Corriere della Sera, 3 aprile 2025
La figlia di Ennio Doris: «Da piccoli la casa in affitto e i regali solo a Natale, con Berlusconi rimborsò i clienti dopo il crac Lehman. Prima di lui in uno spot solo Giovanni Rana»
«Io parto dalla fine. Nell’ultimo anno papà era malato, entrava e usciva dall’ospedale. Una volta un’infermiera mi disse: “Tuo papà sembra uno di noi”. Il fatto che un uomo tanto conosciuto si rivelasse così disponibile, li aveva sorpresi. L’idea di raccontare un Ennio Doris più personale è stata condivisa da noi famigliari e anche dall’altra famiglia, Mediolanum. Papà è stata una grande forza di ispirazione, non potevamo tenerci tutto per noi». Ennio, mio padre è il libro scritto da Sara Doris, vicepresidente di Mediolanum e guida della fondazione che porta il nome dell’imprenditore scomparso nel 2021, partito come venditore porta a porta e arrivato a essere uno degli uomini più ricchi d’Italia. Sara Doris ha presentato il libro a Bologna nei giorni scorsi
È stato difficile dal punto di vista personale raccontare suo padre che non c’è più?
«È stato bellissimo, perché la magia di Ennio non se n’è mai andata. La verità è che ha lasciato talmente tanto amore che continua a esserci. Quando lo racconti capisci ciò che hai imparato, il passaggio del testimone a me, mio fratello Massimo e alle 10mila persone di Mediolanum».
Quando ha capito chi era suo padre?
«Papà faceva il consulente finanziario, vivevamo in affitto, avevo 5 anni e i miei decisero di costruire casa. Alla fine il costo si rivelò molto più alto del previsto. Si misero a piangere perché non erano abituati a fare debiti. Quando chiedevo un regalo, mi dicevano di no perché c’era da pagare la casa. I regali arrivavano a Natale e compleanno. Così abbiamo imparato il valore del denaro. I collaboratori di papà avevano un tenore di vita più alto, mi sembrava che fossero loro ad avere successo».
Poi nel 1982 vi siete trasferiti a Milano.
«Avevo 12 anni e mio fratello 15, fu un trauma. A Tombolo, il piccolo paese del Padovano, conoscevamo tutti. A Milano era più complesso, i primi tempi sono stati un po’ duri, poi ci siamo abituati».
Suo papà non ha mai lasciato Tombolo.
«Noi restavamo a Milano, lui e mamma tutti i fine settimana tornavano lì. Venerdì sera andavano in trattoria a mangiare il pollo. Quando papà andava negli Usa per i road show spesso si portava gli amici di Tombolo, così nel tempo libero giocavano a carte».
Da piccola vedeva Berlusconi a casa?
«All’inizio più nelle occasioni pubbliche, tipo le convention. Poi, crescendo, ci si vedeva nelle vacanze estive in Sardegna. Qualche giorno dopo la perdita di papà, lui chiamò per dirci che di qualsiasi cosa avessimo bisogno era a disposizione. La loro era un’amicizia fraterna».
La loro scelta di rimborsare gli investitori dopo il crac Lehman è finita nei film.
«Anche perché non fu la banca a rimborsare. Per tutelare i piccoli azionisti misero di tasca propria 120 milioni, il rimborso arrivò in 3 mesi».
Qual è l’insegnamento che le ha lasciato?
«A parte la capacità di amare, il suo ottimismo. Diceva che essere pessimisti è tecnicamente sbagliato. L’ottimista vede il problema, pensa a una soluzione, la cerca e quindi la trova. La sua capacità di vedere lungo. La frase “c’è anche domani” che aveva imparato da suo padre».
A chi venne l’idea di mettere suo papà al centro dello spot?
«All’agenzia di comunicazione, la banca costruita intorno a te era ed è rimasto il nostro tratto. Una banca che al posto della filiale fisica metteva al centro il cliente con il family banker e la tecnologia. Doveva emergere il fatto che fosse la banca a venire da te. Neanche loro immaginavano quel successo».
Lui si vergognava?
«L’unico imprenditore prima di lui ad apparire negli spot era stato Rana, ma si trattava di pasta fresca. Lui pensava fosse la scelta giusta. Per la prima pubblicità dovettero andare in Sud Africa dove c’era un lago salato».
Come andò?
«Si alzava alle 4 perché si poteva girare solo la mattina presto o la sera tardi. C’era un vento così forte che gli infilavano le monetine nei risvolti dei pantaloni e nella giacca per tenere il tessuto».