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 2025  marzo 28 Venerdì calendario

Saponi, dolcificanti e antinfiammatori Quei prodotti pericolosi per l’ambiente

Ci detergiamo la pelle con il sapone, la ammorbidiamo con un velo di crema e ci laviamo i denti con il dentifricio; il caffè lo prendiamo dolcificato con l’aspartame e quando ci ammaliamo ci curiamo con un antibiotico o un antinfiammatorio. Probabilmente non lo sappiamo, ma ciascuno dei prodotti che utilizziamo in questa ipotetica routine quotidiana sono potenzialmente pericolosi. Lo sono per l’ambiente e anche per noi umani, che con esso viviamo in continua relazione poiché i loro residui finiscono nelle acque e nei suoli. Questi prodotti contengono, infatti, composti chimici che non sono attualmente regolamentati o adeguatamente monitorati, per i quali è perciò impossibile valutarne correttamente il livello il rischio o il grado di pericolosità per l’ecosistema.
La loro definizione scientifica è “contaminanti di preoccupazione emergente”, o “contaminanti emergenti”, ma sono conosciuti anche con l’acronimo PPCP che sta Pharmaceuticals and Personal Care Pollutants, cioè “Prodotti Farmaceutici e per la Cura della Persona”.
L’aggettivo “emergente” non deve però indurre in errore: non si tratta di composti chimici di nuova generazione bensì di sostanze che vengono usate da anni proprio in ambito farmaceutico (umano, veterinario, fitosanitario) e cosmetico, e talvolta riscontrate da tempo nelle cosiddette matrici ambientali, ma sui cui possibili impatti ambientali gli studi scientifici si sono focalizzati solo nell’ultimo decennio. ISDE Italia – Medici per l’Ambiente la considera «un’emergenza ignorata» e nel suo recentissimo position paper “Farmaci e prodotti per la cura della persona: contaminanti di interesse emergente”, descrive esattamente la natura di queste sostanze potenzialmente pericolose e la loro presenza nell’acqua potabile, nei fiumi, nei laghi, nei suoli, negli ecosistemi montani, nella fauna selvatica europea, ne approfondisce gli effetti sulla salute, analizza le fonti di emissione e le strategie di mitigazione e propone una serie di soluzioni concrete.
I contaminanti emergenti si trovano in moltissimi prodotti di cui facciamo uso ogni giorno: farmaci, disinfettanti e antibatterici, repellenti per insetti, creme per il corpo, filtri solari ultravioletti, saponi, tinture per capelli, dentifrici, ammorbidenti e molto altro. Li assumiamo per via orale, li applichiamo sulla pelle, li metabolizziamo e poi li espelliamo: i PPCP, a quel punto, vengono scaricati nelle fognature e si disperdono nell’ambiente. Diverso è il modo con cui vengono rilasciati i farmaci veterinari ma praticamente uguale è l’uso estensivo e universale che se ne fa. Uguale, inoltre, è ciò che esso determina: la persistenza.
I contaminanti emergenti si caratterizzano, infatti, per una elevata persistenza nell’ambiente – anche di oltre 20 anni, come avviene per l’acido clofibrico, il principale metabolita del clofibrato, farmaco usato per ridurre i livelli di colesterolo nel sangue – da cui consegue la possibilità, per gli organismi viventi, di una esposizione di lunga durata, difficile da controllare e risolvere, con effetti devastanti sulla biodiversità.
Residui di antibiotici, antimicotici, antido-lorifici, contraccettivi, antitumorali, antidepressivi, antiparassitari sono stati rilevati in microorganismi, piante, invertebrati e vertebrati, in diversi habitat e regioni del mondo, compreso l’Artico. «L’inquinamento causato da alcuni prodotti farmaceutici e da alcuni conservanti, additivi, coloranti è un problema emergente, con prove ben documentate sui rischi per l’ambiente e, in particolare, per la salute umana in relazione alla resistenza antimicrobica», concludono gli autori dello studio, Vitalia Murgia, Agostino Di Ciaula e Roberto Romizi. «L’esposizione a lungo termine potrebbe contribuire all’aumento di malattie croniche, squilibri ormonali e disturbi dello sviluppo», anche a basse concentrazioni, soprattutto nei soggetti più vulnerabili.
Nonostante tutto questo, la regolamentazione fatica a stare al passo con le evidenze scientifiche ed è per tale ragione che Isde ha chiesto alle istituzioni di attuare un monitoraggio più rigoroso delle acque e delle matrici ambientali, la promozione di tecnologie che portino alla progettazione di farmaci e additivi efficaci e meno impattanti sull’ambiente, la sensibilizzazione degli operatori sanitari e dei cittadini alla necessità di limitare il problema. «Abbiamo bisogno di un cambio di rotta nelle politiche produttive, ambientali e sanitarie che coinvolga l’intero ciclo di vita dei farmaci», conclude Di Ciaula, che di Medici per l’Ambiente presiede il Comitato Scientifico: «Dalla produzione alla prescrizione, fino al consumo e allo smaltimento. Poiché il consumo di farmaci è destinato a raddoppiare entro il 2030, ogni giorno che passa senza interventi concreti aumenta la quantità di queste sostanze disperse nell’ambiente, aggravando il problema della contaminazione degli ecosistemi».