Libero, 29 marzo 2025
Il mercato sudamericano dei passaporti italiani
enghino senhores venghino… E sono arrivati. C’è un paesino, nelle valli bellunesi, che conta tremila abitanti, duemila dei quali risiedono in Brasile, mentre altri settecento aspettano che la loro richiesta di cittadinanza venga accettata per trasferirsi virtualmente nell’alto Veneto, ma soprattutto per avere il passaporto italiano. Tutti supposti discendenti di un contadino emigrato dalle parti del Rio Grande pochi anni dopo la nascita del Regno d’Italia. Il comune è Val di Zoldo e i nostri nuovi connazionali sono tutti domiciliati nella stessa casa, nella frazione di Goima. Un paradosso a cui la legge approvata ieri dal governo, che consente di chiedere la cittadinanza solo a chi ha un nonno italiano o è nato qui, mentre prima bastava vantare un avo del sesto grado, purché vivente il 17 marzo 1861, data di nascita dell’Italia, ha posto fine. E meno male perché la vicenda, sebbene comica, stava assumendo risvolti tragici, e furfanteschi.
In tutto il Sud America infatti s’è sviluppato da anni un vero e proprio business, mirato a vendere i passaporti italiani come fossero vacanze a Roma o a Venezia, con pacchetti famiglia, sconti e giorni di promozione sotto le feste. Il fenomeno aveva raggiunto livelli di commercializzazione elevatissimi, con spot tipo «Regala il passaporto italiano a tuo figlio per Natale» e agenzie specializzate nella pratica. Il mercato della consulenza per il riconoscimento della nostra cittadinanza fatturava, fino a ieri, tre miliardi di euro, con costi individuali per il servizio intorno ai cinquemila dollari. L’argine posto dal governo ha frenato quello che si annunciava come un esodo biblico, se si pensa che negli ultimi quattro anni sono state presentate circa seicentomila richieste e che si stima che i discendenti di emigrati italiani nel mondo siano ottanta milioni, 32 dei quali solo in Brasile, che con l’Argentina è la nazione dalle quale arrivano più domande.
Fa scuola il caso dello Stato di San Paolo, dove negli ultimi tre anni i cittadini italiani sono passati da 270mila a 380mila, con 44mila nuovi ingressi solo nel 2024 e ben l’82% dei richiedenti che, per vantare origini dal Belpaese dovevano risalire al nonno del bisnonno, con le difficoltà immaginabili per arrivare ad accertamenti un minimo affidabili. Infatti, accanto ad agenzie specializzate e scrupolose, sono nel tempo fiorite attività più di manica larga nell’indagare la progenie; naturalmente più care, con tariffe anche intorno ai diecimila dollari a persona, ma dal risultato pressoché garantito. A insospettire fin dal primo momento è l’insegna sotto cui le agenzie si propongono ai clienti: «Mercato libero della cittadinanza italiana». Libero da cosa? Dalle regole, dalle verifiche? Certo non dall’onorario. D’altronde, il modo per ottenere il riconoscimento è duplice, quello più istituzionale, ottenendo una trascrizione via consolato sul posto, e quello più diretto, dietro richiesta al presunto comune d’origine del trisavolo, in Italia, generalmente paesini con un impiegato comunale, subissato dai fascicoli e impossibilitato a dedicarsi ad altro.
La facilità con la quale, in un modo o nell’altro, avendone più o meno diritto, si riusciva a ottenere il nostro passaporto ha fatto sì che in dieci anni i cittadini residenti all’estero siano passati da 4,6 milioni a 6,4 milioni, con un incremento del 40%. Nel solo Sud America si è passati da 800mila a oltre due milioni di residenti, con un aumento del 250%. Naturalmente, sono stati tutti naturalizzati senza passare da un test di lingua. Insomma, il sentimento patrio è apparentemente molto più spiccato quando più ci si allontana dalla Penisola.
Quello della cittadinanza facile su ordinazione non era solo un fenomeno folkloristico, ma rischiava di scardinare le regole democratiche, nonché i già traballanti conti pubblici. Il sistema era anche diventato un modo per entrare senza problemi nell’Unione Europea o per avere diritto d’ingresso negli Stati Uniti senza obbligo di visto. Inoltre, non solo il passaporto dà diritto al voto – attualmente sono tre i parlamentari eletti all’estero -, ma fa rientrare automaticamente nel quorum dei quesiti referendari, rendendo sempre più difficile il raggiungimento della maggioranza più uno per la loro validità. In più, con sei mesi di effettiva residenza, l’italiano do Brazil, ha diritto ad accedere gratuitamente al nostro Servizio Sanitario Nazionale, al quale naturalmente non ha mai contribuito. Una ragione più che valida per riscoprire antichi sentimenti patri e un altrimenti inspiegabile amore per il Tricolore.
A fare le spese di questa necessaria regolamentazione saranno forse le varie Nazionali azzurre, che non potranno più schierare in campo i cosiddetti oriundi, giocatori nati e cresciuti dall’altra parte del mondo ma naturalizzati in virtù di millantate antiche parentele. Ce ne faremo una ragione.