ilmessaggero.it, 28 marzo 2025
Intervista a Pantaleo Corvino
Per chi lavorava in Aeronautica dragare i cieli del calcio per trovare stelle non dovrebbe sorprendere. Eppure, a 74 anni, Pantaleo Corvino in ogni stagione lascia a bocca aperta per come riesce a coniugare risultati sportivi e sostenibilità economica. Non a caso il suo Lecce, secondo gli ultimi dati del Cies, nell’indice di sostenibilità è primo in Italia e decimo in Europa.
«Guardi, le dico solo che, negli ultimi tre anni di Serie A per 105 partite il Lecce è stato in zona salvezza. Chi ci ama ha il cuore nello zucchero».
Il suo curriculum sarebbe da studiare a Coverciano. Da dirigente, a 25 anni è partito dalla Terza Categoria ed è arrivato per 4 volte in Champions, disputando circa 700 partite in Serie A. Per cinque volte è stato in B e in 4 occasioni ha vinto il campionato. Ai suoi club ha fatto fare centinaia di milioni in plusvalenze, scovando talenti e rivendendoli come campioni. Non la stupirà che qualcuno pensi che lei sia il più bravo direttore sportivo italiano.
«Niente classifiche. Ognuno ha il suo stile e la sua strada. Io ho un percorso diverso dagli altri, ho cominciato dal marciapiede. Credo molto nell’importanza dei settori giovanili e i 14 titoli italiani che ho vinto mi hanno fatto sempre capire di essere sulla strada giusta. Poi sono aperto alle esperienze estere anche a livello dirigenziale. Il calcio ormai è globalizzato. Quando ero a Firenze, ad esempio, mi sono fatto affiancare dallo spagnolo Macia e dal portoghese Freitas. Certo, a capo però ci deve essere uno che conosce la piazza e il campionato, perciò io mi sento orgoglioso di ciò che facciamo. Grazie al presidente Sticchi Damiani e alla società, qui si può lavorare bene».
Il Lecce ha circa 17 milioni lordi di monte ingaggi, la Roma cento. Se pensa che i Friedkin hanno iniettato quasi un miliardo nel club per risultati assai lontani dagli obiettivi, dov’è l’errore?
«Parlo in generale: il calcio dovrebbe essere trattato come un’azienda e quindi tutto parte dalla scelta di un ottimo management. Invece non avviene. Eppure mettere solo soldi non basta».
Ha mai fatto il conto delle plusvalenze realizzate?
«Mai. Lo farò quando smetto. Ogni mattina mi alzo pensando a come realizzarne altre».
Se si clicca il suo nome su internet, emergono subito gli acquisti o le scoperte che ha fatto nella sua carriera. Da Miccoli a Frey, poi Toni, Nastasic, Milenkovic, Felipe Melo, Ledesma, Vlahovic, Vucinic, Jovetic e tanti altri fino a Dorgu che a gennaio ha venduto al Manchester United per 30 milioni. Se facesse una formazione ideale vincerebbe lo scudetto?
«Non saprei. Magari c’è qualcuno che ha fatto meglio».
E qual è stato il suo allenatore ideale?
«Nessuno mi ha mai deluso, ma Sinisa Mihajlovic è stato quello che ho sentito più mio. Eravamo in simbiosi sia sotto l’aspetto tecnico che umano».
È vero che, se avesse prestato fede alle relazioni e non lo avesse visto di persona, avrebbe perso Vlahovic?
«È vero. Mi avevano detto che non era pronto, ma andando a chiudere Milenkovic, appena vidi giocare Dusan non me ne andai finché non lo presi. Per un milione e mezzo…»
Dica la verità: di questi tempi, se si fosse chiamato Corvinò o Corvinho avrebbe lottato per lo scudetto in una big.
«Ho perso dei treni importanti per mia scelta, ma non ho mai sentito di tradire chi mi ha dato fiducia. Non ho rimpianti. Ho realizzato i miei sogni».
L’ha cercata anche la Roma?
«Andiamo avanti».
Più difficile dire a suo padre muratore che aveva lasciato l’aeronautica per il calcio o acquistare un giocatore?
«Scherza? Ero sposato, con tre figli e lasciavo uno stipendio fisso da due milioni di lire per un solo anno di contratto. Per settimane non ho avuto il coraggio di dirglielo. Quando l’ho fatto non mi ha parlato per due mesi. Credo che per lui sia stata una ferita rimasta aperta fino alla sua morte».
Arriva a Lecce una Roma che ha addosso le stigmate di Ranieri. Che rapporto ha con lui?
«Bellissimo. Di tanto in tanto ci scriviamo. Quando aveva annunciato l’addio gli dissi quanto il calcio stava perdendo e quando è tornato quanto stava ritrovando. Pensi che abbiamo cominciato insieme la nostra avventura in Serie C. Io al Casarano e lui al Cagliari. Si capiva già che era un fuoriclasse. Il titolo col Leicester è la dimostrazione che per lui tutto è possibile».
Lei è amico dei calciatori o tiene le distanze? Ad esempio, autorizza il sesso prepartita?
«Guardi, una trombata non fa mai male... Io quando posso partecipo alla vita degli atleti, ma sono principalmente un manager».
È noto che lei sia un appassionato di arte contemporanea. Se avesse un budget illimitato per il calcio e l’arte, chi e che cosa acquisterebbe?
«Illimitato? Allora una pazzia la farei per Haaland. Per l’arte potrei dirle Andy Warhol e invece, per deformazione professionale, penso a un artista che è ancora avvicinabile. Mi piace molto l’arte concettuale di Emilio Isgrò. Le sue “cancellature”, con sole parole che finiscono per esprimere significati diversi, mi emozionano».
Dei calciatori che ha avuto, quali assocerebbe a un artista?
«Miccoli e Vucinic mi hanno fatto sempre pensare a Kandinski. Toni, anche se non è un centrocampista, aveva un modo geometrico di cercare il gol, così lo associo a Mondrian. Vlahovic, invece, per me è un futurista: Balla o Boccioni».
Più facile che il Lecce si salvi o che la Roma vada in Champions?
«Siamo tutti in piena bagarre. Mancano 27 punti e può succedere qualsiasi cosa. Però vorrei che Ranieri raggiungesse i traguardi che merita».
È vero che lei vuole morire su un campo di calcio? Un po’ come ha fatto Molière a teatro…
«Voglio morire in pista. Va bene anche su una tribuna o in un ufficio. In realtà ogni giorno penso di lasciare. Del resto ho fatto 1800 partite dalla terza Categoria alla Champions. Ma poi ogni mattina ricomincio più carico».
A proposito di perseverare, ha perdonato suo figlio per non aver chiamato suo nipote Pantaleo?
«No, non l’ho perdonato. Io mi chiamo anche Oronzo: almeno uno dei due avrebbe potuto metterglielo…».
L’intellettuale Alberto Arbasino diceva che in Italia le persone famose passano da tre condizioni: “Giovane promessa, solito stronzo e venerato maestro”. Sente che ha raggiunto l’ultimo traguardo?
«Dipende dalle giornate. Mi sa che oscillo ancora fra gli ultimi due livelli…».