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 2025  marzo 28 Venerdì calendario

La fuga in Israele e il mandato di cattura: la parabola «senza rete» del serbo Dodik

Mentre si avvicina il trentesimo anniversario della pace di Dayton (cadrà nel novembre prossimo), la Bosnia Erzegovina sta attraversando la più grave crisi politica dalla fine della guerra degli anni ‘90. Il suo fragile equilibrio istituzionale vacilla ogni giorno di più sotto i colpi del leader serbo-bosniaco Milorad Dodik, 66 anni, al potere ininterrottamente dal 2006 e da tempo autoproclamatosi portavoce dei serbi che vivono nel territorio della Bosnia. Un mese fa un tribunale di Sarajevo l’ha condannato in primo grado a un anno di carcere giudicandolo colpevole di non aver rispettato le decisioni dell’Alto rappresentante della Bosnia Erzegovina, il funzionario incaricato di garantire il rispetto degli accordi di pace che misero fine alla guerra nel 1995. Lui ha risposto facendo approvare una serie di leggi che negano l’autorità delle istituzioni giudiziarie statali e delle forze di polizia che operano in tutto il Paese. Poi ha avviato le procedure per modificare la Costituzione e dotare il territorio di un proprio esercito. Dodik è un nazionalista spregiudicato e filorusso che domina da anni la scena politica bosniaca delegittimando le istituzioni create con la pace di Dayton e minacciando apertamente la secessione dell’entità serba. Sa di poter contare sul sostegno di Putin, del presidente della Serbia Vucic e sull’amicizia dell’ungherese Orbán ma con il ritorno di Trump alla Casa Bianca e il caos in Medio Oriente si è convinto che esistano finalmente le condizioni per accelerare la sua strategia di disgregazione dello Stato bosniaco.
Lunedì scorso ha lasciato il Paese di nascosto insieme ai suoi collaboratori e si è recato in Israele per portare la propria amicizia e solidarietà al governo di Tel Aviv. Dopo aver partecipato a una conferenza internazionale sull’antisemitismo ha rilasciato un’intervista all’agenzia di stampa israeliana JNS spiegando che esistono molti parallelismi tra lui e Netanyahu. «Entrambi i nostri popoli affrontano continui tentativi di negare il loro diritto di esistere – ha detto -. Siamo presi di mira non perché abbiamo fatto qualcosa di sbagliato ma perché non siamo disposti a chinare la testa. Quando non riescono a sconfiggerti alle elezioni, cercano di farti fuori con altri mezzi». Quello di Dodik è un tentativo di accreditarsi all’estero che servirebbe a bilanciare la perdita di consensi nel suo Paese, dove molti lo considerano da tempo un despota corrotto che sta sfruttando la sua posizione politica per arricchirsi personalmente. Dopo la sua “fuga” in Israele la magistratura bosniaca ha emesso un ordine d’arresto contro di lui e ha chiesto all’Interpol di emettere un mandato di cattura internazionale anche nei confronti del premier serbo-bosniaco Nenad Stevandic, anch’egli accusato di attentato all’ordine costituzionale. I Balcani occidentali sembrano sull’orlo di una nuova crisi ma qualche giorno fa lo stesso Dodik è stato “freddato” proprio dall’amministrazione statunitense, quando il segretario di Stato Marco Rubio ha riaffermato il sostegno di Washington all’ordine costituzionale bosniaco sollecitando i partner regionali a contrastare qualsiasi comportamento destabilizzante. E anche l’UE ha ribadito il proprio impegno all’integrità territoriale della Bosnia.