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 2025  marzo 30 Domenica calendario

Artico, tutti contro tutti così con Trump cambia la guerra tra i ghiacci

Un quadrimotore Airbus A400 dell’aviazione francese atterra sulla neve nel profondo nord del Canada e sbarca una squadra di incursori: così due settimane fa Parigi ha voluto dimostrare la capacità di intervenire in questo deserto bianco, con temperature di trenta gradi sottozero. Una missione diventata il simbolo della nuova sfida per il controllo dell’Artico: una partita tutti contro tutti.
All’epoca della Guerra Fredda, il Polo Nord era il teatro di un confronto serrato tra Nato e Urss. Dal 2018 il ritorno delle ambizioni di potenza russe e il riscaldamento globale – che sta sciogliendo la calotta polare, in modo da rendere possibile lo sfruttamento di risorse minerarie e di inedite rotte navali – ha riaperto la competizione per il Grande Nord. Mosca ha costruito infrastrutture e creato reparti specializzati, apparendo subito in vantaggio. La rete di presidio intorno al circolo polare è arrivata a contare 13 aeroporti militari; 10 stazioni radar; 20 distaccamenti delle guardie di frontiera, che dipendono dal servizio segreto Fsb. La base a forma di trifoglio di Nagurskoye è l’icona di questa espansione minacciosa, rallentata solo dall’impegno in Ucraina.
L’insediamento di Donald Trump, che vuole impadronirsi della Groenlandia e sogna di mettere le mani sul Canada, ha spezzato ogni paradigma e aperto nella Nato spaccature pericolose come le crepe estive nella banchisa polare. L’“entente cordiale” della Casa Bianca con il Cremlino su questo fronte sta spaventando tante cancellerie occidentali: gli antagonisti non sono più soltanto i russi, ma rischiano di diventarlo pure gli americani.
Il Canada è il primo Paese chiamato a prendere decisioni drastiche, pianificando un riarmo che lo renda autonomo dagli States. Il nuovo governo liberale vuole radar a lungo raggio per proteggere i cieli senza dipendere dalla rete Norad del Pentagono; pensa a sottomarini d’attacco europei per tenere i nemici lontani dalle coste e studia di rinunciare all’acquisto dei Lockheed F-35 per puntare sull’Eurofighter o sul Rafale francese.
Macron ha subito teso la mano all’antica colonia: ha lanciato un programma per investire 11 miliardi in ricerche nell’Artico. Non solo. Il presidente ha mandato uno dei suoi sottomarini nucleari – il Tourville sulla costa della Nuova Scotia, a meno di 300 chilometri dalla frontiera con gli Usa, facendolo emergere in superficie in modo che il messaggio fosse chiaro a chiunque: ogni battello ha quindici missili con testata atomica multipla.
L’altra novità è il “trio vichingo”. Ai tempi dell’Unione Sovietica, la Nato ha sempre affidato alla Norvegia il compito di “custode dell’Artico”: con l’adesione di Stoccolma e Helsinki si è formato uno schieramento affiatato e determinato, che dispone della maggiore esperienza e dei migliori equipaggiamenti per combattere in ambiente artico. Si tratta di scenari in cui è il fattore umano a fare la differenza, perché i soldati devono sapere resistere a temperature e venti infernali. Pure i danesi – che hanno la sovranità sulla Groenlandia – stanno tornandoad armarsi: nel 2004 avevano mandato in pensione tutti i sottomarini, adesso ci stanno pensando di riformare la flotta subacquea.
I “vichinghi” contano sul sostegno dei britannici, che da sette anni hanno affidato ai Royal Marines la missione polare. La prima prova del blocco scandinavo potrebbero essere le isole Svalbard, su cui da due settimane si è aperta una crisi diplomatica tra Russia e Norvegia.
La Cina ha una proiezione militare limitata verso il Polo mentre punta a dominare le rotte marittime rese possibili dallo scioglimento della calotta. Dal 2022 le sue iniziative sono diventate simbiotiche con quelle russe: non è un caso se uno degli episodi di sabotaggio più gravi nel Baltico – la distruzione del gasdotto Balticonnector – sia stato realizzato da un mercantile rompighiaccio che faceva la spola tra San Pietroburgo e la Cina passando da Nord. Anche Pechino però osserva con diffidenza il feeling tra Putin e Trump, temendo di venire chiusa nell’angolo.
Non bisogna infine dimenticare che pure l’Italia ha una robusta tradizione polare: negli anni Settanta i piani Nato prevedevano che gli alpini della Taurinense venissero rischierati in Norvegia
. Dallo scorso anno il capo di Stato maggiore dell’Esercito, Carmine Masiello, ha dato impulso all’addestramento artico, perché permette di testare persone e mezzi nelle condizioni di massima difficoltà. Un contingente di 400 alpini si è addestrato nel 2024 nell’area di Maze, la più a nord in assoluto nella storia italiana, e poche settimane fa c’è stata un’esercitazione sulle Dolomiti a duemila metri: 1.300 militari si sono confrontati con uno “scenario” identico a quello polare, con termometro sotto i meno venti, e hanno testato tutti gli strumenti, incluse le trasmissioni via satellite: lì la curvatura terrestre rende le comunicazioni molto difficili.