Corriere della Sera, 25 marzo 2025
La discarica dimenticata riemerge per le frane dopo 54 anni e invade il fiume: è disastro ambientale in Mugello
Siamo al Palazzuolo sul Senio. Tra gli speroni di roccia scorre un’acqua gelida così trasparente che nelle grandi polle in cui rallenta si fa azzurra, nonostante l’ombra degli alberi. Ma a tre chilometri dalla sorgente al passo della Sambuca, il torrente Rovigo è incassato tra due sponde alte e fangose, una delle quali, con le piogge del 14 marzo scorso, è venuta giù riportando alla luce una discarica sepolta da oltre cinquant’anni.
Valanghe di buste e di contenitori di plastica, bottiglie di vetro e brandelli untuosi e ormai irriconoscibili si sono riversati lungo 150 metri di pendio e sono finiti nel corso del torrente. Monti di rifiuti urbani – che secondo un primo esame di Arpat non sarebbero tossici – che in parte l’acqua ha già trascinato via giù fino al Santerno, insozzando chilometri di sponde, poi fino al Reno e forse all’Adriatico.
E che in gran parte restano lì a deturpare un paradiso dell’Appennino.
Dalla strada che collega il passo della Colla alla Sambuca, la voragine è così profonda e così ripida che il fiume neppure si vede, mentre la carreggiata è stata in parte mangiata dallo smottamento.
Due squadre di operai sono al lavoro, una per consolidare la strada con dei pali di sostegno e impedire che crolli ulteriormente, l’altra per realizzare un sentiero che permetta di arrivare al letto del torrente e di iniziare così le operazioni di bonifica.
Oggi infatti per arrivare in fondo a quelle malebolge, l’unica possibilità è scendere sul Rovigo da un ponticello distante mezzo chilometro, guadare il torrente e poi, quando l’acqua diventa profonda e incominciano le rapide, attraversare un mare di fango in cui, dopo le piogge di questi giorni, si affonda fino alle ginocchia.
Bisognerà aspettare quindi il nuovo sentiero prima di un intervento. E forse anche nuovi scavi, perché un operaio al lavoro spiega che «probabilmente la discarica si estende ancora in una parte di costone che non è franato».
I volontari pronti a pulire
Un Comune piccolo come Palazzuolo sul Senio da solo non potrebbe affrontare un’impresa tanto grande. Così, oltre alla mano tesa della Regione Toscana che col governatore Eugenio Giani ha promesso risorse ad hoc e il coordinamento dell’intervento (che sarà supervisionato dall’assessora alla Protezione civile Monia Monni), è l’attaccamento al territorio, anzi all’acqua, che forse consentirà di uscirne: squadre di volontari affezionati al Rovigo e, giù fino a Imola, anche al Santerno, sono pronte a offrire le proprie braccia per portare via una busta per volta.
«A farsi avanti sono stati in centinaia», dice il sindaco Marco Bottino. Ma non sarà uno scherzo, perché se nel punto in cui la discarica è venuta giù ci sarà presto il sentiero, i rifiuti sono stati trascinati dalla corrente e si sono fermati lungo tutto il corso del Rovigo, anche in punti quasi impossibili da raggiungere. Per questo il sindaco vuole dividere il torrente per zone colore, per indicare i vari livelli di difficoltà, e ha preso contatto con cinghialai e trekker estremi (tra i quali anche il noto Giovanni Zorn): ogni squadra sarà divisa per colore in base alle capacità, all’attrezzatura, al livello di difficoltà del tratto e sarà affidata a un tutor che dirigerà le operazioni.
«Il problema non sarà solo arrivare, perché una volta riempito il sacco risalire e portare via sarà ancora più difficile. Forse per i punti più proibitivi ci vorrebbero gli elicotteri», aggiunge Bottino.
Nella migliore delle ipotesi serviranno mesi.
I rifiuti di Firenze e le proteste nel 1971
Ma quella discarica del 1971, neppure mappata da Arpat e di cui l’amministrazione comunale ha ritrovato tracce solo in un documento con cui Firenze prometteva soldi a Palazzuolo in cambio dello sversamento, non è l’unica minaccia: quell’intesa prevedeva infatti un’altra manciata di punti di sversamento che nessuno sa con certezza se ci siano o no.
È stato il giornalista palazzuolese Andrea Barzagli a ricostruire gli eventi di 54 anni fa, con gli operai della Rifle di Firenzuola che intervennero per bloccare il disastro ambientale.
«Il consiglio di fabbrica prima occupò il Comune di Palazzuolo, poi io e un gruppo più piccolo di colleghi andammo a bloccare lo sversamento, mentre giù a Razzuolo (Borgo San Lorenzo, ndr) la popolazione si sollevò, occupò la strada e fermò gli altri camion – racconta Giancarlo Grifoni che allora aveva 22 anni – È sempre la stessa eterna storia: la città che scarica i suoi mali sulla montagna».
Forse l’intervento provvidenziale di un gruppo di operai riuscì a salvare il territorio da un disastro ancora più ampio, se oggi il sindaco Bottino – che sulla vicenda è andato a ricercare tutte le tracce, compresa un’interrogazione parlamentare del deputato comunista Veraldo Vespignani, e comunque ha chiesto ai carabinieri forestali di fare accertamenti – commenta che «gli scarichi durarono appena una settimana e forse, speriamo, furono fermati abbastanza presto da impedire l’apertura di altre discariche».