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 2025  aprile 03 Giovedì calendario

Fertitta, l’ambasciatore di Trump a Roma: «In Italia meno petrolio libico. La Nato? Spesa insufficiente»

Considera Giorgia Meloni «fenomenale». È convinto, lui che ha alle spalle una carriera stellare da imprenditore, da cui ha tratto un patrimonio miliardario, che la nomina di ambasciatore in Italia sia «il lavoro più importante» della sua vita. Ma Tillman Fertitta, l’uomo scelto da Donald Trump per curare i rapporti tra Roma e Washington, ha le idee molto chiare su cosa fare una volta insediato in via Veneto. Vuole «affrontare il deficit commerciale da 44 miliardi di dollari» a favore dell’Italia e «farlo diventare molto più piccolo». Ritiene «del tutto insufficiente» la spesa militare del governo italiano rispetto agli impegni Nato. E si augura che l’Italia faccia affari d’oro con i produttori di petrolio americani e «compri meno energia dalla Libia e da altri Paesi». Un monito che non passerà inosservato agli occhi delle grandi aziende tricolori, come Eni, che puntano molto sulle forniture libiche.
Trump firma i dazi: «20% sull’Ue, ci hanno derubato per anni. Tariffe saranno reciproche, 25% su auto straniere. È il giorno della liberazione»

IL NODO DAZI
Un’ora e mezzo di audizione di fronte al Comitato per gli affari esteri del Senato americano, martedì pomeriggio, è servita a svelare cosa pensa dell’Italia Fertitta, amico personale di Trump, patrimonio da 8 miliardi di dollari, patron della pluripremiata squadra di Basket degli Houston Rockets. Senza celare il sincero entusiasmo per la nomina che lo porterà a guidare la missione italiana – in un Paese che vanta rapporti con l’America «più forti che mai» e guidato «da un primo ministro fenomenale» – il tycoon texano mette in chiaro anche cosa non va e cosa deve cambiare sull’asse Roma-Washington. Lo fa senza mezzi termini, nei giorni in cui imperversa la tempesta dei dazi fra Europa e Stati Uniti, l’Italia in mezzo al fuoco incrociato. Parte proprio dai dazi, Fertitta, e chiarisce subito che i conti commerciali non tornano. «Know your numbers, numbers don’t lie», «conosci i numeri, non mentono» scrive il prossimo inviato di The Donald in una deposizione letta dal Messaggero.
«Questo è particolarmente importante per affrontare il deficit da 44 miliardi degli Stati Uniti con l’Italia, lavorerò al fianco delle imprese per chiudere questo divario». Interrogato dal senatore repubblicano Steve Daines del Montana, passa poi ai rapporti energetici tra Italia e Usa. Ed ecco il monito libico. Eloquente. «Da una prospettiva energetica, vorremmo davvero che l’Italia faccia molti più affari con le aziende americane e non compri così tanta energia dalla Libia e altri Paesi». A scanso di equivoci, Fertitta spiega di averne discusso «con le compagnie petrolifere americane». È un passaggio delicato dell’audizione, si diceva, per diversi motivi. Non solo perché la Libia è il primo fornitore di greggio dell’Italia – nel 2024 10 milioni di tonnellate importate, pari al 20,7 per cento del totale – ma soprattutto perché gli accordi energetici con le aziende americane dell’Oil and gas possono diventare la contropartita politica nella trattativa sui dazi.

I SEGNALI
Tempo al tempo. Sono tanti i segnali di fumo lanciati dal miliardario, uomo di fiducia di Trump a Roma verso una probabilissima conferma del Congresso. I senatori mettono sulla “graticola” il candidato del presidente e lui risponde, colpo su colpo. L’Ucraina? «La priorità è che l’Italia rimanga impegnata a pieno e si allineai agli sforzi del presidente per terminare questo massacro e costruire una pace sostenibile». Le spese Nato? L’attuale 1,6 per cento del Pil impegnato nel comparto «non è assolutamente sufficiente» replica il texano, «dobbiamo arrivare al 2 per cento».
Scherza sulla «matematica creativa» con cui l’Italia e altri Paesi Nato cercano di raggiungere gli obiettivi di spesa. Salvo spezzare una lancia al governo Meloni: «Hanno speso molto sul fronte migratorio, i problemi che hanno con la Tunisia e la Libia, i centri di riconoscimento in Albania». Senza contare «che l’Italia è uno degli alleati che manda sempre truppe quando ne abbiamo bisogno da qualche parte». Fertitta è un fiume in piena. Incalzato dai senatori del comitato che insieme a lui “testano” l’ambasciatore designato da Trump per Londra, Warren Stephens, e Thomas Barrack assegnato a Istanbul. Dopo quaranta minuti di quiz, si arriva a un nodo spinoso: i rapporti tra Italia e Cina.

IL MONITO CINESE
Bill Hagerty, repubblicano del Tennessee, già ambasciatore in Giappone, ricorda la «preoccupazione» provata quando nel 2019 il governo gialloverde (Conte uno) ha firmato l’ingresso italiano nella Via della Seta di Xi Jinping. Fertitta sospira. Si dice «felice» che Meloni abbia abbandonato, alla fine del 2023, la Belt and Road Initiative. Poi però esprime un timore circostanziato. «Sono preoccupato che ci siano undici stazioni di servizio cinesi in giro per l’Italia». Si tratta delle stazioni dislocate della polizia cinese, da Roma a Firenze e Venezia, accusate dalle organizzazioni umanitarie di fornire supporto al Partito comunista per monitorare la diaspora e i dissidenti. Sono un problema, fa capire Fertitta, che sarà affrontato durante la sua permanenza a Villa Taverna. «Non sono disposti a usare toni troppo duri contro la Cina – riflette l’inviato di Trump sugli italiani – per qualche ragione tutti i Paesi, non solo l’Italia, vogliono “mettere un piede nella porta” con la Cina». Segue promessa solenne: «Se confermato, me ne preoccuperò ogni giorno per assicurarmi che rimarremo noi il loro principale alleato».