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 2025  aprile 06 Domenica calendario

Manfredi Mangione, 17enne sfigurato per difendere un coetaneo: «Mi hanno distrutto il volto, ma non chiamatemi eroe»

Ti vuoi presentare tu?
«Mi chiamo Manfredi Mangione, ho 17 anni, e frequento il quarto anno del liceo scientifico internazionale a Roma. L’otto marzo…».
Festa della Donna. Era un sabato.
«Poco dopo mezzanotte sono uscito da un locale e stavo passando con due amici per piazza Mancini».
Per chi non conosce bene Roma, si tratta del piazzale di fronte allo stadio Olimpico, dalla parte opposta del Tevere.
«Ero vicino alla fermata degli autobus, quando vedo tre ragazzi grandi che ne picchiano un quarto della mia età. Uno dei tre si limitava a dargli qualche spintone, ma gli altri due ci andavano giù pesante. Calci e cazzotti, cazzotti e calci. Lui cercava di muoversi all’indietro, ma dietro c’era il muro. Era circondato e senza vie di uscita».
Lo conoscevi?
«Di vista. Non era un mio amico. Perché lo stavano menando l’ho poi saputo dopo. Aveva guardato una ragazza che stava con loro. O loro ne avevano guardata una che stava con lui, non so. Cavolate da discoteca».
Sul momento che cosa hai pensato?
«Quando ho visto che aveva del sangue in faccia, non ho pensato più niente. Ho cominciato a correre verso di loro. Volevo separarli. Aiutarlo. Ma non ho attaccato briga con nessuno: non è nel mio carattere e poi sarebbe stato stupido, erano troppo grossi per me. Ho soltanto detto: Ragazzi, calma».
E loro?
«Avevo ancora la bocca aperta su quel “calma” quando ho sentito una frustata alla mandibola. Uno dei tre mi aveva colpito da dietro con un cazzotto. Non avendo visto partire il pugno, non ho potuto indurire la mascella e fare resistenza. Il colpo da dietro è proprio un’infamata».
Sei caduto?
«No, e non ho neanche perso i sensi. Pensavo di essere dentro un sogno e che a un certo punto mi sarei svegliato. Sentivo scricchiolare tutta la bocca. Ero sicuro che mi fossero saltati un bel po’ di denti. Poi ho cominciato a barcollare e a sputare sangue. Gli amici mi hanno raggiunto e i picchiatori si sono allontanati, così il ragazzo più piccolo è riuscito a scappare».
Ti sembravano sotto l’effetto di qualche droga?
«Di sicuro avevano bevuto e fumato erba. Un bell’intruglio».
Che cos’hai fatto a quel punto?
«Ho chiamato papà e appena tornato a casa me lo sono trovato sul mio letto. Gli ho detto che avevo solo preso una brutta botta. Parlavo poco per non fargli vedere che perdevo ancora sangue dalla bocca. Intanto però il male aumentava, sentivo la mascella che “scalava” dentro le guance: impressionante. Mi sono messo del ghiaccio e mi sono addormentato: è stata l’ultima notte in cui sono riuscito a farlo».
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E al mattino?
«Mi sono risvegliato col cuscino sporco di sangue. Ho detto ai miei: forse dobbiamo andare in ospedale. Al pronto soccorso siamo stati sei ore in sala d’attesa e ho avuto il tempo di raccontargli tutto. Poi è arrivato il responso della Tac. Il medico mi ha chiesto: “Senti qualcosa sotto il mento?” Mi tocco e mi accorgo di non sentire più niente. Rompendomi la mascella, quel pugno mi ha spappolato il nervo che comanda la sensibilità del labbro inferiore fino al mento. Non sento più né il caldo né il freddo. Pensa che ho provato a mangiare un gelato e mi sono sbrodolato come un bambino».
Ti hanno operato?
«Tre giorni dopo, al Gemelli. Viti e placche dappertutto. E lì ho smesso definitivamente di dormire. Ho capito che la forza dell’essere umano sta tutta nel morso. Senza la possibilità di mordere ti senti impotente. Sei come un cane con la museruola».
Riesci a mangiare?
«Solo vellutate e purè. Mi sogno un piatto di pasta anche da sveglio».
Oltre al dolore e alla fame, cos’altro provi?
«Col passare dei giorni mi è cominciata a montare la rabbia. Perché non me lo merito, fondamentalmente. Avrei voluto spaccare tutto, o almeno urlare. E invece manco quello, perché avevo la bocca bloccata».
Quante possibilità hai di guarire?
«Potrò recuperare la sensibilità al 70 per cento, se va bene».
Che cosa pensi di chi ti ha conciato così?
«La vendetta non fa parte della mia natura. Tanto sono sicuro che la vita gli riserverà quel che si merita. Non è una minaccia, è una constatazione. Ho fatto denuncia ai carabinieri, vedremo».
Se ti capitasse davanti?
«Gli direi di chiedermi scusa. Ma se poi provo a immaginarmi la scena, sento che non mi darebbe alcuna gratificazione. Sai che ti dico? Non me ne importa niente. Secondo me, lui non sa neanche che cosa mi ha fatto. Quella è gente balorda, chissà quanti cazzotti del genere ha tirato in vita sua. In certi ambienti c’è ancora una cultura maschilista, l’idea che il vero uomo sia quello che mena più degli altri per farsi rispettare».
Lo rifaresti?
«No. Urlerei “c’è la polizia”, perché appena lo dici si spaventano subito e smettono».
Che cosa pensi di avere imparato?
«Prima davo tutto per scontato. Adesso capisco quanto sia meraviglioso anche solo poter masticare una noce… Poi ho imparato a diventare più paziente. E quanto sia inutile e infantile mettersi in mezzo alle risse: rischi di farti male, oppure di avere anche tu problemi con la legge. D’ora in poi sarò più accorto nel valutare le situazioni. L’errore è stato non calcolare quel che poteva succedermi. Spero non mi ricapiti più, ma se mi ricapita, chiamo la polizia».
Hai visto la serie tv Adolescence, incubo di tutti i genitori?
«Non ancora, ma la vedrò. Il problema della nostra generazione è che ci sentiamo più grandi di quello che siamo. E infatti andiamo con i grandi in discoteca».
A diciassette anni andavo anch’io in discoteca.
«Sì, ma al pomeriggio o alla sera?».
Al pomeriggio.
«Lo vedi? Noi invece la sera, fino a notte fonda. C’è troppa voglia di bruciare le tappe. E poi il telefono: ti sembra uno scudo, dietro cui puoi fare il fenomeno. Invece ogni cosa che pubblichi ti si può rivoltare contro da un momento all’altro».
Sei tornato a scuola.
«Sì, ho voluto farlo, e poi avevo un’interrogazione di latino. Mi hanno accolto bene. Non sono mai stato solo. Anche se mi sento solo».
E il ragazzo che hai aiutato?
«Sono riuscito ad avere il suo numero e gli ho scritto per sapere come stava».
Per sapere come stava lui?
«Mi ha risposto con un bel messaggio: “Grazie. Per salvare la mia vita, ti sei rovinato la tua. Quel che è successo a te stava per succedere a me…».
Sei un piccolo eroe.
«Me lo hanno detto tutti che ho avuto coraggio e che mi sono fatto male con onore. Ma non scherziamo, gli eroi sono altri… Io di eroi non ne ho. Ho un mito: papà. Però mi sa che gli devo dare più retta perché alla fine, scoccia dirlo, ha sempre ragione lui».