Robinson, 30 marzo 2025
“Ecco a voi Monty Python per bambini”
Forse non tutti sanno che Jon Agee, noto autore e illustratore americano di libri per ragazzi nonché arguto disegnatore di strisce comiche per il New Yorker, ha una passione esagerata per i palindromi e i giochi di parole, ai quali ha dedicato più di un libro. Del resto, il dialogo surreale e spiazzante, capace di toccare le corde più sottili dell’ironia e restituirci tutto il gusto per l’assurdo che anima il suo autore, ricopre un ruolo importante anche nei suoi albi illustrati per i più piccoli. Non fa eccezione L’amico perfetto che arriva in Italia l’8 aprile e l’editore il castoro presenta in anteprima alla Bologna Children’s Book Fair.
Raggiungiamo l’autore a San Francisco, dove vive e lavora. «Ma sto per trasferirmi con mia moglie di nuovo a New York, per questo il mio studio è così spoglio» ci dice appena si apre la telecamera di Zoom, indicando la libreria e la scrivania alle sue spalle. «Sono un fan di autori italiani come Bruno Munari, Gianni Rodari, Leo Lionni», commenta subito parlando dell’Italia. «Più in generale, tra i miei maestri vedo un sacco di europei. John Burningham per esempio e poi Tomi Ungerer».
Agee da dove nasce questo libro?
«La maggior parte delle mie idee vengono da disegni di persone che parlano tra loro, a volte anche animali che parlano. Se il dialogo si fa interessante capisco che può trasformarsi in una storia. Qui però sono stato ispirato dai Monty Python, il gruppo comico britannico famoso per quei loro sketch geniali che rasentano l’assurdo. E mi sono chiesto se potevo applicare la stessa comicità a un libro per bambini».
E ci è riuscito?
«Credo che alla fine a rendere divertente la storia è la dinamica che si crea tra questa bambina così risoluta e l’adulto un po’ sciocco».
Quindi qual è il messaggio?
«Non so mai quale sia il messaggiomentre scrivo, non so mai di cosa veramente sto parlando finché non arrivo alla fine della storia! A volte non lo so fino a quando non è un giornale o una rivista a dirmi di cosa parli il libro (scoppia a ridere)! Qui immagino si possa dire che nella vita puoi avere molte scelte e non sempre ottieni ciò che vuoi. Ma a volte anche quando non lo ottieni la vita ti sorprende: perché potrebbe piacerti quello che non riesci a ottenere! A dire il vero non ci ho pensato troppo mentre scrivevo, mi piaceva il flusso che aveva preso la storia e che il finale fosse divertente e anche dolce. Ho adorato mettere una bambina fortedavanti a questo signore sciocco. È come se fosse lui il bambino e lei l’adulto. Da qui il senso dell’assurdo intorno a cui tutto ruota».
L’assurdo è tema molto presente nei suoi libri. Ci spiega perché?
«Uno dei primi libri che mi è stato letto quando ero molto piccolo è Il libro dei nonsense di Edward Lear, autore inglese ottocentesco che mi ricorda un po’ Gianni Rodari con le sue poesie che parlano di adulti che fanno cose sciocche. Per me era divertente vedere gli adulti che si comportavano come bambini, perché era una sorta di liberazione».
Per questo ricorre al senso dell’umorismo parlando ai bambini?
«Proprio ieri sono stato in una scuola e credo che, se tutti amiamo ridere, ai bambini piaccia davvero tanto! Allo stesso tempo è importante spingerli a usare il cervello. A pensare: come si risolverà questa storia? Perché all’inizio dei miei libri c’è sempre un concetto assurdo, una premessa impossibile. Lo scopo è spingere i bambini ad aprire la mente ed esercitare l’immaginazione».
Quanto tempo le ci vuole per realizzare ogni libro?
«L’idea iniziale può richiedere diverse settimane per essere elaborata. La maggior parte del tempo la impiego però per le immagini. Alcuni libri che, a vederli, sembrano semplici a volte richiedono più tempo di quelli più impegnativi. Per L’amico perfetto ho impiegato dai sei ai nove mesi».
E preferisce scrivere o disegnare e quale delle due cose viene prima nel suo processo creativo?
«Il disegno viene sempre prima. In un piccolo taccuino di appunti come questo (ce lo mostra dalla telecamera a riprova che lo tiene sempre con sé) faccio degli schizzi e poi inizio a scrivere. Creo una specie di fumetto, ci metto intorno molti dialoghi e alla fine tutto questo diventa una storia».
Per 40 anni lei ha visitato scuole e biblioteche attraverso tutto il Paese. Ci racconta la sua esperienza?
«Quando visito le scuole o le biblioteche, non leggo mai i miei libri. Piuttosto mi piace prendere un grande blocco di carta e disegnare davanti ai ragazzi, come fosse una specie di performance. A volte riesco anche a mostrare un libro su cui sto lavorando e così posso farmi un’idea di quello che ne pensano loro, cosa sempre molto utile… (ride di nuovo)».
Lavora ancora per il New Yorker?
«Di tanto in tanto faccio qualche illustrazione, mando una vignetta, ma finisce lì. È passato parecchio dall’ultima volta, adesso le mie energie sono tutte rivolte ai libri».