repubblica.it, 28 marzo 2025
Aleida Guevara: “Le politiche di Trump sono un disastro: Usa ipocriti nel sostegno a Kiev”
«Ricordi con papà? Ne ho pochissimi, ero molto piccola. Uno su tutti è quando nel fine settimana si dedicava di più a me e ai miei fratelli. La domenica mattina andavamo a tagliare le canne da zucchero tutti insieme. Mi faceva sedere sopra un mucchietto di canne. Lui lavorava, parlava, e io, intanto, mangiavo divertita». Un frammento di diapositiva dei primi anni Sessanta. Ma Aleida Guevara March, figlia del Che, ce l’ha ancora nitida in mente.
Un’immagine che restituisce il senso di un’esistenza, quella del comandante e rivoluzionario che ha reso Cuba lo Stato che è oggi. A restituirne un quadro più articolato è la mostra “Che Guevara tú y todos” al Museo Civico Archeologico con 2000 documenti, diari, fotografie, 14 ore di discorsi registrati e 100 ore di video storici. Tutto materiale recuperato dall’archivio del Centro de Estudios Che Guevara a L’Avana, diretto dalla seconda moglie del Che, Aleida March de La Torre, madre di Aleida.
Una celebrazione appropriata per suo padre?
«Sì, in una città universitaria dove molti giovani possono scoprirlo o conoscerlo più a fondo. Mio padre lo sento sempre molto presente nella mia vita, per quanto non avesse molto tempo da dedicare a noi figli».
E lei sente di conoscerlo?
«Per fortuna mia madre, diplomata giovanissima come docente a Santa Clara, mi ha insegnato a capirlo, ammirarlo e rispettarlo. A me e ai miei fratelli è riuscita passo dopo passo a trasmettere il sapore dei principi che il Che proiettava attraverso la sua vita come il rispetto per l’essere umano e la natura».
Suo padre è ormai considerato un mito.
«Mio padre ha preteso da sé di essere un uomo migliore e ci è riuscito. Ciò non lo rende un mito perché i miti sono lontani dall’essere umano. Mio padre ha soltanto dimostrato che si può essere diversi e vivere con dignità e solidarietà, al di sopra di ogni ricchezza materiale. Questa è la sua più grande eredità».
Non ha mai nascosto la grande vicinanza di Fidel Castro alla sua famiglia.
«Era un secondo padre. Non è facile parlare di lui perché mi emoziono facilmente (la voce si rompe, ndr). Era di una sensibilità unica e aveva, forse, un unico difetto: non accettava la morte del suo compagno. Per lui il Che era tra noi».
Com’è Cuba oggi?
«La situazione è molto complessa dal punto di vista economico. Stiamo vivendo un bloqueo che giorno dopo giorno diventa sempre più crudele. Il governo degli Stati Uniti impedisce lo sbarco alle navi finanziate da Cuba ad importare il petrolio. Il che si sta ripercuotendo sull’alimentazione della nostra rete elettrica, molto vecchia, con continui blackout. Senza luce, non possiamo pompare acqua, non illuminiamo strade e case. Siamo in difficoltà e stupiti».
Potrà mai cadere il bloqueo?
«Non sappiamo se l’amministrazione Trump lo inasprirà o scioglierà. L’imperialismo statunitense è ancora dominante, come dimostrano i voti alle risoluzioni all’Onu. Il punto è che la popolazione soffre continuamente da 60 anni a questa parte. È dura, in particolare quando mancano cibo, medicine, beni di primaria necessità».
Ecco, Trump. Cosa ne pensa del suo ritorno alla ribalta?
«La politica internazionale di Donald Trump è un disastro. Ha fatto un pasticcio con il Canada, da sempre partner naturale, e poi con il Messico. È un personaggio senza alcun tipo di visione politica, eppure ha il potere di distruggere la vita di migliaia di esseri umani, l’etica del vivere e il diritto di esistere».
Guerra tra Russia e Ucraina. La sua posizione?
«L’Ucraina è nata dall’Unione Sovietica, prima non esisteva. Gran parte della sua popolazione è di origine russa. Molti di quei luoghi erano russofoni. Hanno vissuto per anni come fratelli. Nessuno può definirsi puramente ucraino o russo in quel territorio. L’ipocrisia di questa guerra è che gli Stati Uniti hanno provocato una crisi internazionale a Cuba negli anni Sessanta, quella missilistica, per la vicinanza geografica e oggi sostengono militarmente l’Ucraina».
E su quella israelo-palestinese?
«È ancora più assurda. Israele cerca con tutti i mezzi di distruggere una cultura e un popolo. I palestinesi devono difendere la loro identità, il loro territorio. La speranza è sempre quella di arrivare a una pace duratura».