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 2025  marzo 25 Martedì calendario

Hollywood la sfida dell’AI

È scontro tra il mondo dell’intelligenza artificiale e gli artisti americani, uno scontro che potrebbe definire il futuro della musica e del cinema. Da una parte c’è Sam Altman, fondatore di OpenAI, che vorrebbe allentare le leggi sul copyright, convinto che altrimenti la sfida dell’AI verrà vinta dalla Cina, dove queste restrizioni non esistono. Dall’altra ci sono musicisti, attori e registi, da Paul McCartney a Cate Blanchett e Guillermo Del Toro, che in un’accorata lettera alla Casa Bianca affermano: «Crediamo fermamente che la leadership globale dell’America nell’AI non debba avvenire a spese delle nostre essenziali industrie creative».
Tutto è partito a inizio anno dalla richiesta di informazioni da parte dell’amministrazione Trump per sviluppare un piano d’azione nazionale per l’AI. Sia OpenAI che Google hanno presentato le loro proposte. Open Ai in una lettera alla Casa Bianca ha chiesto modifiche fondamentali alla legge statunitense sul copyright, per consentire alle aziende di AI di utilizzare opere protette da copyright senza autorizzazione o compenso per i titolari dei diritti stessi. OpenAI si concentra molto sul concetto di «fair use» («uso corretto»), ovvero il fatto che le piattaforme possano utilizzare il copyright in determinate circostanze senza essere punite. L’azienda sostiene che «non è solo una questione di competitività americana, è una questione di sicurezza nazionale» e fa presente che senza il libero accesso ai materiali protetti da copyright «la corsa dell’AI è effettivamente finita». Detto in altre parole: se l’America rimane imbrigliata nelle restrizioni in vigore e non si allentano le leggi sul copyright, la sfida verrà vinta dalla Cina. «Non c’è dubbio che gli sviluppatori di AI della Repubblica Popolare Cinese godranno di un accesso illimitato ai dati, compresi i dati protetti da copyright, che miglioreranno i loro modelli. Se gli sviluppatori cinesi hanno accesso illimitato ai dati e le aziende americane vengono lasciate senza accesso al fair use, la corsa è effettivamente finita. L’America perde, così come l’AI democratica». Posizione sostenuta anche da Google, firmatario di una proposta simile, se pur con toni meno allarmistici.
Le star del cinema, della tv e della musica non ci stanno: 400 artisti tra cui Cate Blanchett, Cynthia Erivo, Paul McCartney, Paul Simon, Ron Howard, Taika Waititi, Chris Rock, Ben Stiller, Mark Ruffalo, Guillermo del Toro e Ava Duvernay replicano a stretto giro: «Crediamo fermamente che la leadership globale dell’America nell’AI non debba avvenire a spese delle nostre essenziali industrie creative». Il loro punto di partenza è che l’industria artistica e dell’intrattenimento Usa fornisce oltre 2,3 milioni di posti di lavoro e «le basi per l’influenza democratica e il soft power americani all’estero. Le aziende di AI stanno chiedendo di indebolire questa forza economica e culturale, allentando le protezioni del copyright per i film, le serie tv, le opere d’arte, la scrittura, la musica e le voci utilizzate, per addestrare i modelli di AI al centro di aziende valutate miliardi». In sintesi: se volete i diritti, pagate: Google e OpenAI «stanno sostenendo un’esenzione governativa speciale per sfruttare liberamente le industrie creative americane, nonostante i loro ingenti ricavi e fondi disponibili».
Non è la prima volta che gli artisti si espongono in prima persona. Soprattutto quelli della musica. Un anno fa, più di 200 artisti tra cui Billie Eilish, Nicki Minaj, Stevie Wonder, i Pearl Jam, Kacey Musgraves e Camila Cabello si erano uniti all’organizzazione no-profit Artist Rights Alliance e avevano pubblicato una lettera aperta agli sviluppatori di AI, alle aziende tecnologiche, piattaforme e servizi di musica digitale a «cessare l’uso dell’AI per violare e svalutare i diritti degli artisti umani». Richieste, quelle degli artisti americani, in linea con quelle avanzate nel Regno Unito al governo Starmer sia dall’intero settore discografico, sia da una larga rappresentanza di artisti tra cui Kate Bush, Annie Lennox, Damon Albarn, Ed O’Brien dei Radiohead e Jamiroquai che in febbraio hanno pubblicamente preso posizione con la pubblicazione di un album intitolato Is this what we want? – È questo che vogliamo? Un disco completamente muto i cui titoli delle singole tracce componevano la frase «il governo britannico non deve legalizzare il furto di musica per favorire le compagnie di AI».
E in Italia? Oggi al Ministero della Cultura si tiene il seminario «Musica e intelligenza artificiale: opportunità, rischi e la sfida della regolamentazione» su iniziativa di Siae e Fimi, maestro di cerimonie Gianmarco Mazzi. Chissà se nel formulare il titolo del seminario avevano in mente la famosa frase kennediana: «In cinese la parola crisi è composta di due caratteri. Uno rappresenta il pericolo e l’altro rappresenta l’opportunità».