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 2025  marzo 28 Venerdì calendario

Negrita: noi, liberi pensatori del rock

La guerra e i suoi orrori, i media che fomentano le paure, il potere che usa il manganello, un mondo avvelenato dall’odio digitale, ma alla fine anche la luce di un’estate che torna e che nessuno può fermare. Riassunto in sequenza di un disco che esce oggi, «Canzoni per anni spietati» dei Negrita, ma che ha lo spirito di quella musica anni 60-70 che provava a curare i mali del mondo o quantomeno non girava la testa dall’altra parte. «Questo disco arriva dopo 7 anni di nulla. Dall’ultimo album, del 2018, siamo caduti in un limbo: non riuscivamo più a scrivere canzoni, per motivi vari, pandemia compresa. Ascoltando i maestri del folk, abbiamo trovato l’unica cifra stilistica che poteva farci ripartire», spiega Pau, il frontman. In queste 9 canzoni la lezione delle protest song (c’è un omaggio a Dylan che ricalca quello che lui fece a Woody Guthrie) è più nella centralità della parola che non nei suoni. «La matrice è folk, i suoni acustici emergono, ma li abbiamo vestiti con le nostre chitarre elettriche», spiega Mac.
È un disco politico?
Pau: «Qualcuno lo ha definito disco di resistenza poetica e ci piace. È anche un album politico, non partitico, perché si concentra sull’attualità, quella fuori dalla nostra finestra e quella internazionale».
Epoca spietata?
P: «Si stanno perdendo le conquiste sociali fatte dai nostri padri e dai nostri nonni. A livello semantico si stanno ridefinendo le parole: libertà diventa anarchia, democrazia diventa dittatura... Il bombardamento mediatico-digitale non ci permette più di interpretare la realtà e nasconde la verità».
In «Noi siamo gli altri» vi definite «liberi pensatori»...
P: «Una terza via per chi non si riconosce nel fazionismo: italiani contro italiani, europei contro africani, americani contro americani. Il divide et impera dell’impero romano è utile solo a chi detiene il potere. Riportata al piccolo della nostra politica, questa guerra civile spinge all’astensione».
Dichiarazione di non voto?
P: «Andrò ancora a votare costretto dalla coscienza sapendo che subito dopo mi pentirò.
Mi penso più a sinistra, anche se il Pd non ha una struttura, ma se una cosa buona venisse da destra la accetterei. Dovremmo iniziare a pensare, pur scornandoci fra parti opposte ma senza mazze e cinismo, che l’Italia è di tutti».
Per questo c’è la cover di «Viva l’Italia» di De Gregori?
Drigo: «Lui è il nostro Dylan. Quel testo dà una carezza e un ceffone a tutti noi italiani»

«Dov’è che abbiamo sbagliato» è una critica feroce alla vostra generazione.
P: «Dopo aver riletto i testi degli altri brani mi sono detto “se questo è il risultato, posso solo chiedermi dove abbiamo fallito”. Quando abbiamo ereditato il mondo non siamo stati capaci di fare meglio dei nostri padri. L’unica cosa nostra è la rivoluzione digitale...».
Nello stesso testo dite: oggi l’arte è intrattenimento...
P: «Ci sono stati artisti, Picasso, Hemingway, Lennon, che hanno modificato il sociale. Questo atteggiamento oggi non è scomparso, ma non si trova più nel mainstream che vive di lustrini e kolossal. Noi tre siamo la nobiltà della stupidità: lo capiremo quando faremo i conti con il nostro commercialista. Avremo scontentato qualcuno, ma quando ci vuole ci vuole».
«Non si può fermare», cantata da Drigo, però chiude con una speranza...
Drigo: «In pandemia ci siamo fermati perché non c’era visione del futuro. Poi abbiamo sentito il ritorno ineluttabile dell’estate... Insomma, anche quando facciamo schifo possiamo pensare che le cose cambieranno».