corriere.it, 28 marzo 2025
Intervista a Stefano Buono
Come è diventato Mr. 4 miliardi? «Per necessità». Stefano Buono viene chiamato l’Elon Musk italiano, anche se di questi tempi non è il massimo. Il fisico imprenditore ha lavorato al Cern con il Nobel Carlo Rubbia prima di fondare una società venduta a Novartis per 4 miliardi. L’ultima avventura si chiama Newcleo, una start-up del nucleare di quarta generazione. All’ex centrale Enea del Brasimone ha investito 90 milioni. Il progetto più rilevante è un reattore non nucleare da 10 megawatt elettrici, entrerà in funzione nel 2026 per simulare i reattori che verranno realizzati in Francia e poi in Slovacchia. Il prototipo si potrà visitare. Buono è stato ospite al Circolo della Caccia dove ha raccontato la sua storia e i suoi progetti.
Non le bastava fare lo scienziato?
«Ho sempre avuto spirito imprenditoriale. Ho iniziato con il brevetto su cui stavamo lavorando per la medicina nucleare. Il nome della società era un generico Advanced accelerator applications, al plurale. Se avessi dimostrato di essere un buon imprenditore in medicina poi avrei potuto raccogliere denaro sull’energia».
Si è licenziato senza un paracadute?
«Dopo tre mesi con il business plan ho trovato il primo milione. Ci siamo quotati e abbiamo creato un farmaco che ha avuto un grande successo oncologico. Novartis ha ipotizzato che valesse un miliardo l’anno. Poi hanno registrato un prodotto simile con un potenziale di 8 miliardi».
Pentito di aver venduto a 4?
«No, ero contento di occuparmi di energia. Sapevo che la valorizzazione sarebbe potuta arrivare a 10».
Perché ha questa ossessione per il nucleare?
«È un’energia che sfrutta meno il pianeta, ci dà libertà, soprattutto all’Europa che non ha risorse energetiche. Propongo di riusare il combustile spento dell’industria nucleare. Roma può essere alimentata un anno solo con un metro cubo di rifiuti».
Dove sono?
«Nei depositi o nelle piscine di combustibile esaurito, c’è già un’industria che li può valorizzare. I nostri reattori li possono riutilizzare all’infinito, quando hanno esaurito la loro carica possono servire per medicine o batterie».
Che cosa fate al Brasimone?
«Lavoriamo con il piombo liquido. È efficace per la compattezza del sistema e il costo ridotto. Non ci sono rischi. Il reattore si spegne da solo in caso di malfunzionamento. Al Brasimone già con Rubbia si lavorava su questa tecnologia, quella dei sottomarini russi. Enea ha creato una filiera, aziende che fanno parte del nostro gruppo. Noi abbiamo ripreso tecnologia e brevetti mettendo insieme competenze».
Non avete inventato nulla?
«È un progetto che non ha un grande rischio tecnologico».
Si sente ambientalista?
«Molto e ne sono fiero, di sicuro più di un certo ambientalismo ideologico».
Il referendum è stato un errore?
«La tecnologia era agli inizi. Siamo stati precursori con Fermi, terza potenza mondiale, ora paghiamo l’energia il doppio della Francia. Lì costa 60 euro a megawatt. L’anno scorso ci hanno venduto il 17% del nostro fabbisogno».
Al Brasimone sono venuti i ministri Urso e Pichetto Fratin. Sta cambiando sensibilità?
«Si, il processo di ritorno al nucleare si è visto con l’ok alla legge delega. C’è tanta industria che spinge per decarbonizzare. L’ha detto anche il presidente di Confindustria».
In Emilia-Romagna sono tanti i settori energivori.
«Siamo all’inizio di un dialogo con gli imprenditori della ceramica, stiamo ragionando con loro».
Anche le amministrazioni di centrosinistra hanno mostrato interesse?
«Moltissima, in Emilia-Romagna la politica capisce le esigenze dell’industria. Sul Brasimone abbiamo investito 90 milioni, ci sono 140 ricercatori, useremo quei laboratori per dieci anni e poi li daremo a Enea che resterà il centro più importante su questa tecnologia. Il territorio è contento».
Ma avremo mai un reattore nucleare in Italia?
«Si, questa narrativa sul nucleare non ha fondamento scientifico, la ragione deve prevalere. Se si depotenzia il tema della paura, si capisce che è la tecnologia più sicura».
Beh, non è proprio così...
«A Three Mile Island non ci furono vittime. A Chernobyl l’impatto fu limitato».
È ancora disabitato a distanza di decenni.
«Una bellissima foresta».
Diciamo che non viene voglia di andarci ad abitare.
«Io ci andrei, come a Fukushima che ha un livello di radiazioni più basso di Orvieto».
Perché lo fa?
«Perché posso riuscire, capisco la tecnologia e posso riunire i capitali».
Come mai è diventato imprenditore?
«Ho sempre avuto questo spirito. All’università organizzai un commercio di libri usati che raddoppiava il fatturato ogni anno ma mi occupava un sacco di tempo. Quando lavoravo al Cern avevo un negozio di sub,è rimasta la mia grande passione assieme alla vela».
Ha paura di fallire?
«No».