La Stampa, 5 aprile 2025
Gli schiavi dei volantini
Si alzano all’alba. Rincasano a notte inoltrata. Mangiano riso e carne in scatola, seduti per terra. Dormono su materassi luridi. Anche in dieci per stanza. Non parlano. Si muovono in silenzio per le nostre strade. Sanno dire solo una cosa in italiano: «Pubblicità». La parola magica che può dare la svolta alla giornata. Più portoni si aprono e più volantini riescono a infilare nelle buche. Più volantini distribuiscono e più vengono pagati. Un euro in più al giorno può fare la differenza. Non li sappiamo riconoscere. Non li vediamo. Ma vivono qui. Tirano trolley carichi di carta. Portano borsoni pieni di promozioni, sconti, tre per due.
Sono l’esercito degli sfruttati del volantinaggio. Sono gli schiavi invisibili e indiretti delle multinazionali. Si chiamano Shadid, Muhammad, Singh, Ahmad. Sono tutti pakistani. Vivono, o sopravvivono, in alloggi decadenti e sporchi, nascosti nelle vie di Barriera di Milano e San Salvario.
Vivono come schiavi, controllati dai capetti, che a loro volta sono comandati dai capi. Anche loro sono pakistani. Ma ai vertici della catena del comando ci sono gli italiani.
Il caporalato a Torino esiste. E ha degli schiavi che hanno nomi e cognomi. Pochi giorni fa, tredici di questi uomini magri e dai volti scavati, gli occhi grandi e impauriti, sono sfilati in aula davanti al gip del tribunale di Torino.
È stato il pm Giorgio Nicola, che dal 2023 indaga sul caporalato del volantinaggio, a chiedere l’incidente probatorio affinché venissero ascoltate le prime tredici vittime di una lista che potrebbe contare su numeri ben più alti.
Sono otto, per ora, le persone iscritte sul registro degli indagati. Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, il reato principale contestato a tutti. Gli indagati sono due italiani, ai vertici di due imprese specializzate nella distribuzione delle pubblicità, e sei pakistani, considerati capi e capetti dell’esercito degli sfruttati. Il numero degli indagati potrebbe aumentare. L’inchiesta è ancora aperta.
Non è stato facile, per le vittime, trovare il coraggio di parlare. Sono tutte, tranne una, senza permesso di soggiorno. Sono «clandestini». Alcuni sono destinatari di decreti di espulsione. Rischiavano, fino a poco tempo fa, di finire dentro al Cpr. Poi, la procura ha chiesto per loro dei permessi di soggiorno speciali «ai fini di giustizia». C’è una legge del ’98 che prevede che si possa fare. Ecco perché questi uomini, che hanno 20, 30 o 40 anni, ma che ne dimostrano venti di più, possono testimoniare senza avere paura di essere rimpatriati nel loro paese, dove rischiano trattamenti ancora più disumani rispetto a quelli che subiscono nella nostra città.
Sono invisibili. E quindi tutti pagati in nero. «Con dimora precaria e condizioni di rilevante disagio», scrive la procura, che spiega perché è importante raccogliere le loro testimonianze adesso. E perché non è possibile rimandare le testimonianze al dibattimento. Anche se non venissero espulsi, gli schiavi dal Pakistan potrebbero vivere in «una condizione di clandestinità e conseguente irreperibilità». Tornerebbero a essere fantasmi, fuori dall’aula di giustizia che adesso li sta proteggendo. Soltanto uno di loro ha ottenuto un contratto. Firmato, per una strana combinazione, dopo che era scattata la perquisizione, il 24 gennaio 2024. Un contratto di due giorni, scaduto il 26 gennaio 2024.
Le regole d’ingaggio erano stabilite dai capetti. Nessun giorno di riposo. La paga giornaliera andava dai 20 ai 50 euro. Ma da questa somma, i caporali “detraevano” a fine mese i costi di «vitto e alloggio». Quindi, in definitiva, per sedici ore di lavoro ininterrotte al giorno, il compenso era di 3, 4, massimo 5 euro al giorno. In media. Se qualcuno si ammalava, non veniva pagato.
Eppure, nonostante le condizioni di schiavitù, il caporalato del volantinaggio poteva sempre contare su schiavi nuovi. Pakistani appena arrivati in Italia, disperati fuggiti dalla fame e dalle guerre.
Alcune delle vittime accertate sono passate dal centro della Croce rossa Fenoglio di Settimo. Altri sono stati accolti da associazioni per migranti nel Sud Italia. Sono arrivati a Torino da tutta Italia. Da Lamezia Terme a Pordenone.
Nel profondo Nord sono stati ammassati in baracche o stanze fetide insieme ai loro controllori. Il capetto controlla ogni fase della giornata. La sveglia è prima che sorga il sole. L’imperativo è «non farsi notare». Gli invisibili delle promozioni dei supermercati viaggiano a piedi. Carichi di borse. Camminano veloci. E spariscono in fretta, nelle vie affollate della città.