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 2025  marzo 24 Lunedì calendario

Intervista a Giorgetto Giugiaro

Sarà pur vero che ormai si limita al ruolo di «consulente», come ama definirsi, ma Giorgetto Giugiaro resta sempre un vulcano di vitalità ed energia, nonché un faro per l’azienda di famiglia, la GFG Style condotta dal figlio Fabrizio. Lo storico designer automobilistico è da poco tornato da un viaggio di lavoro in Messico: cura ancora i rapporti con alcuni clienti importanti e dà il suo parere in molti progetti.
Nato nel 1938 a Garessio, l’86enne imprenditore ha fondato Italdesign e Giugiaro Design, dando origine ad alcuni modelli di auto che hanno fatto la storia del settore come la Fiat Panda, la Uno e la Punto. Ancora oggi è un attento osservatore di tutto ciò che riguarda il mondo dell’auto.
Giugiaro, che cosa è andato a fare in Messico?
«Ho fatto visita a un importante cliente che ha presentato la sua ultima automobile in un evento privato organizzato nella sua tenuta, con la partecipazione di un migliaio di ospiti. Pensi, ho trovato anche un signore che si è presentato al volante della prima auto da me progettata, un’Alfa Romeo. Sì, la vettura presentata è una one-off prodotta dalla nostra azienda. Non mi chieda di cosa si tratta, non lo posso ancora dire. Ma la realizzazione è merito di mio figlio Fabrizio».
Buon sangue non mente?
«Sicuramente influisce l’imprinting della mia famiglia di artisti. Mio padre, come prima di lui il nonno e il bisnonno, era un affrescatore e un decoratore. Io avevo intenzione di seguire un po’ le sue orme, dedicandomi al disegno artistico. Ma fu lui a consigliarmi di dedicarmi anche al disegno tecnico, perché riteneva che specializzarmi in questo potesse aprirmi più possibilità. A 17 anni io non sapevo ancora cosa fosse un’automobile, poi pian piano è iniziata la scalata».
Quale è stato il primo passo?
«All’Accademia delle Belle Arti tra i miei professori c’era lo zio di Dante Giacosa, che fu il primo a consigliarmi di specializzarmi nel design di automobili. Lavorai su questo e portai un prodotto molto elaborato a una mostra di fine anno degli allievi dell’Accademia. Lo zio di Giacosa portò a quell’evento Dante, che si incuriosì vedendo i miei lavori e in seguito decise di portarmi a lavorare con lui in Fiat, come apprendista nell’Ufficio Studi Stilistici Vetture Speciali. Per me, quell’esperienza, durata quattro anni, è stata come frequentare un’Università».
E il primo vero lavoro?
«Nel 1959 mi trasferii alla Carrozzeria Bertone, diventando capo del centro stile. Sono questi gli anni in cui iniziò veramente il mio percorso progettuale, con la prima macchina disegnata in assoluto, l’Alfa Romeo 2600 Sprint. Bertone la portò al Salone dell’Auto di Torino e da quel momento non fui più un perfetto sconosciuto. Dopo cinque anni ho ricevuto un’offerta dalla Carrozzeria Ghia, dove mi sono spostato nel 1965, sempre come direttore del centro stile».
Ma lei era desideroso di mettersi in proprio, non è così?
«Risale al 1968 la nascita di Italdesign, fondata da me e Aldo Mantovani. Era una società attiva non solo nella creatività del prodotto auto, ma anche nello sviluppo. Con il tempo abbiamo instaurato e portato avanti collaborazioni con case automobilistiche di tutto il mondo, dando vita a centinaia di modelli, sportivi e non».
Se dovesse scegliere una «sua» auto alla quale è più affezionato, quale sceglierebbe?
«La Panda.
Anche e soprattutto per come è nata».
Racconti…
«Carlo De Benedetti, da ad Fiat, mi chiese di dettare lo stile di un’auto innovativa, compatta ma spaziosa e che venisse a costare poco. Al tempo, lavoravo in Italdesign con Mantovani. Io stavo per partire per le vacanze, era l’estate del 1976. Ma De Benedetti insistette: voleva subito quella automobile e mi chiese di lavorarci durante le vacanze, dicendomi che mi avrebbe aspettato nella sua casa in Sardegna a Ferragosto per fare il punto della situazione. Pochi giorni prima del 15 agosto, telefonai a De Benedetti ma mi rispose il maggiordomo, dicendomi che non era presente nella casa in Sardegna e non sapeva quando sarebbe tornato. Al mio rientro a Torino, scoprii che era uscito dalla Fiat. A Mantovani dissi che temevo avessimo lavorato a vuoto».
E poi cosa è successo?
«Il nuovo ad Tufarelli mi telefonò dicendo che voleva salvare il progetto, con la sola condizione di non pesare sui costi. Grande sfida. L’auto doveva essere essenziale, utilitaria ma spaziosa. Durante lo sviluppo i costi erano aumentati per diversi imprevisti esterni che mi avevano costretto a intervenire sul progetto. Riuscimmo a realizzare il progetto dopo varie difficoltà. Ho sempre detto di aver disegnato un “frigorifero”, perché per ottenere il massimo dello spazio la Panda era squadrata. Viste le difficoltà e i tanti vincoli che mi sono stati imposti, sarebbe stato quasi più facile disegnare una supercar».
Altri tempi. Cosa pensa della crisi dell’auto di oggi?
«Ai miei tempi la Fiat godeva di una considerazione incredibile in ogni parte del mondo, adesso è praticamente scomparsa. La colpa è un po’ di tutte le componenti sociali. A volte ho la sensazione che noi italiani siamo forti a livello individuale ma non sappiamo proprio fare squadra né rispettare delle gerarchie, mentre chi decide non capisce che le auto sono fatte in primis da persone».
Quali sono le attività della vostra GFG Style?
«Era il 2015 quando Fabrizio ha voluto creare una nuova società di consulenza stilistica. Mi ha seguito da quando aveva 12-13 anni; insieme, abbiamo progettato più di 300 modelli di auto entrati in produzione. Lui è più ferrato di me sugli aspetti di meccanica, mentre io ero appassionato soprattutto di ergonomia e di proporzioni. Spesso lui ha subito le conseguenze dell’essere un figlio d’arte: sono positive, ma a volte anche negative. Garantisco io per lui, ha grandi qualità e le dimostra ogni giorno: non ha bisogno di me. Io mi limito a fare da consulente. Attualmente lavoriamo soprattutto in Asia, specie con Hyundai, mentre in Italia coltiviamo il sogno del ritorno del marchio Bizzarrini. Siamo attivi anche in altri settori, con la Giugiaro Architettura, che dal 2003 si occupa di progettazione architettonica e urbanistica, e la GFG Rail, totalmente dedicata all’industria del materiale rotabile».
Di cosa va più orgoglioso?
«È stato importante l’aver compreso che il disegno di automobili è sempre un compromesso tra estetica e funzionalità; se si deve scegliere, la priorità va a quest’ultima. Sono poi contento di aver mantenuto l’umiltà come stella polare del mio percorso. Architetti, consulenti, operai: nella mia vita ho appreso qualcosa da tutti».