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 2025  aprile 06 Domenica calendario

Da Orbán a Vucic, traditi gli alleati più fedeli a Donald

Donald Tusk ci ha provato fino all’ultimo: “Think about it, mr president” (“Pensaci, presidente”). L’appello del primo ministro polacco a Trump, arrivato dopo la firma a un contratto da due miliardi di dollari per i sistemi missilistici americani Patriot, è stato vano: la scure dei dazi statunitensi ha falciato anche le economie dei più fedeli tra gli alleati di Washington. Soprattutto, quelle dei cheerleader europei del tycoon. Da Budapest a Belgrado si sono svegliati vulnerabili e traditi.
Un report del 2024 stilato dalla Confederazione dell’industria danese stimava già la frenata della crescita di Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Slovacchia (con perdite che andavano dal 2 al 4% del Pil). Ora i dazi Usa possono abbassare il Pil polacco dello 0,4% (oltre 2,5 miliardi di dollari): a dichiararlo, diffondendo stime provvisorie dell’Istituto di economia di Varsavia, è stato il premier Donald Tusk ancor prima che i mercati andassero nel panico. Per il premier, quello dei dazi, è stato “un colpo duro e spiacevole perché proviene dal nostro più stretto alleato”. Le ripercussioni peggiori in Polonia (che si è impegnata a destinare in chiave anti-russa quasi il 5% del Pil, come richiesto da Trump) le subiranno le fabbriche legate al settore automobilistico, soprattutto l’industria di componentistica per veicoli che rifornisce aziende tedesche e francesi.
Più di tutte, però, per i dazi trumpiani soffrirà “la Detroit d’Europa”, la Slovacchia, che produce più auto pro capite di qualsiasi altro Stato al mondo
. Nel settore automotive, in un Paese di cinque milioni e mezzo di abitanti, lavorano circa 250 mila persone. La Slovacchia ha salari più bassi rispetto ad altri Stati membri dell’Ue e costi di produzione ancora più bassi, ma ora, scrive Cnbc, “se la Germania è la più esposta ai dazi automobilistici in termini di valore”, sarà la Slovacchia “la più esposta in termini di volume totale per le esportazioni verso gli Stati Uniti”. Secondo la Banca nazionale slovacca, i dazi Usa possono ridurre anche la crescita del Pil della vicina Repubblica Ceca di quasi tre punti percentuali entro il 2027: intanto il 2% di crescita previsto nel 2025 si ridurrà all’1,6%. Non ci sono ancora stime dettagliate sul possibile impatto finanziario per gli Stati che già affrontano l’inflazione per la rinuncia al gas russo dall’inizio del conflitto ucraino.
Nonostante il colpo inflitto dall’amministrazione Trump anche alla sua economia, nel bastione conservatore dell’Est, l’unico a non prendersela con il tycoon ma con Bruxelles, è Viktor Orbán. Per bocca del suo ministro degli Esteri, Peter Szijjarto, ha accusato l’Ue di “errore strategico”: ora bisogna negoziare perché se la situazione rimane uguale, ci sarà “un altro colpo per la comunità europea”. Sanguinano pure i Balcani, dove la Trump family (la società del genero Jared) ha appena ottenuto l’ok per la costruzione di mega hotel da miliardi di dollari: a Belgrado, dove le proteste contro il governo Vucic vanno avanti già da mesi, nessuno ha il coraggio di commentare la scelta americana di colpire la Serbia con i dazi tra i più alti (al 37%); meno peggio è andata a Bosnia (al 35%) e Macedonia del Nord (33%).
“Sono curioso di sapere come i nostri esponenti della destra spiegheranno il fatto che i dazi che Trump sta imponendo all’Unione europea saranno il doppio di quelli per la Russia”, ha scritto il ministro degli esteri polacco Radoslaw Sikorski. È un paradosso perché la Russia non è stata colpita (come Bielorussia, Cuba e Nord Corea), ma è già sanzionata: sono le stesse autorità americane a riferire che per fertilizzanti, metalli e uranio tra Mosca e Washington ci sono stati comunque 3 miliardi e mezzo di scambi nel 2024. I russi, nel vedere i mercati degli europei colpiti dall’alleato oltreoceano, non hanno resistito allo sbeffeggio: adesso “i servi” si stanno lamentando.