se l’Occidente ha un merito, è quello di averci liberati dall’etnocentrismo tipico, per esempio, della civiltà cinese. Rileggiamo le Storie di Erodoto o la tragedia I Persiani di Eschilo: vi riscontriamo una cultura che non ambisce alla preminenza assoluta, ma si pone, quasi con umiltà, come una parte del tutto. Lo stesso colonialismo, con tutta la sua orripilante brutalità, era animato anche dal desiderio di conoscere altri mondi. C’è un verso di Gabriele d’Annunzio che rende questa ambiguità: «Tu sorridi alla terra che tu predi». Le indicazioni ministeriali mi sembra che invece propongano un occidentalismo radicale e unilaterale che tradisce questa vocazione.
E per quanto concerne la storia d’Italia?
FRANCO CARDINI – Il Risorgimento non si può spiegare senza considerare la situazione internazionale, l’appoggio che la politica del conte Camillo di Cavour ottenne da parte francese e poi britannica nel contesto dell’apertura del canale di Suez. Se non allarghiamo lo sguardo, si torna alla vecchia retorica patriottica e il documento di cui parliamo ci va vicino, perché cita addirittura l’episodio immaginato da Edmondo De Amicis della «piccola vedetta lombarda», il ragazzino ucciso da un fuciliere asburgico. Questo micronazionalismo piacerà magari al ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, ma non rende un buon servizio alla storia d’Italia e comunque non interessa ai ragazzi d’oggi.
Ne è così sicuro?
FRANCO CARDINI – Che cosa vedono, che cosa mangiano, che cosa ascoltano i giovanissimi? Lo dico in modo grossolano: vedono, mangiano e ascoltano America. Cioè tutto ciò che gli Stati Uniti hanno prodotto nell’ultimo secolo. Il mio adorato nipote Cosimo, di 15 anni, sogna l’America, perché gli hanno spiegato che in quel Paese chi gioca bene a pallacanestro, come lui, può laurearsi nelle migliori università senza impegnarsi troppo negli studi. E io a Cosimo non posso raccontare della «piccola vedetta lombarda», che è totalmente estranea al suo mondo.
Però se esiste l’Italia lo si deve al Risorgimento.
FRANCO CARDINI – Bisogna ricordare che la tradizione del nostro Paese è profondamente policentrica. Aver fondato l’Italia come Stato unitario e accentrato è stato un delitto di cui scontiamo ancora le conseguenze. Un errore che la Germania non ha commesso, dato che si è unificata adottando una struttura federale che poi, a parte il periodo del Terzo Reich, ha sempre mantenuto.
ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA – Occorre considerare però che nell’Italia preunitaria, a differenza di quanto avveniva in Germania, c’era il problema costituito da una potenza straniera, l’impero austriaco, che occupava il Lombardo-Veneto e controllava indirettamente, tramite legami dinastici, alcuni altri Stati in cui il nostro Paese era diviso.
Torniamo al problema di come trasmettere la conoscenza del passato.
FRANCO CARDINI – Ci sono due metodi per insegnare la storia, e magari farla amare: quello del ciclista e quello del paracadutista. Quando si va in bicicletta, se non si conosce la strada, a ogni curva si vede un panorama nuovo. Il ciclista procede per continue scoperte, ma rischia di non approdare a risultati solidi. Io preferisco il metodo del paracadutista, il quale, dopo il trauma iniziale del lancio, vede un orizzonte larghissimo, che si restringe e al tempo stesso si precisa a mano a mano che lui scende verso il suolo. Quando tocca terra, si accorge di trovarsi su un territorio che è il suo, perché l’ha scorto dall’alto nel suo contesto generale.
Come si applica questo metodo a scuola?
FRANCO CARDINI – Si tratta in primo luogo, come dice anche il documento, di far acquisire agli alunni la «consapevolezza della profondità del tempo storico». E poi c’è il tema dello spazio: è un grave errore distaccare l’insegnamento della storia da quello della geografia. Io partirei da questo, piuttosto che dalle «radici della cultura occidentale» citate nelle indicazioni ministeriali. A suo tempo sono stato aspramente criticato da autorevoli colleghi per aver indagato le radici della cavalleria medievale. Mi hanno dato quasi del nazista. Però non credo che con i bambini si possa partire dalle radici: bisogna cominciare dal generale per arrivare al particolare.
ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA – Vorrei porre innanzitutto una domanda. Le critiche appassionate all’eurocentrismo del nostro lavoro perché non sono state mai mosse ai manuali di storia del passato e a quelli tuttora in uso nelle scuole? Non è che quei testi siano aperti al mondo e trattino, per esempio, le vicende della Cina. Assolutamente no.
FRANCO CARDINI – Il manuale che ho scritto io un po’ ne parla.
ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA – Ma è un caso molto raro. Gli altri manuali si prestano alle stesse critiche che abbiamo ricevuto noi. E per una ragione semplicissima. La dimensione tipica della storia non è l’universalità, ma la specificità: essa si occupa di situazioni particolari e le analizza adottando un punto di vista. E nella scuola dell’obbligo tale punto di vista non può che essere italiano, europeo e occidentale. Succede così in tutti i Paesi di questa parte del mondo. I manuali francesi per le elementari evocano «i nostri antenati Galli».
ELVIRA MIGLIARIO – E quelli britannici cominciano dalla conquista normanna dell’Inghilterra, con la battaglia di Hastings del 1066.
ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA – Se ci si rivolge ai bambini, è assurdo adottare una prospettiva cosmopolita. Bisogna cominciare dall’ambiente che li circonda, con il quale hanno più confidenza. E allora perché non parlare della «piccola vedetta lombarda»? Forse il patriottismo può essere solo quello ridicolo di Roberto Benigni che si presenta sulla scena con il tricolore? Tra l’altro l’articolo 52 della Costituzione recita: «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino». Come si costruisce una devozione civica a quella norma senza insegnare al bambino che cos’è la sua patria?
FRANCO CARDINI – Attenzione però: il patriottismo è un sottoprodotto del nazionalismo, la peggiore peste che ci sia.
ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA – E allora dovremo rivedere quell’articolo della Costituzione, ma non saprei come. Quanto alla polemica sull’affermazione che solo l’Occidente ha pensato il mondo, è un fatto che gli europei hanno esplorato e conquistato l’intero pianeta, mentre la Cina non lo ha fatto, ha riflettuto solo su sé stessa. E ovviamente ai bambini italiani può interessare più l’esperienza occidentale rispetto a quella cinese.
FRANCO CARDINI – Cerchiamo di spiegare loro che ci sono diversi modi di pensare il mondo.
ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA – A sei o sette anni? Io farei un appello alla modestia intellettuale. Non possiamo usare il dibattito sulla scuola per dare fondo alle nostre visioni nutrite di lunghi e approfonditi studi. Il compito della commissione era invece definire programmi adeguati per l’insegnamento della storia, da parte dell’attuale corpo docente, nei primi anni del percorso formativo.
Abbiamo parlato di come rivolgersi a bambini italiani, però forse bisogna anche tenere conto che nella nostra scuola è sempre più numerosa la presenza di alunni con un retroterra extraeuropeo.
MAURIZIO SCARPARI – È un fattore che complica il problema. Io non sottovaluto le difficoltà che s’incontrano nel riscrivere i programmi di storia. Ma nel momento in cui il 12 per cento degli alunni non ha la cittadinanza italiana, non si può proporre un’integrazione a senso unico, che consista solo nel far conoscere a quei ragazzi l’identità del nostro Paese. Bisogna procedere su un doppio binario: anche gli allievi di origine italiana, che sono il restante 88 per cento, devono acquisire contezza delle culture da cui provengono i compagni di classe.
ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA – Quel 12 per cento è composto di bambini che arrivano dai più svariati Paesi sparsi su diversi continenti: Bangladesh, Ecuador, Nigeria e così via. I loro compagni italiani dovrebbero quindi prendere confidenza con la storia dell’universo mondo? Non è il caso di adottare una sobria misura di realismo?
MAURIZIO SCARPARI – Capisco l’obiezione, ma penso che sin dall’inizio della scuola gli alunni debbano essere abituati a pensare con una visione più ampia di quella che richiede il documento ministeriale. La conoscenza della storia italiana non può che essere prioritaria, ma occorre un approccio inclusivo verso le altre culture. I bambini, nell’incontrarsi con i compagni di origine straniera, devono capire chi hanno di fronte, con il relativo retroterra storico. Occorre insomma creare nei più piccoli la predisposizione all’apertura verso l’altro.
Un approccio opposto a quello di chi presenta l’immigrazione come una minaccia.
MAURIZIO SCARPARI – Le dinamiche demografiche, con l’esplosione della popolazione africana, rendono inevitabile un massiccio flusso migratorio verso l’Europa, senza contare la conflittualità montante tra l’Occidente e Paesi autocratici come la Cina. Rischiamo la Terza guerra mondiale, se non ci sforziamo di dialogare. E si può farlo solo promuovendo l’apertura mentale nelle nuove generazioni, sin dalla più tenera età, attraverso la conoscenza del mondo che sta entrando a casa nostra. La scuola è fondamentale a questo scopo: il fatto che sia malridotta può anche essere un’opportunità, nel senso che può risultare più facile spazzare via la vecchia impostazione eurocentrica. C’è un lavoro enorme da fare, a partire dalla riqualificazione dei docenti.
ELVIRA MIGLIARIO – Senza dubbio il sistema scolastico avrebbe bisogno di riforme radicali, ma è molto difficile realizzarle, non solo per la sordità di gran parte della classe politica, ma anche per ostacoli strutturali. Il ministro Valditara ci aveva promesso di aumentare le ore dedicate all’insegnamento della storia, oggi gravemente trascurato, ma poi ci è stato detto che tale incremento comporterebbe problemi organizzativi enormi, quasi insormontabili. Per quanto riguarda i figli di famiglie non italiane, ci siamo proposti innanzitutto di far conoscere loro la storia del Paese in cui sono destinati a vivere. L’idea di partire dall’universale per arrivare al particolare, esposta in modo affascinante da Cardini, mi chiedo come si possa attuare con gli strumenti che abbiamo a disposizione.
E il nodo dell’inclusività?
ELVIRA MIGLIARIO – Lo abbiamo tenuto ben presente, anche sulla base delle sollecitazioni che ci arrivavano dalle scuole. E non ci siamo affatto chiusi in un’asfittica visione nazionalista. Per esempio, in riferimento al mondo classico, abbiamo scelto di far procedere in parallelo lo studio della storia greca e di quella romana, in modo da evidenziare come l’Italia abbia radici composite e nell’antichità – al contrario di quanto ha sostenuto il pensiero risorgimentale – la nostra penisola non abbia mai conosciuto un’unità politica, ma solo un’unità giuridica. Più in generale abbiamo cercato di fornire il quadro di una storia italiana ed europea che si sviluppa per successive inclusioni, allargando la cerchia originaria. Se ciò non emerge a sufficienza nel documento finale, è solo per ovvie necessità di sintesi.
FRANCO CARDINI – La situazione nelle scuole risulta spesso invivibile. È assai grave il problema di come rivolgersi a bambini di svariata provenienza, ma lo è ancora di più quello di rimotivare una classe insegnante frustrata, malpagata, presa tra l’incudine dei programmi ministeriali e il martello delle pretese, a volte persino minacciose, avanzate dai genitori degli allievi. Gli studi degli psicoterapeuti sono affollati di docenti sull’orlo della disperazione.
C’è qualcosa che si può fare?
FRANCO CARDINI – Sul punto specifico della storia, non partirei dal patriottismo italiano, un richiamo che risulta ormai desueto. Non ritengo che sia un bene, ma è così. Consideriamo piuttosto la natura umana. Il documento sottolinea la necessità di promuovere negli alunni la capacità di distinguere tra il bene e il male: in effetti è un problema per ragazzi che in chiesa non ci vanno più e spesso vivono situazione famigliari precarie. Quindi si tratta da una parte di affermare valori universali e dall’altra di evidenziare la molteplicità delle espressioni che il genere umano ha saputo manifestare nel tempo e nella diversità dei luoghi. Un ragazzino non può districarsi nella varietà delle culture, ma dispone della fantasia sufficiente per immaginare l’altro. Gli si può parlare della «piccola vedetta lombarda», ma anche della lampada di Aladino o dell’eroico principe russo Igor di Kiev. Non per esterofilia, ma per fargli capire che, nella cultura come nelle religioni, certi valori di fondo restano gli stessi anche se si esprimono in modi differenti.
Non è pretendere troppo?
FRANCO CARDINI – Occorre ovviamente adottare un linguaggio adeguato all’età degli alunni. Ma proprio il contatto sui banchi di scuola con bambini provenienti dall’Africa o dall’Asia può aiutare molto. Nelle mie modeste esperienze d’insegnamento all’estero ho notato che negli Stati Uniti e in Israele, Paesi multietnici per definizione, la doppia appartenenza ha effetti fecondi. Gli italiani d’America amano gli Usa, ma al tempo stesso sono fortemente legati alla terra d’origine. Un ebreo israeliano livornese, ex combattente di tre guerre contro gli arabi, mi manifestò la sua gioia di poter parlare con me, un suo conterraneo toscano, dato che gli toccava di vivere in mezzo a gente di ogni risma. Non credo insomma che l’istruzione possa coltivare un’esclusiva identità occidentale. Da cattolico dico che bisogna cercare di essere quanto più possibile universalisti. E lo deve fare in primo luogo la scuola, oggi relegata a ultima ruota del carro. Bisogna ridarle il ruolo che le spetta o sarà peggio per noi.
ELVIRA MIGLIARIO – Gli esempi degli Stati Uniti e di Israele sono significativi proprio perché quei Paesi, pur composti di immigrati, si sono preoccupati molto di costruire una loro identità su basi storiche, vere o magari inventate. Lo Stato ebraico, sorto nel 1948, è andato a ripescare i Maccabei, che si ribellarono all’impero seleucide nel II secolo avanti Cristo, e le reclute del suo esercito giurano a Masada, roccaforte della resistenza dei Giudei contro i Romani duecento anni dopo.
ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA – Vorrei tornare sull’inclusività, che secondo me non consiste nell’invogliare i bambini italiani a conoscere la storia di innumerevoli Paesi e a familiarizzarsi con la cultura islamica, con quella cinese o con quella induista: un proposito peraltro del tutto irreale. Si tratta invece, come dimostrano gli esempi statunitense e israeliano, di inserire gli alunni in un tessuto fortemente democratico. È l’insegnamento della convivenza pacifica, della discussione libera, della tolleranza che produce inclusione.
In che senso questo ha a che fare con la storia?
ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA – Il fatto è che la democrazia non è un fenomeno universale. È nata e si è articolata in Occidente. E perciò mi domando: ha un senso o no cercare di insegnare a bambini provenienti da altre parti del mondo come si sono sviluppate le idee e le regole democratiche? Io ritengo di sì. Ma allora bisogna far conoscere loro le vicende dell’Occidente. Poi il fatto di dimostrarci inclusivi non ci immunizza da uno scontro futuro, perché per generare un conflitto basta che sia una delle due parti a volerlo, anche se l’altra adotta una posizione irenica. E io non vedo il pericolo di un’aggressività dell’Occidente, perlomeno quello europeo. Semmai avverto il rischio di una minaccia del mondo esterno verso la civiltà occidentale.
FRANCO CARDINI – A me sembra che sia l’opposto. È difficile illustrare le bellezze della nostra democrazia a ragazzi i cui popoli da parte dell’Occidente hanno conosciuto e conoscono soprattutto lo sfruttamento e la violenza. Si pensi alle politiche di Donald Trump e di Benjamin Netanyahu.
ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA – Bisognerà spiegare a quei giovani che la storia segue percorsi tortuosi e che l’Occidente, pur sottomettendo tante genti con tutte le relative brutture, ha prodotto anche la loro emancipazione. Non a caso tutte le Costituzioni dei Paesi che si sono sottratti al dominio coloniale hanno adottato, almeno sulla carta, i valori e gli istituti giuridici elaborati dalla tradizione occidentale.