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 2025  marzo 29 Sabato calendario

La "croce rossa" israeliana

Che il tempo sia questione vitale quando si tratta di primo soccorso l’ha imparato meglio di chiunque Israele, minuscola striscia di terra assediata da ogni fronte, da Hezbollah in Libano, dalle milizie in Siria, dagli Huthi nel Mar Rosso, dall’Iran, da Hamas. L’emergenza costante ha plasmato le tecnologie militari e, di pari passo, quelle mediche: i defibrillatori in zone pubbliche sono migliaia, i cittadini sono formati per fornire la prima assistenza, i mezzi di soccorso sono dislocati sul territorio e sono pensati anche per muoversi velocemente nel traffico, la Banca del sangue è tra le più importanti al mondo ed è protetta da attacchi chimici o balistici, la Banca del latte materno l’anno scorso ha distribuito 3.600 litri di latte, la wish ambulance realizza l’ultimo desiderio dei malati terminali.
In prima linea, Magen David Adom, l’equivalente israeliano della Croce Rossa, non riceve contributi governativi ed è composto da 32mila membri, il 90% dei quali volontari, che vanno dai 14 ai 91 anni. «Cerchiamo di aiutarli il più possibile», ha spiegato il presidente dell’Associazione Amici di MDA in Italia, Gianemilio Stern, «l’anno scorso siamo riusciti a donare un ambulanza, un’automobile dotata di equipaggiamenti medici e ottocento dispositivi per la somministrazione di farmaci intraossei».
L’Associazione, che nel 2025 compie tredici anni di attività, contribuisce al sostegno del servizio di emergenza nazionale israeliano e svolge attività formative di primo soccorso insieme con la Croce Rossa italiana. «Per ciascuno dei mezzi donati riceviamo un report sul numero e la tipologia degli interventi che sono stati effettuati e quante vite sono state salvate: dà un senso di concretezza, di pragmatismo e di eticità», sottolinea Stern, «gestiamo denaro che ci è stato donato: abbiamo l’obbligo morale di utilizzarlo al meglio».
Quali sono le principali differenze tra il nostro servizio sanitario di emergenza e urgenza e quello israeliano, a cominciare dai defibrillatori?
«Ne esistono due tipi: quelli da esterno, sempre collegati e dotati di istruzioni per l’uso. Altri da interno, che hanno una minore necessità di protezione dalle intemperie».
E il personale?
«In Italia indossa una normale divisa tecnica in tessuto arancione. In Israele è dotato di elmetto, giubbotto antiproiettile, maschera antigas: anche i soccorritori devono essere protetti».
Una differenza sostanziale è il tempo di reazione...
«MDA può contare su una rete di volontari formati per il primo soccorso: sono sempre ritracciabili e geolocalizzabili attraverso un’applicazione installata sullo smartphone. Quando una persona ha un attacco di cuore, per esempio, il centro di coordinamento del 101, il numero di emergenza, è in grado di localizzare il telefono da cui viene effettuata la chiamata e rintracciare i soccorritori più vicini».
I soccorritori sono cittadini comuni?
«Sì, chiunque abbia seguito un corso di formazione. Indipendentemente dal lavoro che svolge, quando c’è un’emergenza si reca dove c’è necessità di intervento. Lo scopo è diminuire il più possibile i tempi: in media, dalla telefonata all’arrivo del primo soccorritore, trascorrono cinque minuti».
Una volta sul posto, che cosa succede?
«Mentre il paziente viene assistito, vengono comunicate informazioni utili alla sede centrale, che invia quindi il soccorso più adeguato. Esistono tre tipologie di veicoli: le ambulanze, che possono essere standard o unità di terapia intensiva o blindate per operare in contesti di pericolo. Poi ci sono i mezzi di soccorso senza trasporto del paziente, piccole automobili, dislocate in zone periferiche così da poter servire al meglio il territorio. Infine, le motociclette, che hanno la strumentazione per intervenire e possono muoversi nel traffico con facilità».
Esistono dei dati sulle attività di soccorso?
«Il centro di coordinamento l’anno scorso ha gestito 3.600.000 chiamate, una ogni 8,6 secondi, e ha inviato mezzi di soccorso in 1.400.000 casi. Si tratta di un intervento ogni 22 secondi. Grazie a MDA sono nati 1.200 bambini al mese: i paramedici sono intervenuti in casa o il neonato è venuto alla luce in ambulanza».
Per la vostra associazione che cosa è cambiato dopo il 7 ottobre?
«Siamo sempre più concentrati sull’aiuto a Israele: quest’anno vorremmo donare defibrillatori e macchinari per la ventilazione meccanica. E un corso di formazione triennale per diventare paramedico. Affrontiamo l’antisemitismo e i pregiudizi contro Israele, ma le persone che si sentono vicine a Israele sono molte, indipendentemente dalle questioni politiche».
L’Italia che cosa dovrebbe “copiare” da Israele?
«La mobilità, che consente di intervenire prontamente, e la formazione dei cittadini nel prestare il primo soccorso. Il nostro motto è una frase del Talmud: “Chi salva una vita, salva il mondo intero”. In questo senso, se la tecnologia e l’aiuto economico che riusciamo a offrire salvano una vita, anche una soltanto, abbiamo assolto il nostro compito».