Libero, 4 aprile 2025
Cancellati 30 mila regi decreti
Ce ne restano esattamente 110.797. Che è un numero immenso, una roba da azzeccagarbugli consumati, una mole di leggi, cavilli e commi (inutili) che ci pende ancora sulla testa: tutti scritti ben prima che l’Italia diventasse una repubblica, eppure (formalmente) in vigore. La buona notizia è che in questi giorni una sforbiciata c’è stata: l’ha proposta il ministro per la Semplificazione Maria Elisabetta Casellati (Forza Italia), l’ha votata in via definitiva il Senato e, al netto di qualche voce polemica, è riuscita a cancellare oltre 30 mila disposizioni emanate tra il secolo scorso e quello addirittura prima. «Un numero di documenti», spiega proprio Casellati, «che se messi in fila coprirebbero circa quaranta chilometri». Giusto per dare un’idea.
Le 30.709 leggi abrogate di recente sono state varate tra il 1861 e il 1946, in un mondo (e in epoche diverse) in cui la sensibilità, le esigenze, le priorità non erano quelle di oggi. Epperò sono rimaste lì, nei faldoni, nei richiami dei codici, a metà tra una cuorisità modello Trivial pursuit della storia legislativa e il richio che un avvocato un po’ troppo zelante potesse magari appellarvisi. Giurisprudenza, ovvio, il grosso delle volte, non la potevano più fare (e come avrebbe potuto, per esempio, essere attuato nel 2025 il regio decreto numero 114 del 1898 che istituiva una tassa per le lettere scambiate fra l’Italia e la Tunisia: adesso, negli anni di Internet, delle connessioni veloci, delle sim sul telefonino che sono pure virtuali e se vai in vacanza ad Hammamet mica scrivi all’albergo usando busta e francobollo?).
«È una vera e propria maxi-operazione di pulizia», continua il ministro, «condotta con rigore e con l’obiettivo di garantire la certezza dei rapporti giuridici». Ha ragione, Casellati. Una norma non attualizzata (perché alcune proprio è impossibile: come lo recuperi il regio decreto del 20 ottobre 1861 numero 185 che autorizzava il Comune di Massa a imporre una tassa di pedaggio sul trasporto dei marmi?) non è una semplice scartoffia dimenticata in soffitta buona forse per essere incorniciata e appesa in un museo. Finché non viene abrogata, norma rimane.
Sotto le forbici di Casellati sono passate disposizioni come il regio decreto numero 71 del 1895 che autorizzava il Comune di Vicenza a riscuotere un dazio addizionale per l’introduzione delle bevande vinose in fusti, mosto e uva (e d’accordo che il termine “dazi” è tornato in auge, però qui il discorso è differente); oppure come il decreto luogotenenziale del 13 giugno 1915 numero 889 «recante deroghe temporanee alla legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli» (un’aberrazione, quella dei bimbi-lavoratori, che non fa indignare solo il settore sindacale nell’anno domini 2025); o ancora come il regio decreto del 1889 che introduceva la tassa sul bestiame nella provincia di Roma; o come il regio decreto numero 2140 del 1926 che ha agglomerato in un unico Comune Nacla San Maurizio e Roditti, a due passi da Trieste, oggi cittadine slovene a ogni effetto.
Una prima sfoltita l’aveva data, nel 2010, l’allora ministro leghista Roberto Calderoli, che aveva persino dato fuoco (letteralmente), con tanto di lanciafiamme, a 150 scatoloni sul piazzale delle Scuole Antincendio di Roma per simbolizzare visivamente le 35 mila leggi abolite allora. Casellati si è limitata a un annuncio sui social network, ma il risultato è lo stesso e la linea intrapresa idem.
Alcuni costituzionalisti, è vero, hanno parlato di una misura “di facciata” e con un impatto concreto poco rilevante, però il punto è un altro. È che nell’Italia come la conosciamo noi, quella repubblicana, sono in vigore (secondo i dati del 2023 della Cgia di Mestre) circa 160 mila norme, di cui poco più di 71 mila nazionali e 89 mila regionali o locali. Un groviglio (legislativo) che è dieci volte superiore a quello francese (che ne ha appena 7 mila), tedesco (5.500) e britannico (3 mila). Complicarci l’esistenza persino coi precetti inerenti allo Statuto Albertino è un po’ troppo. Poi uno dice la burocrazia.