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 2025  marzo 28 Venerdì calendario

Camille Corot, la donna che interrompe la lettura e una domanda: come leggiamo oggi (se leggiamo)?

Negli Anni Cinquanta il critico René Huyghe coniò una celebre battuta: «Nel mondo esistono quasi millecinquecento dipinti di Camille Corot, tremila dei quali sono in America». Alludeva alla straripante quantità di «imitazioni» (per non dire falsi) dell’artista francese che ancora oggi inondano musei e gallerie, soprattutto negli Stati Uniti. Re delle vedute, maestro della resa emotiva, cardine tra la pittura di paesaggio di metà Ottocento e «l’impressione» moderna, Corot è ancora oggi uno degli artisti più conosciuti, copiati, eppure difficili da collocare. La prova sta nella varietà di interpretazioni critiche che negli anni lo hanno accompagnato.
Nacque nel 1796 e morì un anno dopo la nascita del movimento impressionista, nel 1875. Oggi è conosciuto ancora per i paesaggi, ma in questa puntata di «Capolavoro!» ho scelto una delle sue bellissime figure umane, a mio avviso la via giusta per inquadrare l’artista nella sua completezza. Il dipinto è del 1870 e si intitola Lettura interrotta, conservato oggi nell’Art Institute di Chicago. Siamo nel Corot più maturo, quello che ha viaggiato a lungo, che si è lasciato sedurre dall’Italia e dalle atmosfere del Mediterraneo, quello che ha da tempo trovato una congiunzione morbida tra la natura e le persone attraverso una pennellata «larga», mai avara.
E così questa lettrice si propone a noi nella sua assoluta spontaneità: ha un abbigliamento molto vicino a quello dell’Italia ottocentesca, richiama le donne della provincia laziale che l’artista vide nei suoi soggiorni. Abito scollato, gioielli vistosi, acconciatura ornata di cerchietto e fermagli. Ha un libro in grembo, ma la testa altrove: il titolo stesso suggerisce una distrazione. Eppure, c’è una differenza importante tra questa donna e un’altra famosa lettura interrotta, quella di Parmigianino, del 1529.
Nel dipinto del pittore emiliano, l’uomo che legge pare fermarsi per riflettere su un concetto o su un passaggio della lettura. Potrebbe essere, diciamo, un proseguimento della lettura con altri mezzi. La donna di Corot no. Intanto il libro non è «momentaneamente appoggiato», ma pare piuttosto «abbandonato» in grembo. Guarda davanti a sé con un’espressione contrita, come a comunicare una sottile preoccupazione che trascende l’atto della lettura. Una pena d’amore? Un pensiero fisso? Avrà preso quel libro in mano per il piacere di leggere o, piuttosto per lasciarsi rapire momentaneamente dalle inquietudini?
Il lettore di Parmigianino è colto in una pausa dell’attenzione, la lettrice di Corot è in uno stato di piena distrazione. Uno stato, questo, reso magnificamente dal pittore con pennellate veloci, con la sua famosa «sprezzatura», la disinvoltura nel dipingere che gli invidieranno Monet e gli altri, la naturalezza della resa degli stati d’animo, l’anti-retorica che infonderà sempre, sia nei paesaggi che nei ritratti.
È questo il segreto di Corot: come Degas volle sperimentare qualcosa di diverso rispetto all’ispirazione en plein air. Tornò in studio, riportò sulla tela non tanto le cose che vedeva ma quelle che prese a ricordare, così da conferire alle sue figure una qualità emotiva notevole, una scuola alla quale attingeranno in tanti. Come Degas (che in molti dipinti non riproduce il momento preciso, ma il prima o il dopo), anche Corot si distaccò dal particolare, dal dettaglio e dall’esattezza per lasciarsi trasportare dalla memoria. Le sue raffigurazioni, così, cominciarono a nascere da quel limbo tra ricordo e immaginazione, fuori dalle «troppe correnti d’aria» della pittura all’aria aperta, come osservava ironicamente Degas.
E proprio in questo dipinto, l’espressione indefinibile della donna arriva ai nostri circuiti neuronali attraverso alcuni passaggi invisibili: la mano appoggiata alla testa che pare dissolversi in un pulviscolo di colori chiari; l’inclinazione delle spalle, le ombre sotto gli occhi, il colorito pallido.
Quelle che agli occhi di molti critici suoi contemporanei parvero delle «negligenze», si sono rivelate negli anni il vero slancio vitale di Corot, artista modernissimo, tanto che Monet parlando di lui disse «C’è solo lui e da lui impariamo».  Proprio per questo fece da cardine con gli sviluppi della pittura di fine Ottocento, quella degli impressionisti: non dipinse «quella mano», ma l’evocazione di una mano, in parte vista con gli occhi e in parte immaginata o ricordata. Munch, in seguito, porterà all’estremo questo processo, dipingendo un territorio eccentrico fatto di ricordi, sogni, immaginazione e cose viste.
E così, seguendo le emozioni che ci trasmette questa donna distratta, forse disperata, ci si chiede: quante volte riusciamo a mantenere ferma l’attenzione su una pagina che stiamo leggendo? Quante volte, invece, sentiamo il bisogno di fermarci e di abbandonare il libro in grembo perché leggere ci affatica? C’è un libro interessante, dal titolo Come leggere?, scritto da Naomi S. Baron e pubblicato da Raffaello Cortina, che affronta proprio il tema della lettura oggi: sappiamo ancora leggere? Oppure crediamo di leggere per tutto il giorno (post, notizie, articoli, messaggi, e-mail) ma in realtà ci stiamo solo informando?
Confondere lettura e ricezione di informazioni è uno dei grandi equivoci nel tempo che viviamo: esiste una lettura veloce (per scansione) e una lettura lenta (meditativa). Peccato che sia proprio la seconda quella che – secondo le ricerche riportate da Baron – consolida il nostro senso critico, la capacità di analizzare le cose, di ragionare meglio. Peccato, perché è proprio la lettura meditativa che stiamo perdendo. Le cause sono tante, alcune ancora oscure e controverse. Nella prefazione, la neuroscienziata cognitiva Maryanne Wolf scrive: «Se il mezzo dominante favorisce processi veloci, orientati al multitasking e adatti a grossi volumi d’informazioni, come accade con il digitale, minor tempo e attenzione verranno allocati alle funzioni cognitive e riflessive più lente».
Leggere un libro non è leggere un articolo o un post: il libro richiede un processo che assomiglia al possesso, anche fisico. Ecco perché, a dispetto delle previsioni iniziali, la lettura dei libri su supporti digitali non è mai decollata e ancora oggi (per la verità più i giovani che gli adulti) preferiscono la carta se devono leggere un romanzo o un saggio. La lettura, dunque, oggi assomiglia a qualcosa che va ricostruito: anche perché non si tratta, come spesso pensiamo, di un atto naturale. Leggere è un processo culturale e come tale si impara e si disimpara. Un circuito di lettura non è un dono permanente, ma è costruito e ricostruito da ciò che prevale in un dato ambiente o in un dato periodo storico.
Infine, contro ogni retorica melensa (proprio come piaceva a Corot) è una pia illusione pensare che leggere sia una distrazione, anche quando prendiamo in mano il più leggero dei romance in circolazione: nel classico Come leggere un libro, di Mortimer J. Adler, uno dei cardini è racchiuso in un’affermazione: «Leggere comporta un’attività mentale tra le più intense: se non sei stanco, forse non hai fatto il tuo lavoro».