La Stampa, 29 marzo 2025
Le Lara Croft Maga e le leader europee i mondi antitetici del potere femminile
Lara Croft contro quelle altre, le europee. Si riassumerà così la divergenza assoluta tra due modi di interpretare il potere femminile sulla scena delle decisioni che contano. Ove il prototipo Lara Croft è ovviamente Kristi Noem, la segretaria alla sicurezza che si mostra in pantaloni tattici e t-shirt davanti agli immigrati seminudi che ha arrestato, ingabbiato e trasportato a El Salvador: una dominatrice di maschi muscolosi e tatuati, la vendicatrice d’America. Le europee hanno uno stile opposto pure quando parlano di guerra. Ursula von der Leyen annuncia il ReArm Eu con un’austera giacca azzurra, camicia di seta, un sottile filo di perle, contenuta anche nel linguaggio. «Viviamo in un’epoca pericolosa», dice, e «non c’è neanche bisogno di descrivere le minacce che abbiano di fronte». Alle signore dell’Europa si addice l’understatement pure se parlano di carri armati.
Ci siamo a lungo raccontate che il potere delle donne era troppo recente, troppo piccolo, per esprimere un suo canone specifico, ma è arrivato il momento di aggiornare il giudizio. Le donne comandano molte cose. E le donne conservatrici, non-progressiste, non-di-sinistra, ne comandano moltissime da entrambi i lati dell’Oceano. E però: altro che Marte e Venere. Europee e americane sembrano piovute da galassie diverse, la Via Lattea e la Nube di Magellano, sistemi senza niente in comune. Dal lato Donald Trump emerge Tulsi Gabbard, la capa dell’intelligence, ex-surfista, ex istruttrice di arti marziali. È lei, in Senato, a fronteggiare il dibattito sulla chat Signal, dove un gruppo di maschi poco responsabili si è scambiato informazioni segrete sull’attacco agli Houthi. Giura che non sono state discussi «dettagli su tempi, obbiettivi o armi». Sarà smentita poco dopo dalla pubblicazione dei piani del blitz, ma chissene importa: resterà nell’immaginario come la guerriera che ha difeso il fortino assediato.
C’è una scomodissima prima linea anche per Linda McMahon, ex-regina del wrestling, la più agée tra le Lara Croft del mondo Maga. È stata nominata a capo del Dipartimento dell’Istruzione il 3 marzo e due settimane dopo, il 20 marzo, Donald Trump ha firmato l’ordine esecutivo per cancellarlo, in una sala riempita di banchi scolastici e di bambini. Alla stessa data, Elon Musk aveva già mandato a casa duemila dei quattromila dipendenti della signora McMahon. Un’altra si sarebbe sentita, come dire, sminuita. Ma le signore del trumpismo sanno buttare il cuore oltre l’ostacolo: poche ore dopo Linda era in diretta Cnn per spiegare l’enorme vantaggio che avranno gli studenti americani dalla cancellazione dell’ente che gestisce programmi per le mense, i sostegni a poveri e disabili, i prestiti studenteschi a chi non ha soldi per pagarsi l’università.
Poi ci sono le combattenti vere, le bionde da trincea. Non solo la Segretaria alla Sicurezza Kristi Noem, cresciuta in un ranch, quella che ha festeggiato la nomina partecipando al primo rastrellamento di immigrati a New York, ma anche la ministra della Giustizia Pam Bondi, paladina dei chiacchieroni della chat Signal («Non serve un’inchiesta, non erano notizie classificate») che si prepara a usare le leggi contro il terrorismo interno per chi sabota macchine Tesla: fino a vent’anni di carcere. Subito dietro le Lare Croft minori, le ragazze che si stanno attrezzando alla gara. Paula White, la telepredicatrice che guida il nuovo Ufficio per la Fede della Casa Bianca. Marjorie Taylor Green, la deputata che liquida le domande di una giornalista inglese dicendo: tornatene al tuo Paese, non ce ne frega un cavolo di te. Così simili, tutte, nella loro aggressiva bionditudine che su TikTok impazzano i tutorial ironici per ricopiare il look Maga che esprimono con tanta determinazione.
Quelle altre, le lady del potere europeo, è difficile immaginarle in analoghe situazioni. Non fanno e non hanno mai fatto wrestling, surf, raduni mistici, non hanno mai sparato al loro cane come Noem, non praticano le arti marziali. Giocano a burraco (Giorgia Meloni), ballano volentieri in discoteca (Marine Le Pen), sono figlie e mogli di antichi patriziati (Ursula von der Leyen), abilissime nell’arte del consenso bipartisan (Roberta Metsola). Nessuna di loro è immaginabile davanti a un gabbione di detenuti in mutande o in un’assemblea a difendere l’indifendibile. Si darebbero malate, manderebbero un altro, affonderebbero il dibattito nelle burocrazie d’aula. E chissà che nello scontro tra i due lati dell’Oceano non ci sia pure questo dato da tenere in conto, l’incomunicabilità estetica e culturale tra signore che in teoria dovrebbero partecipare allo stesso salotto conservatore e destrorso ma, in pratica, manco morte.