Avvenire, 4 aprile 2025
Siria, minoranze isolate e senza protezione
L’annuncio della composizione di un nuovo esecutivo siriano da parte del presidente ad interim Ahmed al-Sharaa è stato accolto con favore sia da parte dell’Unione Europea che degli Stati Uniti. A circa quattro mesi dalla caduta di al-Assad, il nuovo governo è composto quasi nella sua interezza da figure vicine al presidente, che con la nuova Dichiarazione costituzionale si è attribuito ampi poteri a livello legislativo, esecutivo e giudiziario. Dei 23 ministri, quattro appartengono a minoranze – un cristiano, un curdo, un alauita e un druso – seppur nessuno di loro sia stato posto a capo di ministeri chiave.
Washington considera l’insediamento del nuovo governo un «passo positivo», ma non ancora sufficiente per alleggerire le sanzioni contro Damasco, mentre Bruxelles si dichiara pronta a impegnarsi con il nuovo governo per aiutarlo ad affrontare le immense sfide che lo attendono. Ma è fondamentale – sottolineano in una nota congiunta la rappresentante per la Politica estera Ue, Kaja Kallas, la commissaria europea per la gestione delle crisi, Hadja Lahbib, e la commissaria per il Mediterraneo, Dubravka Suica – «che tutti gli attori esterni rispettino pienamente l’unità, la sovranità e l’integrità territoriale della Siria. L’Ue condanna qualsiasi tentativo di minare la sua stabilità e le prospettive di una transizione politica pacifica e inclusiva».
Eppure, lo scollamento tra la percezione della politica internazionale su quanto accade in Siria e la realtà dei fatti all’interno del Paese sembra abissale e lascia poco spazio alla speranza. Soprattutto per quei siriani che quotidianamente si confrontano con la mancanza di sicurezza, l’assenza delle istituzioni e degli apparati burocratici, la disoccupazione, un’economia completamente allo sbando e, non ultimo, lo stillicidio dei soprusi e delle persecuzioni nei confronti delle minoranze.
Una situazione di grave difficoltà che è stata descritta ai media vaticani da un sacerdote del governatorato di Homs, che chiede il completo anonimato per ragioni di sicurezza.
«La nostra chiesa è stata mitragliata due notti fa – racconta il religioso –. A poca distanza, è stata presa di mira la casa di una famiglia cristiana che ha dei bambini piccoli. È la terza volta in poche settimane», aggiunge il religioso spiegando che sono episodi all’ordine del giorno e che i responsabili restano impuniti. «I cristiani in molte località non escono neppure di casa se non è strettamente necessario alla sopravvivenza».
Gli omicidi motivati dall’appartenenza religiosa o etnica sono frequenti. Il 31 marzo a Homs, – riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani – due uomini armati hanno fatto irruzione in una casa in un quartiere dove convivono alauiti e sunniti, uccidendo a sangue freddo una donna e tre dei suoi figli, tra cui una bambina, e ferendo il padre. Secondo l’Ong, la famiglia era alauita e gli aggressori erano «un ufficiale della sicurezza generale e suo figlio».
«Le uniche armi in circolazione sono nelle mani di chi ha preso il potere – spiega il sacerdote –. Ormai non sappiamo neanche più se ci conviene denunciare alle autorità gli attacchi che subiamo». Non c’è nessuna fiducia che il nuovo governo porti qualche cambiamento e «anche i rappresentanti delle minoranze nell’esecutivo non godono di particolare credito. Tutti i diversi gruppi al potere hanno come referenti Paesi terzi».
E poi c’è il problema della mera sopravvivenza quotidiana, anche per quelli che un lavoro ce l’avrebbero, ma i salari non vengono pagati da mesi. «I miei parrocchiani – racconta il religioso – mi cercano per chiedere supporto economico perché non trovano niente da mangiare alla fine della giornata. Cerchiamo di distribuire un po’ di viveri e denaro, ma alla fine tutti chiedono un aiuto per lasciare il Paese. Non vogliono più vivere in Siria. Il futuro è oscuro». Nel Paese resistono ancora poco più di mezzo milione di cristiani appartenenti alle diverse confessioni, ma sono sparsi su un territorio molto vasto e le Chiese fanno fatica ad adottare una posizione comune per rispondere compatte alle nuove sfide del cambiamento politico.
«Abbiamo bisogno di qualcuno che sostenga i cristiani di Siria in questo nuovo contesto, qualcuno che promuova le loro aspirazioni ad essere parte della costruzione della nuova Siria. In questo momento però nessuno ci dà ascolto».