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 2025  aprile 06 Domenica calendario

Il Papa a sorpresa in piazza San Pietro: «Buona domenica a tutti e grazie»

Sono le 11,38 quando Francesco arriva a sorpresa in piazza San Pietro e passa tra i ventimila fedeli, sospinto in sedia a rotelle, fino a raggiungere l’altare al termine della messa per il giubileo dei malati. Il Papa leva il braccio e traccia il segno della croce ad accompagnare la benedizione finale, poi gli accostano un microfono e dice: «Buona domenica a tutti, grazie tante!».
La voce è fragile, Francesco porta ancora le cannule nasali per sostenere la respirazione, ma sorride. Alla fine resta pure un poco a salutare alcune persone, prima di rientrare a Santa Marta.
La Santa Sede ha fatto sapere che il pontefice «si è unito al pellegrinaggio giubilare degli ammalati e del mondo della sanità» e quindi, prima di salutare i fedeli in piazza, «ha ricevuto il sacramento della riconciliazione nella Basilica di San Pietro, si è raccolto in preghiera e ha attraversato la Porta Santa» come gli altri malati arrivati a Roma.
In questo periodo di convalescenza, dopo 38 giorni di ricovero al Gemelli per una polmonite bilaterale, Francesco vive isolato perché ha ancora le difese immunitarie basse. Però, nella giornata dedicata ai malati, ha voluto esserci: «Con voi, carissimi fratelli e sorelle, in questo momento della mia vita condivido molto: l’esperienza dell’infermità, di sentirci deboli, di dipendere dagli altri in tante cose, di aver bisogno di sostegno…».
Il papa lo ha scritto nell’omelia letta dall’arcivescovo Rino Fisichella: «A pochi metri da noi Papa Francesco, dalla sua stanza a Santa Marta, ci è particolarmente vicino e come tanti malati e persone deboli sta partecipando questa santa eucarestia attraverso la televisione», aveva detto, mentre dalla piazza si alzava un lungo applauso. Nessuno immaginava che Bergoglio potesse mostrarsi.
A mezzogiorno è stato diffuso anche il testo dell’Angelus, nel quale Francesco chiede tra l’altro investimenti per la sanità e rispetto per chi vi lavora: «Prego per i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari, che non sempre sono aiutati a lavorare in condizioni adeguate e, talvolta, sono perfino vittime di aggressioni. La loro missione non è facile e va sostenuta e rispettata. Auspico che si investano le risorse necessarie per le cure e per la ricerca, perché i sistemi sanitari siano inclusivi e attenti ai più fragili e ai più poveri».
Nell’omelia, Francesco è partito dalle letture del giorno, le parole di speranza rivolte da Isaia al popolo di Israele in esilio a Babilonia, l’adultera salvata da Gesù nel Vangelo di Giovanni: «Sorelle e fratelli, noi leggiamo questi testi mentre celebriamo il Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità, e certamente la malattia è una delle prove più difficili e dure della vita, in cui tocchiamo con mano quanto siamo fragili. Essa può arrivare a farci sentire come il popolo in esilio, o come la donna del Vangelo: privi di speranza per il futuro». Ma non è così, aggiunge: «Anche in questi momenti, Dio non ci lascia soli e, se ci abbandoniamo a Lui, proprio là dove le nostre forze vengono meno, possiamo sperimentare la consolazione della sua presenza. Egli stesso, fatto uomo, ha voluto condividere in tutto la nostra debolezza, e sa bene che cos’è il patire. Perciò a Lui possiamo dire e affidare il nostro dolore, sicuri di trovare compassione, vicinanza e tenerezza».
Bergoglio si rivolge agli operatori sanitari, ai tanti che, come lui, sopportano una malattia: «Non è sempre facile, però è una scuola in cui impariamo ogni giorno ad amare e a lasciarci amare, senza pretendere e senza respingere, senza rimpiangere e senza disperare, grati a Dio e ai fratelli per il bene che riceviamo, abbandonati e fiduciosi per quello che ancora deve venire. La camera dell’ospedale e il letto dell’infermità possono essere luoghi in cui sentire la voce del Signore che dice anche a noi: “Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?”. E così rinnovare e rafforzare la fede».
Nell’omelia letta da Fisichella, il Papa richiama le parole del suo predecessore: «Benedetto XVI – che ci ha dato una bellissima testimonianza di serenità nel tempo della sua malattia – e ha scritto che “la misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza” e che “una società che non riesce ad accettare i sofferenti è una società crudele e disumana”. È vero: affrontare insieme la sofferenza ci rende più umani e condividere il dolore è una tappa importante di ogni cammino di santità».
Come ha ricordato al Corriere il cardinale Pietro Parolin, suo Segretario di Stato, il Papa in questo periodo non ha mai smesso di governare la Chiesa e si è tenuto aggiornato sugli sviluppi della situazione internazionale. «Ringrazio le detenute del carcere femminile di Rebibbia per il biglietto che mi hanno mandato, prego per loro e per le loro famiglie», ha scritto nel testo dell’Angelus, prima di invocare ancora una volta la fine dei conflitti: «Continuiamo a pregare per la pace: nella martoriata Ucraina, colpita da attacchi che provocano molte vittime civili, tra cui tanti bambini. E lo stesso accade a Gaza, dove le persone sono ridotte a vivere in condizioni inimmaginabili, senza tetto, senza cibo, senza acqua pulita. Tacciano le armi e si riprenda il dialogo; siano liberati tutti gli ostaggi e si soccorra la popolazione. Preghiamo per la pace in tutto il Medio Oriente; in Sudan e Sud Sudan; nella Repubblica Democratica del Congo; in Myanmar, duramente provato anche dal terremoto; e ad Haiti, dove infuria la violenza, che alcuni giorni fa ha ucciso due religiose».
Il pontefice, ricoverato al Gemelli dal 14 febbraio al 23 marzo, sta seguendo un piano di fisioterapia e le sue condizioni sono in via di miglioramento. L’ultimo bollettino da Santa Marta, due giorni fa, parlava di «progressi nella voce e nella mobilità».
Nel testo per l’Angelus, preparato da Francesco per oggi, il Papa fa riferimento ai suoi 38 giorni in ospedale, in cui per due volte ha rischiato di morire (come ha raccontato il suo medico, Sergio Alfieri, al Corriere): «Come durante il ricovero, anche ora nella convalescenza sento il ’dito di Dio’ e sperimento la sua carezza premurosa. Nel giorno del Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità, chiedo al Signore che questo tocco del suo amore raggiunga coloro che soffrono e incoraggi chi si prende cura di loro».