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 2025  marzo 29 Sabato calendario

Il gentleman che odiava le feste

David Niven, ovvero l’eleganza. Così Matteo Spinola, il noto press agent, definiva in modo conciso la caratteristica principale di un attore che è stato protagonista di ogni tipo di film, dal drammatico alla commedia fino ai film di guerra, in Europa così negli Stati Uniti. Nel 1975 lo stesso Niven decide di mettere su carta alcuni dei tanti ricordi della sua lunghissima attività come attore. Lo fa raccontando in C’era una volta Hollywood episodi e personaggi in un lasso di tempo compreso tra il 1935 e il 1960, considerato da lui (e non solo da lui) il periodo migliore per l’industria cinematografica. Sono ricordi graffianti e soffusi di uno humour tipicamente inglese, lo stesso humour che possiamo ritrovare in alcuni dei suoi film più famosi contrapposto ad esempio alla recitazione scoppiettante di Peter Sellers in La pantera rosa e a quella volutamente sopra le righe di Alberto Sordi in I due nemici. Gran parte della sua carriera si è svolta però a Hollywood, e i suoi protagonisti sono a loro volta star della cinematografia più importante del mondo. Ce n’è per tutti, simpatici e antipatici, amici e nemici: tutto raccontato in punta di penna e con un leggero sorriso che increspa le labbra, ma senza rinunciare a nulla, senza nascondere alcunché.
E questo spirito è rintracciabile fin dal racconto dei suoi esordi nella Mecca del cinema, negli anni Trenta. Viene accolto perché si dice assomigli a Eddie Lowe, che era un divo importante del vaudeville del cinema muto che era riuscito a sopravvivere artisticamente anche con l’avvento del sonoro. Già l’inizio promette bene, ma la sua descrizione della fabbrica dei sogni è letteralmente esilarante: scenografie raffiguranti epoche e ambienti completamente diversi che si affastellano una sull’altro, sedicenti agenti che fingono, a bordo di una lussuosa piscina, di ricevere telefonate urgenti da importanti produttori; belle ragazze che passeggiano in costume da bagno sperando di essere notate da chi fa i casting per i film. In compenso l’aria è pulita, le case rade, non ci sono i problemi di smog che Niven ha vissuto nella nativa Gran Bretagna (anche se parte delle sue origini sono francesi). Tutto, nella Hollywood degli anni Trenta, diventa business, tutto viene affidato al marketing. Quando Mae West, la famosa icona del sesso che era subito finita nel mirino dei moralisti, interpretò il suo terzo film voleva come titolo It Ain’t No Sin, non è peccato quindi. E allora addestrarono un folto numero di pappagalli a ripetere quella battuta, ma fu un lavoro inutile: sulle pressioni della censura (era appena stato approvato il codice Hays, severissimo nei confronti di ogni presunta trasgressione) il titolo fu cambiato e i pappagalli dovettero pronunciare una frase più innocua. Il sesso, come ben sappiamo, era una componente fondamentale nella vita segreta (ma non troppo) di divi e dive di Hollywood. Quando Edward G.Robinson fu coinvolto in una pubblicità che lo vedeva ammiccare dentro una vasca da bagno ricoperta di bagno schiuma, tutti trovarono in questo gesto la conferma dell’omosessualità che gli veniva attribuita ma che l’attore non ha mai esplicitato.
Nella Hollywood degli anni Trenta c’era un solo re, secondo David Niven, e il re in questione si chiamava Clark Gable. Lui e Niven erano molto amici, anche perché il Gable raccontato da Niven era uno che odiava le feste, la mondanità e gli incontri con i giornalisti mentre si esaltava quando poteva andare a pescare, e in questo Niven era un partner ideale. Di Gable ricorda l’Oscar preso per Accadde una notte realizzato con Frank Capra e Claudette Colbert per la Columbia, con i tre che erano stati “ceduti” a quella produzione perché avevano rifiutato troppi film con le produzioni che li tenevano sotto contratto. Oppure la disponibilità data al presidente Roosevelt da parte di Carol Lombard anche a nome di Gable per qualsiasi iniziativa servisse per contrastare l’odiato Adolph Hitler, molto prima di quando l’America entrasse effettivamente in guerra. Di Errol Flynn, altro con cui ha avuto una lunga frequentazione, ricorda che a parte l’eroina si era drogato con qualsiasi sostanza mentre Niven si dedicava con più gusto al whisky scozzese. E di Fred Astaire ricorda l’insicurezza, soprattutto dopo che aveva sciolto la storica coppia con Ginger Rogers, mentre Joan Crawford era assolutamente da evitare per via di un’insana passione per la lirica che infliggeva a tutti gli ospiti.
Ma il ritratto più al fulmicotone è quello di Louella Parson e di Hedda Hopper, le due penne avvelenate di Hollywood. Si odiavano a vicenda, facevano ubriacare gli intervistati per farsi raccontare i loro segreti. Hedda, che era visceralmente anticomunista, attaccò duramente Charlie Chaplin e Orson Welles sospettati di relazioni con la sinistra, e fu anche presa a calci da Joseph Cotten del quale aveva rivelato la relazione con Deanna Durbin. Insomma, una Hollywood attraversata da vizi, furori, odi. Ma sempre raccontata in punta di penna, da un signore distinto e elegante, un certo David Niven...