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 2025  aprile 05 Sabato calendario

Quelle degli scrittori sono storie di soldi e infelicità produttive

Tutte le storie di scrittori sono innanzitutto storie di soldi, ma questa lo è più di altre. Nell’aprile del 1925, Scott ha ventott’anni, e fino ad allora il momento più importante della sua vita è quello in cui, nel settembre del 1919, ha ricevuto la lettera con cui Max Perkins gli ha detto che Scribner pubblicherà Di qua dal paradiso. Se Il grande Gatsby è il romanzo definitivo che tutti studiamo da cent’anni per capire la ricchezza americana, l’epistolario Dear Scott/Dear Max è un trattato interessantissimo sul rapporto degli intellettuali col denaro. Dall’aprile del ’25 in poi, le lettere di FSF hanno solo due temi: o i soldi che deve a Perkins, i soldi che gli servono, i soldi che ha bisogno gli vengano anticipati; o un tizio che ha conosciuto in un bar di Parigi e la cui pubblicazione perora a Perkins. Quel tizio ha tre anni meno di lui, che a quell’età sembrano tantissimi. Si chiama Ernest Hemingway.
«Mi chiedo quale sia la tua idea di paradiso. Un meraviglioso sottovuoto ripieno di monogami ricchi, tutti potenti e delle migliori famiglie, che si sbronzano fino a morirne».
Lo scrive Hemingway a luglio dalla Spagna, Fitzgerald è ancora a Parigi, Gatsby è uscito da due mesi e sta disperando che sia il libro che lo renderà ricco; scrive a Perkins: «Ci sono troppi americani in Europa, hanno guastato il mercato editoriale» – ma pensa che Hemingway non sia parte del problema, e in effetti non lo è ancora.
Per far uscire Gatsby a puntate su una rivista a FSF erano stati offerti diecimila dollari (di cento anni fa, rimarchiamolo e piangiamo assieme per la svalutazione dei compensi editoriali), li aveva rifiutati per non rovinare l’esito commerciale in libreria, ma ora è pentitissimo. «Se per favore potessi mandarmi mille dollari sarebbero assolutamente gli ultimi»: è un telegramma del 29 aprile, dall’autore all’editor. Quattro giorni prima, l’editor gli ha scritto una lettera in cui gli dice «Di una cosa possiamo essere sicuri: che quando il tumulto e le grida dei pettegoli e dei recensori furiosi si cheteranno, Gatsby emergerà come un libro assai straordinario» (un editor che aggiunge un accrescitivo a “straordinario”, se non lo licenzi, è perché al momento buono ti fa un prestito). Il giorno dell’uscita di Gatsby, il 10 aprile, Scott aveva scritto a Max ringraziandolo per un versamento di 750 dollari, «che portano il mio debito a seimila», e dicendogli che aveva visto una lettera di suo zio, che aveva commentato una pubblicità di Gatsby con le parole «Sembra tale e quale agli altri tuoi libri». Eppure, a dicembre di quell’anno, Scott riceve una lettera da Ernest che fa così: «Vuoi che ti scriva un piccolo trattato su L’importanza del Tema? La ragione per cui ti scoccia tanto esserti perso la guerra è che la guerra è il migliore dei temi. Raggruppa in sé il massimo dei materiali, e velocizza l’azione, e fa emergere tutt’una serie di cose che di solito ci vuole una vita per procurarsi. Ti sento che dici che mi sbaglio. Può essere. L’amore è anche un buon tema, come ti si potrebbe attribuire d’aver scoperto. Altri grandi temi sono i soldi, che ci rendono ricchi e poveri, e l’avarizia».
Quel che mi pare sconvolgente, in questa lettera, è che Hemingway, che a quel punto ha pubblicato solo qualche racconto, si sta rivolgendo all’autore americano che ha scritto quelle che sono considerate le pagine definitive sulla ricchezza (non solo i romanzi sugli arrampicatori sociali scritti fino a Gatsby: nel febbraio del ’26 uscirà Tutti i giovani tristi, la raccolta di racconti in cui si trova Il giovanotto ricco, forse la cosa migliore mai scritta da FSF e con un protagonista che è evidente ispirazione del personaggio di Robert Redford in Come eravamo). E gli dice di tener presente che la ricchezza è un buon tema: un po’ come dover suggerire a Hemingway d’interessarsi alle corride o alla pesca.
È come se Hemingway sapesse che Gatsby, che doveva essere l’inizio, sarà in realtà la fine di Scott. Nei nove anni che l’autore affermato ci metterà a far uscire il successivo Tenera è la notte (l’ultimo romanzo che riuscirà a finire, sei anni prima di morire), nove anni di lettere di richiesta di soldi e del povero Perkins che dice sì però tu dovresti darci un libro, quell’altro, l’autore che nel 1925 era agli inizi e in cerca di un editore, pubblicherà Il sole sorge ancora, e Addio alle armi, e Verdi colline d’Africa. Come finisce lo sappiamo. Che Hemingway prende il Nobel per la letteratura quando Fitzgerald è già morto da quattordici anni (si è perso pure la seconda guerra mondiale: quanto materiale sprecato), e FSF verrà perlopiù ricordato come quello col talento dissoluto e la moglie pazza. Fino a una coda recente nella quale, per timore che ci diano delle sessiste se non rivalutiamo proprio tutte le donne, abbiamo iniziato a dire che era Zelda Sayre quella talentuosa, e senza di lei altro che Gatsby.
«Mi sento malissimo per Scott. Ho provato a scrivergli per rallegrarlo, ma sembra quasi fiero di non avere vergogna della sua sconfitta. I pezzi su Esquire mi paiono infelicissimi. Ho sempre saputo che non era in grado di pensare, ma aveva un talento meraviglioso e doveva usarlo, mica frignare in pubblico. Quando l’ho conosciuto ho pensato che, se fosse andato in quella guerra che gli dispiaceva tanto essersi perso, sarebbe stato fucilato per viltà. Ma questo non ha niente a che fare con la sua scrittura: uno scrittore può essere un codardo, ma almeno dovrebbe essere uno scrittore». Lo scrive Ernest a Max, che intanto è diventato il suo editor, nel 1936. Quella prima volta in quel bar di Parigi, Scott aveva ordinato dello champagne, per l’Hemingway che era il suo protetto e mai pensava sarebbe divenuto il suo feroce critico: «Brindiamo a uno che scrive meglio di me, e ce ne vuole». Tutte le storie di scrittori sono storie di soldi: alcuni postumi, altri contemporanei. I secondi sono forse meno infelici, ma non è detto: alla fine Hemingway si è sparato, quindi forse il dualismo non è tra autori risolti e instabili, ma tra infelicità produttive, e altre meno.