Tuttolibri, 5 aprile 2025
Adelasia, la prima medichessa
Il nome era stata un’idea del padre, intellettuale della media borghesia sassarese, studioso della tradizione sarda e “amico di penna” di Grazia Deledda. Aveva scelto di chiamare la primogenita “Adelasia” come l’ultima giudicessa di Torres, una delle donne più importanti della storia dell’isola. Così lei si era trovata fin da piccolissima a fare i conti con due modelli femminili extralarge, l’antica regnante e la scrittrice contemporanea. Il tutto nella società patriarcale nuorese. E fu all’altezza, non solo per aver centrato i suoi obiettivi, ma soprattutto per la grandezza Del coraggio e della passione, non a caso titolo della biografia che Eugenia Tognotti le ha dedicato.
Adelasia Cocco scelse per sé la strada della medicina – cioè della pioniera – nell’Italia dei primi Novecento, quando le laureate in quella disciplina erano 24 e dopo la prima – la russa Ernestina Paper – le altre avevano cognomi come Kuliscioff, Bakunin, Montessori o di famiglie meno illustri ma altrettanto illuminate.
Tognotti è ordinaria di Storia della medicina a Sassari e, come scrive nei ringraziamenti, la biografia è per lei un genere nuovo, in cui ha deciso di cimentarsi forse per la straordinarietà umana e professionale di Adelasia Cocco, che bruciò due primati: fu prima “medichessa condotta” d’Italia e prima patentata di Sardegna. Ma l’originalità della sua storia sta anche nel fatto che come donna non rinunciò praticamente a nulla. Si sposò con l’amore dei tempi della scuola, ebbe la prima figlia mentre dava esami all’università e i successivi due durante le altre fasi della sua carriera. «Il matrimonio, gabbia di tante donne, era stato il pertugio che aveva spianato la strada ad alcune delle donne medico», scrive Eugenia Tognotti, «Nel caso di Adelasia si aggiungeva però la circostanza che il giovane marito intendeva studiare Veterinaria a Pisa». Dove infatti si iscrissero entrambi – da studenti fuori sede già sposati – l’una in Medicina e l’altro in Veterinaria.
È quindi una famiglia davvero singolare quella che si segue avventurosamente in questo libro, che Tognotti ha scritto attingendo da archivi istituzionali e familiari, messi a disposizione dalle nipoti di Adelasia. Ci son fotografie che parlano da sé: il giorno della laurea di Adelasia con i colleghi, venticinque maschi e tre femmine; le casupole di pietra dove va a visitare i suoi pazienti, a cavallo prima e in auto poi, e nuovamente a cavallo nei tempi senza carburante della guerra. Curiose anche le foto in posa da sola e con il marito, dove non si può non rilevare una sicura ricerca di eleganza. Alla laurea del marito, il cronista della Nuova Sardegna annoterà che era presente la moglie «Adelasia Cocco Floris, che sa essere nello stesso tempo la signora delle squisite eleganze e l’austera cultrice delle ardue scienze mediche». Dove quell’accenno alla durezza degli “studi astrusi” dice quanto in quei tempi le teorie in circolazione – fra cui le tesi dei craniometristi che misuravano il cervello femminile – ritenessero la medicina poco adatta alle donne, sempre a rischio di collasso nervoso e esaurimento fisico.
Al proposito Tognotti fa bene a ricordare Amalia Moretti Foggia, medichessa che vantava due lauree e due rubriche sui giornali: “La parola del medico” sul Corriere della Sera e “Tra i fornelli” sulla Domenica del Corriere. Ma quella medica doveva firmarla con il nom de plume maschile “Dottor Amal”, per quella di cucina poteva usare il femminile “Petronilla”.
Tornando ad Adelasia, si laureerà dopo il marito a Sassari, dove avrà illustri professori tra cui la prima donna a ottenere una cattedra universitaria nel Regno d’Italia – Rina Monti – e il grande anatomista torinese Giuseppe Levi, padre di Natalia Ginzburg e maestro di tre Nobel per la Medicina. Ma da neolaureata più del prestigio sarà il carattere – e anche la cronaca nera – ad aiutarla nel concorso per la nomina a medico condotto a Nuoro. Qui infatti il prefetto non intende firmare; non c’erano divieti espliciti a che una donna occupasse quel posto, ma non si era mai fatto. La controversia andrà avanti mesi finché – come documenta anche un articolo che Tognotti ha trovato su La Stampa – uno dei tre condotti in carica viene ucciso e la giovane dottoressa dovrà sostituirlo. È solo l’inizio di una carriera che sarà tanto lunga e ricca quanto osteggiata, e porterà Adelasia dalle condotte di Nuoro e Galtellì al ruolo di ufficiale sanitario, alla perizia in un processo per stupro fino alla direzione – contrastatissima – della sezione medico-micrografica del laboratorio di Igiene e Profilassi. Il consolidarsi del fascismo non farà che moltiplicare gli ostacoli, sempre più pretestuosi. Le contesteranno persino un certificato medico che aveva esonerato una maestra “sospetta antifascista” dal presenziare alla cerimonia della Marcia su Roma. Almeno questo le sarà servito, caduto il regime, a superare il vaglio della “defascistizzazione”, da cui risultò che aveva dato prova di una resistenza al fascismo non ostentata ma tenace e ferma.
Il libro si chiude con una nuova amarezza per Adelasia in pensione, che questa volta però sconta non l’essere donna ma l’essere barbaricina, quindi non famosa in continente. Mentre la collega romagnola Isotta Gervasi, notissima come “l’angelo in bicicletta” diverrà suo malgrado protagonista di una sorta di fake news ante litteram, che la indica come “la prima donna medico condotto in Italia”; quando in realtà è seconda. Tognotti scrive di aver trovato nell’archivio familiare una cartellina che doveva contenere la lettera con cui Adelasia rivendicava il suo primato: era vuota, e comunque non l’aveva mai inviata.
Il valore collettivo di questa storia privata di donna e medico del resto lo dice bene in prefazione Rosy Bindi (non prima ma terza ministra della Sanità in Italia): «Storica della Medicina, Tognotti non si limita a ricostruire la biografia di una donna che ha sfidato pregiudizi e convenzioni per affermare la propria soggettività di scienziata, ma ci offre un racconto collettivo sulle prime “medichesse"».