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 2025  aprile 05 Sabato calendario

Biografia di Giuseppe Maffiioli

Inizia il viaggio alla scoperta del regista morto nel 1985: amante dei buoni piatti, era gracile di costituzione ma divenne un omone dopo una polmonite. Da militare trasformava la carne in scatola Usa in cibo gourmet. Una delle migliori descrizioni gliel’ha dedicata la sua biografa, la brava Caterina Vianello, che Giuseppe «Bepo» Maffioli non l’ha mai conosciuto, per motivi anagrafici, ma la cui eco le era giunta da memorie familiari e letture: «Storico, cuoco, antropologo, viaggiatore curioso. Maffioli non vive in un’unica definizione, ma si muove veloce tra mille etichette», tuttavia non ritenendosi condizionato da nessuna di esse. Rinforza la dose lo storico Massimo Montanari: «È stato tra i primi a valorizzare il ruolo della cucina come componente fondamentale del patrimonio culturale di una società». La conferma è a opera del trevigiano Ulderico Bernardi, in un volume curato dall’Accademia italiana della cucina in occasione del ventennale della scomparsa: «Ha dato valore alla tradizione di piatti, prodotti» eredità di generazioni in un momento in cui «uscendo dalle grandi abbuffate delle mangiatoie collettive» in molti locali, i ristoratori e la clientela venivano attratti dalle proposte della emergente nouvelle cousine d’Oltralpe, spesso «mettendo poco e strambo facendoli pagare uno sproposito».
È tempo di riavvolgere la pellicola. Giuseppe Maffioli nacque a Padova il 28 aprile del 1925, ma ben presto la famiglia si trasferì a Treviso. Ricorda la sorella Anna Maria: «Pesava un chilo e mezzo, è stato gracilino per tutta l’infanzia». Molto attaccato a mamma Pia, che gli trasmise la passione per il teatro, mentre quella per i fornelli arrivò da nonno Giuseppe e zia Teresa, regista in cucina. Ebbe a confessare anni dopo, nel suo li ghiottone veneto: «In certi pomeriggi, per combattere la noia» saliva nel solaio di famiglia alla scoperta di vecchi bauli in cui erano conservati libri e riviste di cucina, ricettari diversi. Con un’altra zia, Letizia, passava parte delle sue vacanze a Venezia, e da lì, immancabile, la scoperta dei riti e delle magie dei rivenditori di pesce al mercato di Rialto, un vero teatro a dimensione edibile di lische e squame, mentre invece a San Vito di Cadore si addestrò alla cucina di montagna, sotto l’occhio compiacente di un cuoco amico di famiglia.
Terminati gli studi magistrali, entrò nella trincea dell’insegnamento di congiuntivi e tabelline in una scuola elementare di Silea dove, tra gli altri, avrà come allievi Giancarlo Pasin e Annibale Toffolo, che incontreremo più avanti, lungo il suo percorso biografico. Restò nella memoria di molti suoi allievi non tanto per i voti più o meno alti ma perché, ai più meritevoli, regalava qualche biscotto che andava a prendere dal panettiere di fronte alla scuola. La passione per il teatro va di pari passo con quella per la cucina. Compone delle commedie, tra cui una biografia di Papa Sarto, ovvero Pio X, che riscosse un notevole successo. Diventa uno dei collaboratori fissi de La cucina italiana diretta dalle sorelle Gosetti che gli diedero ampia fiducia, tanto che fu autore di numerosi articoli e aveva licenza di firmarsi pure con nomi diversi. E proprio tra queste pagine inizia a scrivere una sorta di iniziale autobiografia, Diario di un mangiomane, che meriterebbe, da sola, la sceneggiatura per un film anche perché poi, come attore, Maffioli fu protagonista di svariate pellicole.
«Sino a dieci anni ero di costituzione gracile», tanto che la tata di famiglia lo chiamava «il mio ranocchietto». Galeotta fu una broncopolmonite che mobilitò tutta la famiglia: venne talmente ipernutrito che la domestica, con l’occhio clinico, senza il supporto radiologico, ebbe a diagnosticare: «Deve avere delle budella dilatate come le maniche della camicia», che gli andava naturalmente sempre più stretta. Dopo le elementari viene mandato a Possagno, patria del Canova, in un collegio cattolico, con le regole, anche alimentari, conseguenti. A pranzo venivano servite parche polpettine ma non a tutti gradite e, quindi, «quelle meno morbide me le facevano correre sotto il tavolo come rotelline» che lui acchiappava al volo mentre «il lettore ufficiale leggeva patetiche storie di martiri e missionari».
Scorrere le pagine del diario mangiomane è teatro puro come quella volta che «la mia curiosità golosa rasentò il sacrilegio», racconta. Al termine di un pomeriggio dedicato al latinorum adocchiò un rosarione di semi di carruba. Ne assaggiò uno, ma non sapeva di nulla. «Mi sentii un sacrilego», ricorda. Dopo atroci rimorsi trovò la forza di confessarsi con il suo prete di riferimento, «un sant’uomo che noi ragazzi giuravamo si alzasse da terra durante la messa, in rapimento estatico». L’assoluzione fu conseguente. Una redenzione che lo fa resistere a ulteriori tentazioni. Un giorno un compagno «di clausura collegiale» gli si avvicina con un rosario di noccioline. Maffioli gli offre in cambio un libro di Salgari che aveva appena terminato... ma sa resistere alla tentazione, in modo creativo. Rinuncia al rosario di noccioline e lo scambia, laicamente, con una più consistente stecca di cioccolato al latte con nocciole.
Ma le prove della vita lo inseguono, sempre a dimensione culinaria. Adolescente, viene più volte operato alle tonsille, mai con un esito soddisfacente, con un conseguente terrore al solo vedere un camice bianco, al punto che «quando qualcuno cercava di farmi varcare la soglia di un barbiere, urlavo talmente tanto che sembrava scannassero un maialetto». Era inevitabile, quindi, ricorrere al barbiere a domicilio, a patto che «Si presentasse travestito da garzone del pizzicagnolo» con una cesta di provviste commestibili oppure «da ragazzo del fruttivendolo, con arance e mandarini». E solo allora, con un’arancia ben stretta in mano, il giovane Maffioli, Bepo per tutti, concedeva licenza dell’avvicinarsi di forbici e spazzole alla sua folta criniera. Sarà stata la dieta o la genetica generosa, o entrambe, a un certo punto il nostro «cresce come un asparago, raggiugendo misure militari per l’altezza e le dimensioni del torace», ma il tutto non lo penalizza nei suoi talenti, tanto che, «pur in preda alla mia ghiottoneria, possedevo un animo gentile», tanto da scrivere poesie con rime baciate, una dedicata alla frittella carnevalesca, quasi un omaggio alle storie di Goldoni e Ruzante che divorava con curiosità.
Anni difficili; una stazza che non corrispondeva all’anagrafe, tanto che «cercavo di mimetizzarmi con compagnie di amici più anziani di me» posto che era troppo grande per i suoi coetanei, ma ahimè troppo giovane per gli amici di pari statura. Fu su queste basi che maturò così il Maffioli poliedrico che incontreremo nei suoi successivi capitoli di vita. «Trascorsi anni di gran solitudine, leggendo un numero incredibile di libri» e dilettandosi di apprendista cuoco nella cucina di famiglia, tanto che, chiamato al servizio militare e spedito immantinente alla mensa ufficiali «mi sbizzarrii nei cento modi per ammannire» cioè servire «la carne in scatola spedita dagli americani». Al che i suoi superiori con le stellette più volte gli fecero i complimenti confessandogli che mai avevano cominciato così bene. Ma, pur con la divisa di complemento, Maffioli mantenne una sensibilità per certi versi unica. Il 7 aprile 1944, un bombardamento alleato devasta il centro storico di Treviso. «Vidi un bambino solo su di un muro a piangere». Dietro di lui le macerie in cui, molto probabilmente, erano rimasti sepolti i suoi affetti più cari. «Avevo con me tre mele, gli diedi la più bella. La addentò e smise di piangere. La mordicchiava e sembrava la baciasse, come se volesse riempire in quei piccoli baci la solitudine in cui si era trovato all’improvviso. Mi seguiva come un cagnetto e non voleva lasciarmi», fino a che lo stesso Maffioli non lo condusse tra le braccia di una giovane crocerossina. Poesia pura. Uno dei tanti capitoli di un viaggio nel mondo di Bepo Maffioli tutto da scoprire.  
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