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 2025  marzo 30 Domenica calendario

I gatti salutano Scampia

Uomini e gatti. A dozzine, neri, bianchi, rossicci, domestici, randagi, macilenti o ben pasciuti. In quello speciale ecosistema che sono state le Vele di Scampia, a Napoli, tra la terra ancora erbosa della periferia settentrionale e il cemento putrido dei corridoi interni, i felini hanno proliferato. Come cacciatori di topi, certo, ma soprattutto per compagnia; incoraggiati dagli abbondanti scarti di pesce e dalle ciotole di croccantini. Finché – decretata l’inagibilità e aperto il cantiere per la demolizione – non è stato necessario evacuare pure loro.
L’irriducibile è chiamata Birba, una tigrata grigia che con aria di sfida si è accovacciata sui detriti al piano terra, al di là della passerella ora distrutta, sotto al balcone da cui s’affacciava il detenuto ai domiciliari che era solito lanciarle da mangiare. La gabbia di ferro con il cibo umido, benché collocata in posizione strategica dai volontari che tentano di catturarla, resta vuota; e la micia domina incontrastata lo scenario post-apocalittico della Vela Rossa.
Gli ultimi undici nuclei familiari sono stati allontanati lo scorso 2 gennaio, le porte d’ingresso murate e segnate ognuna da un numero con la vernice spray (nonché dai graffiti degli abitanti: «Casa mia», «Ti porto nel cuore», «Fiera di essere nata qua»); le vie d’accesso sbarrate, i rifiuti ancora da rimuovere. Sedie di plastica, divani sventrati, materassi, tappeti, frigoriferi, sanitari divelti; un pallone arancione Super Santos calciato da generazioni di bambini napoletani dimenticato su una catasta di rami secchi; e poi cavi scoperti, il solito gocciolare di tubi rotti, che nel sottosuolo della struttura creava perenni acquitrini; assi di legno ma anche lamiere di ferro pericolanti; l’incrocio delle scale che avrebbe voluto essere suggestivo ora come non mai buio, vuoto e incomprensibile.
Gli unici ammessi all’interno di questo monumento alla deriva delle pianificazioni territoriali sono adesso Vincenzo Desidery e i suoi colleghi dell’associazione per la tutela degli animali Anpana Fmc, per l’occasione Gaia Amendola e Gaetano Ferrara, che attraversano Scampia a bordo di una vecchia ambulanza donata dalla Croce Rossa e riadattata a uso veterinario. Cognome con la «y»per antica discendenza da nobiltà francese, Desidery conosceva bene il quartiere da carabiniere, appostamenti, inseguimenti, arresti, finché, prepensionato per un infortunio, non ha fondato l’associazione (nel 2017) ed è tornato sul campo lo scorso autunno allertato dalla sua rete. «Mi avevano segnalato che alle Vele da abbattere c’erano molti gatti randagi, ma non avevo capito quanti...». Ovunque, tra i bidoni della spazzatura e i cornicioni dei palazzi, a occhio e croce un centinaio: ne sarebbero stati tratti in salvo alla fine delle operazioni almeno 150; più una ventina di cani, in particolare la pittbull Sasha e i suoi cuccioli. Senza contare tutti gli altri animali da appartamento, da moltiplicare per 501 nuclei familiari (duemila persone circa) distribuiti tra le Vele Rossa, Gialla e Celeste.
La vicenda è nota: ambizione architettonica che addirittura s’ispirava a Le Corbusier, le Vele sono state completate nel 1975, 7 edifici per 115 ettari di campagna umida e incolta al limite Nord di Napoli, sulla scorta della celebre Legge 167 per l’edilizia popolare (tant’è che in città l’area era genericamente indicata come «La 167»). Nate male, presidiate meno: i servizi alla comunità immaginati sulla carta non sono mai arrivati, il primo posto di polizia si è insediato nel 1987; nel mentre il terremoto del 1980 ha generato una richiesta di alloggi urgente e un’ondata di occupazioni abusive. Di lì a Gomorra il passo è stato breve: tra le piazze di spaccio e gli anfratti per il consumo della droga, da villaggio ideale il complesso si è trasformato in simbolo di degrado (nonostante gli enormi tentativi di riscatto delle scuole, delle associazioni locali, ogni tanto anche delle amministrazioni pubbliche). Ufficialmente fallito, è stato progressivamente smontato: quattro Vele sono state abbattute tra il 1997 e il 2020. La quinta, la Gialla, ha iniziato a essere picconata da pochi giorni, quindi toccherà alla Rossa, per lasciarne in piedi, riqualificandola, solo una.
L’accelerazione recente è stata innescata dalla tragedia del 22 luglio scorso: il cedimento di un ballatoio al terzo piano – tre morti e 12 feriti, tra cui 7 bambini – della Vela Celeste, quella che resterà in piedi a futura memoria. E già da subito s’è trattato di mettere al riparo non solo gli esseri umani, ma anche «le piccole persone» (come le chiamava la scrittrice Anna Maria Ortese).
Marina Pompameo, la veterinaria che ha coordinato le attività per l’Azienda sanitaria napoletana, ricorda all’indomani del crollo una spedizione complicatissima di salvataggio in un appartamento-zoo, esattamente accanto a quello danneggiato dal crollo: lei e i suoi operatori sono stati chiamati a intervenire – «Senza illuminazione, perché era saltata la corrente, in condizioni di estrema difficoltà» – per evacuare quattro cani, otto gatti, un piranha, una carpa, sette tartarughe di acqua dolce e 14 testuggini, tre petauri dello zucchero (piccoli marsupiali delle foreste indonesiane), un drago barbuto (rettile del deserto australiano), 24 passerotti e tre ghiandaie, tutti assieme nello stesso alloggio (è in corso un’indagine dei carabinieri).
Di animali esotici Desidery ne aveva già visti alle Vele nella sua vita precedente; ricorda un pappagallo che saliva ai piani alti con la droga tre le zampe, una scimmia-vedetta che si arrampicava sui tubi del gas. Ma sono aneddoti. Nessun confronto con la massiccia colonia felina, che ha richiesto una vasta azione congiunta: l’Asl più Anpana più un’unità di emergenza della Lav, inviata dalla sede nazionale dell’associazione, che tra dicembre e gennaio si è unita alle operazioni (come ha registrato un delizioso breve documentario di Andrea Morabito).
I gatti e i cani di casa hanno avuto bisogno per lo più di un alloggio provvisorio; chi se ne è separato, spiega Pompameo, l’ha fatto solo in emergenza, perché le nuove strutture d’accoglienza non accettavano animali, «ma non appena hanno potuto, quasi tutti sono venuti a riprenderseli». Il problema è stato, invece, trovare una sistemazione ai randagi, che di quel microcosmo precario avevano fatto paradiso.
Fiocco, per esempio, spettacolare gatto «tuxedo» bianco e grigio. I volontari l’hanno catturato al primo giorno, docile e facile, e l’hanno condotto in una vicina colonia. Salvo ritrovarselo sornione esattamente alla casella di partenza il giorno successivo: era scappato e aveva abilmente individuato la via per tornare dall’anziana inquilina delle Vele che aveva l’abitudine di nutrirlo e coccolarlo. Il patto con la donna (che non aveva la possibilità di adottarlo) è stato di lasciarlo in zona fino allo sgombero, alla fine gatto-mascotte dell’intera operazione, socievole e conosciuto da tutti. Una volta ingabbiato, come gli altri, Fiocco è stato vaccinato, sterilizzato e sottoposto ai test. Positivo alla Fiv (l’immunodeficienza felina), dunque più delicato da gestire, ha avuto bisogno di una collocazione particolarmente protetta. Che, a sorpresa, l’ha condotto a Sassuolo, Emilia-Romagna.
È una storia nella storia. Laura Serri, insegnate d’Arte al liceo scientifico e titolare di una colonia nel Modenese, vede al telegiornale un servizio sui gatti da evacuare a Scampia, si mette in contatto con l’associazione di Desidery (in particolare con Gaia che è stata l’«addetta» agli affidi) e dà la propria disponibilità: «Credevo che fosse una gara di solidarietà, invece ho scoperto di essere stata l’unica a chiamare da un’altra regione». Tra oasi e abitazioni private, il corridoio emiliano si attiva rapidamente e colloca oltre una trentina di gatti. Tra gli emigrati, due sorelle soprannominate «veline», perché provenienti dalle Vele e temporaneamente alloggiate in una boutique d’abbigliamento nel centro della cittadina («Dove erano diventate l’attrazione dei clienti», aggiunge la professoressa); tre mici particolarmente forastici condotti da un’alunna di Laura al suo maneggio («Veniva in classe con i graffi, ma pian piano li ha addomesticati»); e lo stesso Fiocco, adottato dalla responsabile del Nucleo operativo per la tutela degli animali di Sassuolo, Ramona Soli, che ora manda foto del gatto ingrassato e contento, appollaiato sui pensili della cucina.
Di convivenze felici e aggiornamenti costanti Gaia e gli altri ne vantano parecchi. Giulia e Fabio, 15 e 17 anni, fidanzatini di Scampia, hanno preso ognuno un gattino per crescerli assieme. Emanuela Marino, 39 anni, residente a Berlino, ha avuto una segnalazione da un’amica, ha approfittato delle vacanze di Natale quando è rientrata a Giugliano (Comune poco distante dalla periferia Nord), quindi ha atteso vaccini e quarantena per fare il passaporto al gatto e l’ha portato con sé in Germania, dove vive da anni con il compagno Renato, lei social media manager lui web developer: «L’avevano chiamato Gino ma noi l’abbiamo ribattezzato Jungle perché sembra un po’ un ghepardo. È dolcissimo e affettuosissimo, e ci siamo da subito molto innamorati».
Di Birba intanto si son perse le tracce, i volontari sospettano che si sia unita alla comitiva che bazzica i palazzi di fronte, dove è noto che un’inquilina li vizi tirando giù dal balcone cartocci di alici fresche. E dove, evidentemente, il regno dei gatti di Scampia ha trovato nuova espansione.