ilsole24ore.com, 29 marzo 2025
Comuni, la fuga dei dipendenti: +45% di dimissioni in sei anni
Gli anni del turn over al lumicino sono lontani, la riforma delle assunzioni è operativa dal gennaio 2022, i decreti sul Pnrr hanno dato altre spinte ai contratti ma l’organico dei Comuni rimane esangue: oggi nei 7.896 municipi italiani lavorano 341.659 persone, il 27% in meno rispetto ai picchi del 2007, e la dinamica è rimasta piatta negli ultimi due anni nonostante le spinte al reclutamento. Come mai?
Oltre a fornire i numeri aggiornati degli organici, l’edizione 2025 del Rapporto Ifel sul personale dei Comuni presentata ieri a Milano al coordinamento delle Anci regionali offre anche la spiegazione. Semplice: «Follow the money», in sintesi estrema.
Follow the money
A seguire la moneta, quella degli stipendi, sono i dipendenti pubblici e gli aspiranti tali, disegnando con le loro scelte la geografia di una Pa che non è tutta uguale. Nei Comuni i soldi sono meno, e il personale, quando può, fugge con le mobilità verso posti pagati in modo meno francescano.
La dinamica è spiegata con una certa efficacia dai dati che misurano il fenomeno delle dimissioni. Nel 2017 le uscite dagli uffici comunali dettate da motivi diversi dal pensionamento erano 11mila, e dopo qualche anno di crescita lenta ma costante si sono impennate dal 2020 per toccare quota 16mila nel 2023, ultimo anno fotografabile in base ai censimenti ufficali. In sei anni, il balzo è del 45,5%.
La ragione, si diceva, è negli stipendi. Che nei Comuni sono mediamente più bassi in virtù del principio, discutibile, che nel pubblico impiego alleggerisce le retribuzioni man mano che ci si allontana dai centri del potere statale e ci si avvicina ai cittadini.
Le distanze retributive
Anche su questo il rapporto offre cifre esplicite, che mostrano come il dipendente comunale medio negli scalini più bassi dell’organigramma (categoria A, più o meno l’equivalente degli «operatori» nell’amministrazione centrale) con 22.338 euro lordi medi all’anno si fermi il 15,3% sotto al suo omologo nelle Regioni, mentre lo spread retributivo cresce al 19,6% nel confronto con i ministeriali e arriva al 23,2% quando il paragone sono le agenzie fiscali. Gli scaloni si replicano nei livelli intermedi, dove i cedolini comunali (25.129 euro lordi all’anno) si fermano il 16,2% sotto a quelli delle Regioni, cedono il 20,7% rispetto ai ministeri e il 33,2% sulle agenzie fiscali, e tornano fra i funzionari dove però il raffronto è complicato dalle differenze di organigramma fra Pa centrali ed enti locali. Ovvio, con queste premesse, che chi può si sposti verso altre amministrazioni.
Le prospettive
Le strade si sono aperte negli ultimi anni, quando anche la Pa centrale ha superato i vecchi vincoli al turn over ora sostituiti, in versione ammorbidita e provvisoria, dal tetto che impedisce di destinare alle assunzioni più del 75% dei risparmi prodotti dalle uscite dell’anno prima. Ecco perché le dimissioni si sono impennate dal 2021.
In un contesto di questo tipo, gli amministratori locali rivendicano di portare avanti un piccolo miracolo. «Nel 2017 sono stati spesi 8,3 miliardi di euro di investimenti fissi lordi comunali – riassume il direttore dell’Ifel Pierciro Galeone -. Nel 2023, con 2mila dipendenti in meno nella stessa area, la spesa per investimenti è salita a 16,3 miliardi, passando quindi da 152mila a 310mila euro per addetto». Nel 2024, senza movimenti significativi negli organici, il contatore è salito a 19,1 miliardi, portando quindi il valore pro capite nei dintorni dei 360mila euro. Ma i miracoli, oltre che rari, difficilmente possono durare a lungo. E nelle scorse settimane gli amministratori hanno scritto al Governo chiedendo soluzioni.
Il problema è stato riconosciuto dallo stesso ministro per la Pa Paolo Zangrillo, secondo cui «ci sono margini per lavorare su aspetti importanti come il salario accessorio e il welfare aziendale» (intervista al Sole 24 Ore del 15 marzo).
Ad aprire spazi nei bilanci può poi intervenire proprio il super turn over atteso negli enti locali: che secondo le stime Ifel da qui al 2030 vedranno uscire 175mila persone, la metà dei dipendenti attuali.