Il Messaggero, 4 aprile 2025
Amedeo Minghi: «Venditti non meritava il premio a Sanremo, l’ha sempre disprezzato. Una scelta forzata»
All’ultimo Festival di Sanremo gli sarebbe piaciuto ricevere un premio alla carriera, dall’alto delle sue otto partecipazioni come artista in gara, due come ospite e tre come autore (vincendo un’edizione, quella del 1989, con Canzoni, cantata da Mietta tra i “Giovani”). L’invito che Amedeo Minghi aspettava di ricevere da Carlo Conti non è arrivato, alla fine. In compenso, sul palco dell’Ariston ha ricevuto un premio alla carriera Antonello Venditti, zero partecipazioni in gara alla kermesse: «Di premi lui ne meriterebbe dieci. Ma non a Sanremo. Antonello con il Festival non c’entra nulla. L’ha sempre disprezzato, peraltro. Mi è sembrata un po’ forzata, la scelta di consegnargli quel premio», commenta il 77enne cantautore romano. Che si rifarà il prossimo 28 aprile, quando chiuderà la tournée del suo ultimo album Anima sbiadita, uscito lo scorso novembre, con un concerto ospitato al Teatro Sistina.
Cosa sta preparando di speciale, Minghi?
«Un grande concerto. Sul palco saremo in 14. Sei archi, la band, tre coristi. Ripercorrerò tutta la mia carriera, dagli esordi fino all’album uscito in autunno».
Prevede ospiti?
«No, nessuno. Sarà un racconto personale, intimo. Racconterò aneddoti e retroscena. Come quelli sugli anni d’oro della Rca Italiana di via Tiburtina, ad esempio. Renato Zero era magro come un chiodo. Un giorno Lucio Dalla mi disse: “Andiamo a sentire questo ragazzo, fa un concerto”. Renato si esibiva in un teatraccio. Sotto al palco eravamo in quattro. La cosa straordinaria è che si esibì come se davanti a lui ci fossero diecimila persone. Era chiaro che sarebbe diventato un grande artista».
In oltre cinquant’anni di attività discografica, dall’esordio del 1973 con l’eponimo Amedeo Minghi, ha inciso 17 album, scritto successi intramontabili come 1950, “Vattene amore”, “La vita mia”, lavorato con Ennio Morricone, Luis Bacalov, Mogol, Pasquale Panella: “Ma per essere apprezzati si deve morire”, ha detto. Pensa che il suo lavoro sarà rivalutato quando lei non ci sarà più?
«Sì. Mi capiranno davvero solo quando sarò morto. Sulle mie canzoni, a partire da Vattene amore, ho letto cose assurde in questi anni. E pensare che citava il Mozart delle Nozze di figaro, il “farfallone amoroso” dell’aria Non più andrai: non proprio robetta. Con Panella abbiamo recuperato lo stil novo. Stiamo pensando di scrivere un trattato sulla genesi del brano, per dimostrarne la grandezza. Magari faremo anche un recital: insieme abbiamo scritto più di 70 canzoni».
C’è qualcuno al quale dall’al di là vorrebbe tirare i piedi di notte?
«No. Non so cosa voglia dire vendicarsi. E le invidie non mi appartengono. Sono un uomo e un artista in pace».
Perché l’anima che dà il titolo all’ultimo album è sbiadita?
«Perché lo è il mondo che ci circonda. C’è confusione. Io vengo da un mondo in cui regnavano le ideologie. I miei 18 anni sono quelli del ’68. Andavo ai comizi, partecipavo alle lotte politiche e sindacali. Oggi è tutto finito».
All’epoca i cantautori per essere riconosciuti come tali dovevano essere militanti e impegnati politicamente. Lei lo era?
«No. Ho sempre evitato le etichette. Per questo certi salotti mi hanno evitato. A me andava bene così: mi dà fastidio anche avere la patente, faccia un po’ lei. L’unica cosa di cui vado fiero, e lo scriva, è il fatto di essere stato nominato Cavaliere della Roma (il club che raduna tifosi vip della squadra con storie di successo professionale, ndr). E mica da una persona qualunque, ma dal grande e compianto Franco Sensi».
Le piacerebbe, da tifoso, vedere sulla panchina Gian Piero Gasperini per il post-Ranieri?
«Nì. È un bravo allenatore: l’Atalanta veniva dal nulla e l’ha portata a raggiungere vette altissime, a livello internazionale. Ma con lui bisognerebbe dare il via a un progetto: non so se la piazza sia disposta ad avere pazienza».
Anche se non l’hanno invitata, Sanremo l’ha seguito?
«Poca roba. Mi è piaciuto Lucio Corsi. Ma a Roma si dice: quando il gatto non c’è, i sorci ballano (ride). È bastato che proponesse qualcosa di leggermente diverso dal resto per spiccare».