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 2025  marzo 28 Venerdì calendario

Tudor, la Juve nel cuore. «È stata una scuola di vita vorrei restarci dieci anni»

Un bambino a casa di Babbo Natale sarebbe stato meno felice: «Le emozioni ci sono e io darò tutto me stesso, la Juve è il club che tutti vorrebbero allenare», ammette subito Igor Tudor, che a 47 anni tra un paio di settimane si presenta qui per la terza volta. Giocatore, a vent’anni, viceallenatore, cinque stagioni fa, e comandante in capo, finalmente. «E per questo ringrazio il direttore (Cristiano Giuntoli, ndr) e il club». Seguirà un onesto, divertente (e divertito) zibaldone bianconero, tra progetti, riflessioni, aneddoti: da Zizou a Del Piero, da Lippi allo storico magazziniere Francesco Romeo, scomparso nel novembre 2006. Con avvertenza: «Il senso di appartenenza è importante, ma solo con quello non si vince». Alla passione del cuore serve la corazza del lavoro.
Sa di avere solo due mesi, gli stessi che gli lasciò la Lazio, un anno fa, e allora inutile parlare del passato: «Credo tanto in questa squadra – spiega – e anche se avremo poco tempo per lavorare, non ci sono scuse». Piuttosto, «ho sempre cercato le sfide». Benvenuto alla Juve, che gli chiede la qualificazione alla prossima Champions e, a seguire, di giocarsela al Mondiale per club, dove piloterà sempre lui. C’è chi l’ha chiamato il risolvi problemi, come il mister Wolf di Tarantino: «Ma quelle sono solo etichette – sorride – mi considero un allenatore, ho iniziato a farlo presto, 15 anni fa». Non è un tipo convenzionale: «Faccio le scelte con il cuore, se sento che è giusto proseguo, sennò vado a casa. Si vive di presente nella vita, avere dieci anni di contratto cambia poco, anche se qui vorrei starci dieci anni».
Casa dolce casa: «Qui ho imparato la cultura della Juve – racconta – Zidane, Del Piero, Montero. Giocavi la Champions e poi in campionato, contro una squadra più debole, eppure c’era la stessa tensione». A gentile richiesta, snocciola aneddoti: «Appena arrivato alla Juve, un giorno, dovevo fare terapie e aspetto il lettino, quando arriva Zidane e allora gli dico di passare davanti. Era Zidane. Che invece mi fa: “No, tocca a te”». E ancora: «In spogliatoio mi tolgo le calze e le butto, al ché viene Del Piero e mi spiega che avrei dovuto arrotolarle, per aiutare Romeo, il magazziniere. Questo dimostra l’umiltà di certa gente».
Appartenenza
«Il senso di appartenenza è importante, ma da solo non basta per vincere»
Per non parlate degli allenatori: «Lippi, Capello, Ancelotti hanno vinto poco mi sembra..È stata una scuola di vita». Non è solo tattica: «Quando penso a Lippi, penso alla Juve: gli voglio bene».
Va da sé, ha preso un po’ da tutti: «La mia opinione è che bisogna fare un gol in più, ma che bisogna correre e difendere. Voglio gente che si diverta». Verrà il tempo dei video e delle lavagne, perché in tre giorni tanto non si può fare, ma adesso urge riaccendere la luce delle coscienze: «Bisogna dare spensieratezza, cattiveria mentale e motivazioni». Oltre alla tattica, s’intende: «Servono le cose giuste, essenziali». Pescando da un vario menù: «In carriera ho fatto difesa a quattro e a tre, pressing a zona e a uomo, bisogna trovate l’assetto giusto per i giocatori che hai». Punta su Vlahovic, «e con Kolo Muani possono giocare assieme». L’età non conta: «Quando sei alla Juve non interessa a nessuno se sei giovane, devi vincere e basta». Del resto, sono stati i risultati a sfiduciare Thiago Motta, aveva spiegato Giuntoli, pur ringraziandolo: «C’era grande preoccupazione e abbiamo deciso di dare una sterzata».