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 2025  marzo 29 Sabato calendario

Poca retorica, siam piemontesi

Una lunga amicizia attraverso la corrispondenza» recita il sottotitolo di un volume denso di considerazioni e vicende che legano due amici diversi e complementari, stretti in un rapporto che nasce sui banchi dell’Università torinese negli anni in cui – scriveva Giacomo Noventa – «la gloria dell’intelligenza inebriava Torino», e attraversa gli anni cruciali del Fascismo, della Resistenza, del secondo dopoguerra, della prima e della seconda Repubblica fino alle soglie del terzo millennio.
Due quasi coetanei – Dionisotti è del 1908, Galante Garrone del 1909 – che muoiono a qualche anno di distanza, Dionisotti, novantenne, a Londra, dove ha insegnato al Bedford College for Women; Galante Garrone, novantaquattrenne, a Torino, dove, abbandonata la magistratura e passato all’insegnamento universitario, è approdato dopo la sede di Cagliari. Provenienti tutt’e due, da famiglie nobilmente originarie della provincia piemontese: Romagnano per Dionisotti, Vercelli per Galante Garrone. E a quelle origini locali costantemente avvinti da affetti famigliari ma ancora di più da ben ereditati vincoli morali. Due “piemontesi” di sguardo snebbiato e aperto, che non solo non hanno mai rinnegato la loro appartenenza, ma, al contrario, ne hanno fatto un blasone.
Dionisotti, italianista coltissimo, dotato di una incredibile capacità di lavoro e di lettura, provvisto di una vis polemica, che non patisce cedimenti, rigoroso e austero, ma ricco di estri ironici e di fiammanti verdetti (a lui si deve un nuovo modo di leggere la letteratura italiana attraverso la sua frastagliata natura geografica, che raccogliendo le sparse tracce di un metodo, che ha avuto alcuni antesignani, dal Cattaneo al Crocioni all’Ascoli, è riuscito a trasformare la sua studiosa proposta nella necessità di una interpretazione più aderente alla realtà storica del nostro paese).
Galante Garrone, storico di non inferiore ampiezza esegetica e di tempra non meno rigorosa, ma più propensa a illuministica “tolleranza”, che ripetutamente mostra di intrecciare con il più puntuto amico una relazione non dirò certo di sudditanza, ma di più devota confidenza o di più manifesta ammirazione. Lui, del resto, a ricordare l’ammonizione di un altro amico azionista, Aldo Garosci, che gli intimava: «Sii più cattivo».
Impossibile riferire per brevi note la ricchezza del carteggio: 40 lettere scritte da Galante Garrone e 37 da Dionisotti, che pur partendo dal ’41, sono per gran parte successive al 1964. Uno scambio fondato soprattutto sui testi commentati con necessari distinguo, ma mai dissapori; e più spesso profonde consonanze nei confronti delle esperienze vissute, della storia personale, delle scelte compiute, del comune terreno risolutamente laicista, che emerge dallo scavo di uomini e di tempi in cui si scoprono motivi repressi e ben vive ragioni di aspro confronto storico ma anche di virtuose consonanze. E bene fa Romagnani a scandire il tracciato degli anni in una motivata dozzina di capitoli (questo è un libro fitto di precise annotazioni) e a dare per intero anche alcuni degli interventi che Galante Garrone scrisse nella lunga – anche se non sempre filante – collaborazione alla Stampa, da Giulio De Benedetti a Ezio Mauro.
Tanti i libri, tanti gli argomenti, tante le questioni, tantissimi i nomi. Dionisotti più secco, Galante Garrone non arrendevole ma più mite. Fermo restando che a proposito dell’aggettivo “mite” congiunto in apparente ossimoro a “giacobino”, è proprio Galante Garrone a precisare di sentirsi molto più girondino che giacobino e di appartenere non «alla razza dei giacobini che tagliavano le teste, ma a quella di coloro cui invece la testa veniva tagliata». Due uomini, che si misurano, e misurano la loro vita, sull’esigenza dell’onestà, della moralità, e – se non fosse del rischio di quella retorica che tanto Dionisotti paventava – della verità; perlomeno di quella verità che scaturisce dal dibattito con se stessi e dal tributo di coscienza che deve legare lo studioso agli studi più robusti, propri e altrui.