ilfattoquotidiano.it, 3 aprile 2025
I dazi colpiscono anche il Parmigiano reggiano: “Dal 15 al 35%. Così si danneggiano i consumatori americani”
Le tariffe imposte dall’amministrazione americana colpiscono anche il Parmigiano reggiano, uno dei prodotti italiani più noti e diffusi all’estero. Ma i dazi voluti da Trump danneggiano i consumatori americani, senza proteggere i produttori locali. A commentare la decisione della Casa Bianca è Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio del Parmigiano reggiano. “Noi non siamo affatto in concorrenza coi formaggi locali: si tratta di prodotti diversi che hanno posizionamento, standard di produzione, qualità e costi differenti: è pertanto assurdo colpire un prodotto di nicchia come il Parmigiano Reggiano per proteggere l’economia americana”, ha dichiarato. “I dazi sul nostro prodotto – precisa Bertinelli – passano quindi dal 15% al 35%. Di certo la notizia non ci rende felici, ma il Parmigiano Reggiano è un prodotto premium e l’aumento del prezzo non porta automaticamente a una riduzione dei consumi. Lavoreremo per cercare con la via negoziale di fare capire per quale motivo non ha senso applicare dazi a un prodotto come il nostro che non è in reale concorrenza con i parmesan americani. Ci rimboccheremo le maniche per sostenere la domanda in quello che è il nostro primo mercato estero e che rappresenta oggi il 22,5% della quota export totale. Il Parmigiano Reggiano copre circa il 7% del mercato dei formaggi duri a stelle e strisce e viene venduto a un prezzo più che doppio rispetto a quello dei parmesan locali”. Per Bertinelli, quindi, “imporre dazi su un prodotto come il nostro aumenta solo il prezzo per i consumatori americani – aggiunge – senza proteggere realmente i produttori locali. È una scelta che danneggia tutti. Oggi, il vero nemico dei produttori di latte non sono le loro controparti estere, ma i prodotti che vengono chiamati ‘latte’ o ‘formaggio’ pur non avendo alcuno legame con terra e animali, come i cibi a fermentazione cellulare”.
Stefano Berni, Direttore Generale del Consorzio Grana Padano, sottolinea l’urgenza di un intervento politico e diplomatico: “Le istituzioni italiane ed europee devono attivarsi immediatamente per contrastare questo contraccolpo, adottando tutte le misure necessarie a tutelare le esportazioni dei prodotti colpiti da questi dazi ingiustificati e per noi assai penalizzanti. Siamo sconcertati perché ogni qualvolta c’è tensione internazionale i formaggi di qualità vengono colpiti oltre misura. È successo nel 2014 con l’embargo russo post invasione in Crimea e da allora non esportiamo più un solo chilo in Russia. È successo dall’ottobre 2019 al febbraio 2021, nell’ultimo tratto del Governo Trump, potrebbe succedere in Cina tra poco ed è successo di nuovo in Usa oggi”. Facendo i conti rispetto agli effetti reali, Berni precisa che “finora, su ogni forma di Grana Padano esportata negli Stati Uniti era applicato un dazio pari al 15% del valore fatturato per circa 2,40 euro al chilo – ha spiegato –. Con l’aumento del 20%, il prelievo allo sbarco in Usa salirà a quasi 6 euro al chilo al consumo che si amplificheranno ulteriormente, con inevitabili conseguenze sui prezzi americani. Il 39% esibito ieri sera sulle tabelle di Trump non è vero per quanto riguarda il caseario perché il dazio all’ingresso in Ue di formaggi americani è di circa 1,8 euro al chilo, quindi inferiore a quanto noi da sempre paghiamo, e con i nuovi dazi diventerebbe appena 1/3 di quanto noi dovremo pagare da oggi in poi. Quindi, almeno per noi, è un’inesattezza colossale che il dazio aggiuntivo sia la metà del dazio addebitato ai formaggi Usa perché, ripeto, a noi oggi costa il triplo per entrare negli Usa rispetto a quello che i formaggi Usa pagano per entrare da noi”. Secondo gli esperti del settore, questa misura favorirà soprattutto la diffusione negli Usa di prodotti “Italian sounding”, che sfruttano nomi e suggestioni della tradizione italiana senza offrire le stesse garanzie di qualità e autenticità.