La Stampa, 4 aprile 2025
Intervista a Matías Soulé
La cosa più bella dietro a un pallone per Matias Soulé, giovane (21 anni), valutato dalla Juve in estate 25,6 milioni di euro più 4 di bonus e ora occupato con la Roma a rincorrere la Champions, è la «libertà di muovermi e trovare la giocata per vincere».
Libero anche di raccontare cosa rappresenta per lei Roma-Juve...
«Una partita speciale, specialissima. Sono stato cinque anni alla Juventus, ero un ragazzino sedicenne. La sfida di domenica sarà ancora più particolare per la classifica: noi e loro ci giochiamo un posto in Champions».
Arrivò a Torino, dal Velez, nel gennaio 2020, poco prima del Covid: come è stato l’impatto con l’Italia per un adolescente argentino in quel particolare periodo?
«Mi sono abituato abbastanza velocemente, anche se con la pandemia per un periodo mi sono ritrovato con tutto chiuso e a non parlare quasi con nessuno. L’Italia e l’Argentina, forse anche la Spagna, sono paesi molto simili: non solo per la lingua, ma anche come modo di vivere».
Alla Juve, dopo le giovanili, si è ritrovato nella Next Gen, fucina di tanti altri talenti...
«Un passaggio che mi ha aiutato molto. Che permette a un giovane di crescere agonisticamente e umanamente in modo più graduale. Dalla Primavera alla prima squadra si notava la differenza tra le due categorie. Giocando in Serie C, in autentiche battaglie contro giocatori esperti, sono molto migliorato fisicamente e tecnicamente».
Consiglierebbe di allestire una seconda squadra anche alla Roma?
«Certamente, aiuterebbe tanti ragazzi. E soprattutto sarebbe anche qualcosa di buono per la società».
Alla Juve, nel passaggio con i grandi, aveva già incrociato Dybala. Alla Roma, dopo l’anno a Frosinone, se lo è ritrovato di nuovo compagno di squadra. Ci spiega il vostro legame particolare?
«Giocare insieme a Dybala era un sogno che avevo da piccolo, quando in Argentina vedevo la Serie A in tv. I miei idoli erano Paulo, Aguero e Tevez. Alla Juve ci siamo incrociati e mi ha anche aiutato, come ha fatto alla Roma: abbiamo una bella amicizia, trascorriamo tanto tempo insieme».
Anche altri argentini l’hanno aiutata?
«Sì, tutti quelli che ho incontrato. Alla Juve grazie a Paredes, ritrovato a Roma, e Di Maria è stato più facile adattarmi e stare in uno spogliatoio di grandi giocatori».
Grandi giocatori, ma anche tanti allenatori. Tra Juve, Frosinone e Roma ha già conosciuto Allegri, Di Francesco, per pochissimo tempo De Rossi, Thiago Motta, Juric e adesso Ranieri. Cosa ha appreso da ognuno di loro?
«Penso che tutti mi abbiano dato qualcosa e aiutato, anche se sono tecnici diversi con differenti qualità».
Trova delle somiglianze?
«De Rossi può ricordare vagamente Di Francesco, ma anche Ranieri e Allegri si somigliano sotto certi aspetti».
Quali?
«Nelle capacità di farci tirare fuori la grinta e la cattiveria che servono per vincere le partite».
Dopo il prestito al Frosinone, lo sbarco alla Roma. Cosa l’ha convinta a sposare il progetto dei Friedkin?
«Un giorno mi ha telefonato il mio procuratore dicendomi che mi voleva la Roma. Ho approfondito l’interesse, parlato con De Rossi e i proprietari e mi hanno convinto. Dalla prima chiamata della Roma avevo già capito che sarei venuto qui. Dopo qualche giorno di attesa, con qualche timore che potesse saltare, il trasferimento si è concluso per il meglio».
Pensava di restare alla Juve?
«Mentre giocavo col Frosinone, ero di proprietà della Juventus e pensavo di tornare in bianconero. Durante il mercato di gennaio comunicarono che mi dovevano vendere per incassare soldi, forse a una squadra araba. Quella trattativa non si è concretizzata, ma quando sono partito per il ritiro estivo sapevo già che sarei dovuto andare via».
In quel ritiro c’era anche Thiago Motta...
«Scherzava molto con me. Mi diceva di rimanere, ma sapeva la situazione».
C’erano avvisaglie che la sua avventura in bianconero potesse andare male?
«No, non se lo aspettava nessuno, anche per quello che aveva fatto al Bologna. Ma il calcio è così».
Il calcio è così, tanto che a Roma si è ritrovato con tre allenatori diversi. Come ha vissuto l’esonero di De Rossi, il tecnico che l’aveva convinta?
«Sono stati momenti difficili, anche duri. Ma nel calcio può succedere di tutto e tu calciatore devi stare sempre concentrato e cercare di ragionare lucidamente con la tua testa».
Il suo rapporto con Ranieri?
«Ho provato subito a fare quello che mi diceva. Lui ha avuto ragione, mi chiedeva di toccare meno il pallone e provare lo stesso la giocata. Poi mi lascia la libertà, negli ultimi metri, di puntare l’avversario e vedere la porta. Mi ha aiutato tanto, lo ringrazio».
Cosa è cambiato nella Roma?
«L’aria che si respira. Il mister ha dato tranquillità e fiducia a tutti, anche ai nuovi. La sua grande esperienza ci è servita. Ora si vede che viviamo un momento positivo».
L’approdo in Champions dipenderà da Roma-Juve?
«Mancano otto partite, otto finali. Ora Juve, poi Lazio e Verona: dobbiamo fare punti».
Avvertite il peso dell’assenza dalla Champions da sei anni?
«Sì, il nostro obiettivo è tornarci. Se lo meritano i tifosi e anche, per gli investimenti fatti e la passione e l’attenzione che ci mettono, i Friedkin».
Se segna domenica, esulta?
«Non ci ho ancora pensato, vediamo. Normalmente, non esulto».
Ha mai pensato di “tradire” l’Argentina per l‘Italia?
«C’è stata la possibilità, ma non ci ho mai pensato. Sono argentino e avevo già giocato nelle Under 15 e Under 17 dell’Argentina».
Cucina italiana o argentina?
«Noi argentini mangiamo carne come fosse acqua, ma il cibo italiano è super. Adoro la carbonara e la pasta al tartufo».
Fuori dal campo cosa le piace fare?
«Stare a casa, vivere una vita normale. Non mi piace tanto uscire, preferisco la Play Station».
Anche se il clima di Roma è differente da quello di Torino?
«Molto diverso, soprattutto ora che comincia la bella stagione. Qui c’è un clima top. A Torino certe mattine faceva troppo freddo».
La sua posizione ideale in campo?
«Partire da destra. Non proprio come un’ala, ma da giocatore offensivo. Mi ritengo un’ala libera».
Di Francesco è stato l’allenatore che le ha dato maggiore libertà?
«Con lui mi sono mosso più liberamente, ma anche prima avevo fatto l’esterno. La cosa che mi piace di più del calcio è proprio la libertà di movimento».
Esclusi gli argentini, quale altro compagno romanista l’ha sorpresa?
«Koné. Magari non ci capiamo per la lingua, ma in campo è fortissimo».
Soddisfatto a fine stagione se...
«Se farò più gol possibili per aiutare la squadra. Ma sarebbe più importante arrivare in Champions».
Se la Roma ci andasse e la Juventus no, sarebbe una piccola vendetta?
«No, non ho vendette da prendermi e ora penso solo alla Roma».
Ha ancora amici e rapporti con i colleghi della Juve?
«Con qualcuno sì, ci sentiamo ancora».
Domenica con chi scambierà la maglia?
«Forse con Nico Gonzalez, un altro argentino»