la Repubblica, 30 marzo 2025
Daniela Barcellona: “Il mio strano destino è cantare con barba e baffi”
Volevo fare la pianista, mi sono trovata cantante. Volevo essere soprano, ma ho voce di mezzosoprano. Sulla scena volevo interpretare fanciulle vezzose, invece spesso devo mettermi barba e baffi». Vestirsi da uomo in teatro è il destino di Daniela Barcellona, triestina, carriera trentennale con le bacchette che contano. Ha il fisico giusto, un metro e ottantadue d’altezza. Suoi luoghi d’elezione, il melodramma barocco e Rossini: parti concepite per castrati o, come nelle opere serie rossiniane, per donne dall’ugola blu notte, colore che si addice a maschi valorosi.
Uomo – il temibile inquisitore Bernardo Gui – la vuole perfino un compositore d’oggi, Francesco Filidei, neIl nome della rosa alla Scala – cinque recite dal 27 aprile al 10 maggio per questa attesa trasposizione del romanzo di Umberto Eco, direttore Ingo Metzmacher, regia Damiano Michieletto.
Signora Barcellona, quanti uomini ha in repertorio?
«Mai contati. Ne ho di Vivaldi, Händel, Gluck, Salieri, Bellini, Donizetti e quasi tutti quelli di Rossini. Proprio con un’opera sua è cominciata la serie. Il prode giovinetto Arsace della Semiramide.
Ginevra, 1998. Ripresa di uno spettacolo di Hugo de Ana. Alla prima prova lo recito con movenze aggraziate. “Ma che fai?”, mi dice l’assistente del regista. “Devi muoverti da maschio, pensare d’avere una muscolatura più massiccia. Pianta bene in terra piedi e gambe”. Comincia così l’allenamento per virilizzarmi: con dei pesi alle caviglie perché percepisca cosa significa occupare lo spazio avendo un corpo d’uomo.
Poi come un uomo bisogna pure cantare».
In che senso?
«Quando canti una parte femminile esprimi, per esempio, la forza d’amore con maggior levità. Da uomo, la medesima frase va pronunciata con fermezza».
In scena le sarà anche capitato di dover scambiare tenerezze con una donna o di fare alla lotta.
«Nessun imbarazzo quando c’è da baciare una collega. Si recita.
Riguardo alle scene di battaglia: nel ‘98, per Lucrezia Borgia di Donizetti alla Scala, ho frequentato la scuola di scherma insieme a mio marito per non farmi male interpretando il personaggio di Maffio Orsini».
Ora alla Scala torna per vestire i panni dell’inquisitore ne “Il nome della rosa”.
«Parte che Filidei ha confezionato su misura per me. È la prima volta che mi dedico a un’opera contemporanea. Bernardo Gui, davvero esistito, dovrà apparire autoritario sia alla vista che nel canto, aggressivo, capace di incutere soggezione perché sviluppato specialmente nella zona grave della tessitura. Le poche volte che sale all’acuto, diventando stridente, è per esprimere rabbia».
Aver fatto così tante volte il maschio l’ha aiutata a comprendere come funziona la mente di un uomo?
«Gli uomini che affronto sono tutti dello stesso genere, frutto di poesia. Li caratterizzano nobiltà disentimento, purezza d’animo, senso dell’onore e propensione a sacrificarsi per il bene altrui. Spero che anche nella vita reale qualcuno così ci sia».
Magari suo marito Alessandro Vitiello?
«Lui è compagno di vita e insegnante. Pure severo. E meno male, perché al principio degli studi ero dispersiva. Preferivo andare a passeggio più che lavorare sullo spartito. Ma che sia l’uomo giusto per me è fuori discussione: 31 anni in comune, 27 di matrimonio. Il prete che ha celebrato le nozze d’argento ha detto che ormai è un traguardo a cui arrivano in pochi».
Altri uomini che per lei hanno significato qualcosa?
«Due direttori d’orchestra. Gianluigi Gelmetti ebbe il coraggiodi scommettere su di me, debuttante. Non scontato, i grandi nomi tendono a giocare sul sicuro.
Dapprima mi fece scritturare dall’Opera di Roma nei secondi cast; nel 1999 mi ritenne pronta per il debutto a Pesaro come protagonista delTancredi di Rossini. L’altro uomo è Riccardo Muti. Abbiamo girato mezzo mondo insieme. Possiede l’autorevolezza delle idee: ogni volta che ti chiede di cantare una cosa in un certo modo, te ne spiega le ragioni musicali. Neppure questo usuale.
Per la riapertura della Scala nel 2004 con la rarissima Europa riconosciuta di Salieri mandò a tutto il cast la partitura con le sue annotazioni affinché alle prove arrivassimo inappuntabili. Ma al nostro primo incontro un passaggio proprio non mi riusciva. Mi vergognai di averlo deluso. Poi studiai una notte intera perché il giorno dopo fosse contento di me».
Comunque non solo parti “en travesti” nella sua carriera...
«Certo che no. D’estate, per dire, torno al Rossini Opera Festival di Pesaro da protagonista dell’ Italianain Algeri.Inoltre da qualche anno mi dedico anche a donne di Verdi e del verismo. Figure forti, sanguigne, volitive, oscure. Virili, talvolta”.