Corriere della Sera, 28 marzo 2025
Il dilemma del leader 5 Stelle tra l’attacco continuo al Pd e il rischio rottura definitiva
Immiscibili. Puoi fare quello che ti pare ma non si mescolano. Acqua e olio, lo sanno anche i bambini. Certo, puoi sempre provarci, e allora scoprirai un’altra cosa: non solo non fanno amicizia, ma l’olio si piazza sopra e l’acqua sotto. Si sa, tutti vogliono prevalere. In politica si chiamano competizione e incompatibilità. E lì, va da sé, la necessità e l’interesse possono sovvertire il destino degli elementi, anche se, alla fine, la chimica si fa sempre sentire. E allora, in questi giorni in cui il dialogo tra Pd e Cinque Stelle si fa con il rasoio, una domanda diventa legittima: Giuseppe Conte punta solo a erodere il consenso di Elly Schlein? Oppure prevarrà la tendenza don Rodrigo, e questo matrimonio elettorale non s’ha da fare e mai si farà?
La sfida messa insieme dal leader del Movimento è fin troppo limpida. Ti stringo in un angolo e ti faccio scegliere: preferisci la padella o la brace? Alla fine dovrai dirlo, perché non ti lascerò fare il sepolcro imbiancato. Allora eccolo Giuseppe che non va alla manifestazione di piazza del Popolo, grazie no, quella è la fiera dell’ipocrisia, che mette insieme guerrafondai e pacifinti, uniti nel prendere in giro chi vuole la pace e basta. E poi la mozione: dite se siete a favore o contro il Rearm di Ursula von der Leyen. Un quesito che alla maggioranza fa un baffo, ma il Pd sì che lo lacera, magari lo spacca, o lo costringe ad arrampicarsi sugli specchi. Quindi la manifestazione del 5 aprile, con tanto di corteo con arrivo ai Fori imperiali, luogo da brividi, che lì, se la gente è poca, accidenti se si vede. Ma Conte ci gioca il tutto per tutto, senza paura, perché anche lui vuole la consacrazione della folla. E infatti ha rifiutato l’approccio di Schlein, che proponeva una piattaforma comune. La risposta è stata: le parole d’ordine sono le nostre, scegli tu, o ti aggreghi o stai fuori.
Metodi un po’ aspri, ma fino a qui si può capire. Giuseppe non poteva star sempre lì a farsi infilzare dalla segretaria che, predicando l’unità, continuava a rosicchiargli voti. E lo ha detto senza infingimenti: «Elly di fatto non si occupa dell’alleanza, ma solo di fortificare il Pd, e io farò lo stesso con il Movimento». Un po’ di ragioni ce le ha, ed è convinto che può crescere solo andando a testa bassa contro il Pd. Così, quando si andrà insieme a sfidare Giorgia Meloni, i rapporti di forza saranno per lo meno riequilibrati, perché i Cinque Stelle non sono disposti a fare i cespugli di nessuno. Ma non è scontato, perché, tra un’alleanza tra potenze rivali e nessuna alleanza, il passo è breve. È già successo. Conte e il Pd hanno governato insieme, insieme hanno sostenuto Mario Draghi, poi in un amen tutto è finito, e alle elezioni sono andati l’un contro gli altri armati. Non sono cose che accadono per caso, perché è diverso il Dna dei due partiti.
L’ultimo istante
Fino all’ultimo momento utile i due leader si terranno le mani libere. Poi chissà
Soprattutto la politica estera è un macigno. Se per Elly Donald Trump è il male assoluto, per Giuseppe svela invece le ipocrisie dell’Europa. Schlein vuole continuare ad aiutare anche con le armi Kiev, lui invece chiederebbe scusa a un soldato ucraino «per la follia dell’Europa». La segretaria vede il futuro nel rafforzamento del continente, il leader coltiva un suo originale sovranismo. Li distinguono le origini, la storia, la cultura politica e la pelle. I Cinque Stelle non si fidano del Pd per istinto, e vengono ricambiati con il marchio dei qualunquisti. I dem si collocano a sinistra, il Movimento, sin dalla nascita, è altra cosa.
Del resto, è così dalla notte dei tempi. Il Pd sarebbe nato nel 2007 e già Beppe Grillo gli indirizzava il suo vaffa. Certo, nel mirino c’era pure lo psiconano-Berlusconi, ma erano gli eredi del Pci che gli facevano ribrezzo. Tanto da arrivare anche allo sberleffo di tentare di candidarsi alla segreteria dei dem con le primarie. Per D’Alema, Grillo era un impasto tra Bossi e il Gabibbo, per Bersani, Di Maio somigliava ad Andreotti, e lui ricambiava dicendo: mai con il Pd di Bibbiano che toglie i bambini alle famiglie. E sempre i Cinque Stelle avevano silurato la corsa a Palazzo Chigi di Bersani. Poi i giorni della pace, dei ripensamenti, delle scuse, di Conte faro dei progressisti, perché si sa, il potere è una colla potente. Ma poi, cronaca recente, è sempre Giuseppe a bollare il Pd come arrogante, spocchioso, nervoso, ambiguo, proprio come il campo largo che gli fa venire l’orticaria.
Il dilemma, tra sfida per crescere e rottura insanabile, resta aperto. Come minimo c’è da aspettarsi, fino all’ultimo, una strategia delle mani libere da parte dei Cinque Stelle di Giuseppe Conte. Nulla vieta comunque che la competizione si trascini, per trasformarsi poi in un’alleanza, o per lo meno in un cartello elettorale, alla vigilia delle elezioni politiche. Come direbbe il cyborg di Blade Runner, ne abbiamo viste di cose in politica che voi umani…