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 2025  marzo 30 Domenica calendario

«Depresso per colpa di Mel Gibson»

«Con quel film andai in depressione». La Passione di Sergio Rubini. Al Bif&st di Bari riceve il premio alla carriera e parla del mestiere dell’attore, centrandolo sull’avventura tragicomica vissuta nel 2004 sul set del sanguinolento film di Mel Gibson. Nelle stesse ore, l’attore americano annuncia il sequel del film La Passione di Cristo, girato a Cinecittà, in Puglia e di nuovo a Matera e intitolato The Resurrection of the Christ. Il protagonista, sarà ancora Jim Caviezel.
Ma le porte del Paradiso Sergio Rubini non le vedrà. Anzi, lui all’epoca vide l’Inferno. E lo ricorda in un monologo esilarante, per rimarcare le differenze tra la scuola italiana della Commedia dell’Arte, e quella dell’immedesimazione di Stanislavskij, cara agli americani, per cui una volta Mastroianni disse a Fellini: «Ah Federi’, Marlon Brando sta da tre mesi al camposanto perché deve fa’ uno che muore».
Così ricorda che Caviezel «diceva di essere stato chiamato il giorno del suo trentatreesimo compleanno, e che tra i sassi di Matera pensava di moltiplicare i pani e i pesci». Poi quel film «era pieno di preti, ma preti veri, lefebvriani, quelli con l’abito rosso, dogmatici, severi, con in mano l’ostia consacrata offerta al cast. E per la voglia di compiacere il regista, via con le apparizioni, ad alcuni di notte sembrava di aver visto la Madonna. Anche Giuda lo disse e lì Mel Gibson, che considerava quel film un destino, una folgorazione, si arrabbiò».
«Clima misticheggiante, si diceva messa tre volte al giorno, in italiano, latino e inglese». Era novembre, faceva un freddo cane. Sergio Rubini, praticamente nudo, interpretava «il ladrone buono» che sale sulla croce accanto a Gesù Cristo, e per il realismo anglosassone doveva restarsene tutto il tempo appeso alla croce, «ma nei tempi morti potevo appoggiarmi a un sellino da ciclista di una bici da corsa, molto piccolo, dal quale mi sfilavo appena Gibson, che, ormai uscito di senno, camminava con la frusta in mano, esclamava azione. E in più avevo una guaina con dei tubicini per fingere il sangue che scendeva copioso. Doveva sembrare tutto vero, mi lanciavano addosso perfino il fango, accanto avevo un manichino identico a me, con la guaina: sembrava più vivo il manichino. Per Il talento di mr Ripley, l’altra mia esperienza Usa, fu tutto fantastico. Ora mi ritrovavo a recitare in aramaico, ma per fortuna quei suoni gutturali con le vocali aspirate somigliano al dialetto di Grumo Appula, il paese dove sono nato, è qui vicino, a 20 minuti da Bari».
Il sacro si mescolava al profano, in quel delirio di apocalittici toni predicatori americani miscelati al materialismo yankee. Di notte Mel Gibson si ubriacava e andava a bussare alle attrici. Religioso di giorno, peccatore di notte: «L’immagine che dava del Paradiso era quella di Las Vegas, accorrete che ci ubriachiamo, facciamo l’amore. Pensai che mi avesse scelto per punirmi».
Non potendo fare miracoli, Rubini cadde in depressione. «Mel Gibson mi sembrava un matto esaltato, pensai che sarebbe stato un fiasco. Niente di più sbagliato, tanto che mi mandò del denaro extra in una busta con l’effige di Gesù, il logo della sua società. Non volli accettarlo, poi si ruppe il cambio della Smart e lo incassai».