Corriere della Sera, 24 marzo 2025
Terre rare in Ucraina, cosa c’è davvero?
«L’Ucraina ha terre rare fantastiche per 500 miliardi di dollari e io le voglio!». Lo ha detto e ripetuto il presidente Donald Trump ponendole come condizione per mantenere il sostegno militare e avviare negoziati di un cessate il fuoco. In realtà l’Ucraina non figura fra i Paesi con riserve di terre rare. L’Istituto geologico di Kiev sostiene che ce ne potrebbero essere, ma non lo sa con certezza perché le rilevazioni risalgono ai tempi dell’Unione Sovietica. Ma cosa sono esattamente le terre rare?
Il nome è un inganno
Le chiamavano così nell’800, perché i minerali che le contengono hanno un aspetto simile al terreno, ma erano difficili da trovare e da isolare. Oltre un secolo dopo sappiamo che non sono affatto rare: nella crosta terrestre, sono migliaia di volte più abbondanti del platino, dell’oro, dell’argento. Alcune sono più abbondanti del piombo e dello stagno. I loro nomi derivano dai luoghi in cui furono scoperte (itterbio viene da Ytterby, in Svezia), dallo scienziato che le scoprì (gadolinio da Johan Gadolin) o dalla mitologia (promezio da Prometeo, il titano che donò il fuoco agli uomini).
Si tratta di 17 metalli con proprietà uniche: con il disprosio si fanno i magneti per le auto elettriche e le turbine eoliche, con il lantanio si fanno le lenti delle fotocamere e si raffina il petrolio, con il neodimio si fabbricano gli hard disk dei computer e si fanno vibrare i cellulari, il praseodimio serve come agente per le leghe ad alta resistenza, l’europio è utilizzato in medicina come tracciante grazie alla sua luminescenza, il samario è utilizzato in terapia oncologica, il terbio è nelle lampade a basso consumo, l’olmio e il tulio sono nei laser per la chirurgia oftalmica. Con le terre rare si produce di tutto: gli auricolari, l’aspirapolvere, la corazza dei carri armati, le fibre ottiche, i droni, i vetri colorati, i radar. E aiutano nell’edilizia, nell’industria aerospaziale, in agricoltura, nella cyberguerra. Anche l’80% dei motori delle auto elettriche e molte batterie delle auto ibride contengono almeno un chilo di terre rare. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, entro il 2040 la domanda globale di terre rare aumenterà fino a sette volte.
Dove si trovano
Parliamo di riserve, cioè le quantità individuate e oggi potenzialmente estraibili calcolate dalla United States Geological Survey (USGS) e relative al 2023: al primo posto c’è la Cina, seguono Brasile, India, Australia, Russia, Vietnam, Stati Uniti, Groenlandia, Tanzania, Thailandia, e altri minori, fra cui Canada e Scandinavia. Va detto che questa tabella cambia di anno in anno.
Un dato resta immutato: nella complessa filiera dell’estrazione, raffinazione e commercio di terre rare, domina la Cina. Il 70% dell’attività estrattiva globale avviene sul territorio cinese. La capitale mondiale dell’estrazione è la Mongolia interna. Nel 2024 la produzione ha raggiunto le 270 mila tonnellate (contro i 54 mila degli Usa e i 2.500 della Russia). La Cina però controlla anche i giacimenti del Sud-est asiatico, e in parte quelli in Tanzania e Groenlandia. Di fatto oggi gestisce il 90% del mercato globale. E siccome ha chiuso qualche attività illegale, da dicembre 2023 vieta l’esportazione di alcune terre rare negli Usa, in Europa e in Giappone. «Se continuiamo così – ha detto il segretario di Stato americano, Marco Rubio -, tutto ciò che per noi conta nella vita dipenderà, in meno di dieci anni, dal fatto che la Cina ci permetterà d’averlo o meno».
Da riserva a risorsa
Le terre rare però non basta scoprirle, come spiega il chimico Nicola Armaroli, dirigente di ricerca del Cnr: serve trasformarle da riserva in risorsa, con processi – autorizzativi e industriali – che richiedono tempi lunghi e grandi investimenti. Servono enormi spazi disabitati, dove si possano utilizzare acidi e grandi quantità d’acqua, inquinando indisturbati. «In Afghanistan vi sono rilevanti risorse di terre rare – dice Armaroli -, ma perché nessuna potenza che ha combattuto in quel Paese, dai sovietici agli americani, le ha mai sfruttate? Perché non è facile portare la tecnologia adatta fra montagne impervie, in una situazione politica ed economica disastrata, senza sbocchi sul mare per il trasporto». Mosca, che ai tempi dell’Urss possedeva le tecnologie più avanzate, negli ultimi dieci anni ha spinto molto sulla ricerca tecnologica e si sta riattrezzando: ha il quinto forziere del mondo 3,8 milioni di tonnellate. Prima della guerra, Putin ha nazionalizzato le imprese russe per 15 miliardi di dollari, affidandone il controllo all’amico Mikhail Kovalchuk del colosso Rosatom. Le zone più avvantaggiate con le risorse sono quelle semi-disabitate, come la Mongolia interna o l’Australia. O dove i regimi fanno quel che vogliono.
I veleni di Baotou
La città cinese di Baotou, a 80 km dal confine mongolo, è una delle più avvelenate al mondo. Le terre rare furono scoperte nel 1927, ma l’attività è iniziata verso la fine degli anni ’70, quando Deng Xiaoping annunciò: «Il Medio Oriente ha il petrolio, noi abbiamo le terre rare». Da allora, le migrazioni forzate di minatori hanno portato la popolazione da 97mila abitanti a 2,5 milioni, sono state aperte 95 società per l’estrazione e raffinazione e oggi la crescita del Pil di Baotou è del 18,5%, più di tre volte quella cinese. Però l’esposizione agli inquinanti ha portato a un aumento del 46,5% di casi di tumore al polmone, aumentano i malati di diabete e osteoporosi, ed è calata la vita media degli animali. A Baotou è nato un lago artificiale di 13 km quadrati dove galleggiano 200 milioni di tonnellate d’acido solforico e cloridrico, assieme a 70mila tonnellate di sostanze radioattive presenti nei minerali estratti. Le polveri pesanti provocano piaghe della pelle e l’area definita «ad alta contaminazione» s’è ampliata del triplo negli ultimi otto anni, tanto che i paesini limitrofi vengono comunemente chiamati «cancer villages», i villaggi del cancro (Fonte: Researches and Market Report on China’s Rare Earths Industry).
Cosa c’è in Ucraina
Tornando all’Ucraina: siamo a zero con le terre rare, ma nel suo sottosuolo c’è invece il 5% dei «minerali critici», con almeno 20 delle 50 materie prime ritenute essenziali per le economie di tutto il mondo. La società canadese di consulenze geopolitiche SecDev sostiene che sono «il fondamento dell’economia del XXI secolo», al pari dell’oro e del petrolio nei secoli scorsi. In Ucraina ci sono 20 mila giacimenti con 116 tipi di minerali che contengono minerali critici per ben 2,6 miliardi di tonnellate di riserve che vengono estratte solo al 15% (Fonte: Iupac, International Union of Pure and Applied Chemistry). Parliamo di caolino, gallio, manganese, germanio e soprattutto della grafite, che servono a fabbricare le batterie per le auto elettriche, i PC e gli smartphone e di cui l’Ucraina è fra i 5 produttori leader. O del titanio per costruire gli aerei e componenti chiave delle centrali elettriche, il 7% delle riserve europee. E poi il litio, altro componente chiave delle batterie, un terzo di tutti i giacimenti europei, e una delle principali riserve è a 15 km dal fronte. In Ucraina c’è anche il rame, il piombo, lo zinco, l’argento, il cobalto, il nichel; inoltre è il primo Paese esportatore europeo d’uranio e il secondo al mondo per il ferro. I giacimenti si trovano nel cosiddetto «scudo ucraino», a sud del Donbass, oggi in buona parte in mano ai russi. In sostanza Mosca controlla il 42% delle miniere di materiali critici, il 63% di quelle del carbone, l’11% dei pozzi di petrolio e il 20% di gas naturale. Secondo il ministero dell’Economia ucraino i minerali del Donbass valgono almeno 350 miliardi di dollari. Tutte queste risorse magari sono state un buon motivo per scatenare una guerra e un incentivo per Trump per tentare di fermarla mettendoci le mani sopra. Però non c’entrano nulla con le terre rare.
I minerali critici
La Cina è leader anche nello sfruttamento dei minerali critici. In Africa, dove è il principale finanziatore di progetti strategici, dalle strade ai porti alle reti di telecomunicazione e dove ha esportato un milione di lavoratori e aperto quasi 15mila aziende (Fonte: Africa Center for Strategic Studies), nel 2020 ha anche acquistato un terzo della produzione di minerali critici per 15 miliardi di euro. Il 71% di questo business viene da cinque Paesi: Sudafrica, Angola, Congo, Zambia e Repubblica Democratica del Congo. Dal 2022, le società cinesi hanno investito 4 miliardi di euro nelle miniere di litio in Namibia, Zimbabwe e Mali. E nella Repubblica Democratica del Congo sono appaltati ai cinesi 15 dei 17 giacimenti di rame ricchi di cobalto, cruciale per la produzione di batterie e leghe magnetiche. (Fonte: State Council, The Situation and Policies of China’s Rare Earth Industry)
Dalla Groenlandia al Polo Sud
Il presidente Trump, preoccupato che le enormi riserve già mappate in Russia finiscano nelle mani dei cinesi e della loro tecnologia d’estrazione, ha messo gli occhi sul forziere minerario della Groenlandia appartenente alla Danimarca (ma non all’Ue), che vorrebbe annettere «in un modo o nell’altro» agli Usa. È il paradosso di un’amministrazione che nega il cambiamento climatico e intanto si prepara a sfruttarlo, man mano che i ghiacci si sciolgono. La Groenlandia possiede 43 «materiali critici», dal cobalto alla grafite, dal litio al nichel, dal titanio al tungsteno che servono a creare le superleghe, per non parlare di petrolio e gas: riserve per oltre 31 miliardi di barili equivalenti di petrolio, pari a quasi otto anni di produzione saudita ai livelli attuali (Fonte: USGS). Oltre a 1,5 milioni di tonnellate di riserve di terre rare. Ghiacci e temperature, però, rendono enormi le difficoltà di sfruttamento dei giacimenti.
Se ne parla poco, ma le grandi potenze puntano anche sul Polo Sud. Nelle profondità degli oceani si trovano cobalto e giacimenti di «noduli polimetallici», miliardi di pietre grosse come una pallina da tennis che contengono principalmente manganese, rame, nichel e cobalto (FONTE: Comnap, Council of Managers of National Antarctic Programs). L’Antartide è considerato un bene dell’umanità, e in base a un trattato del 1959 nessun Paese può sfruttarlo, ma le violazioni del divieto sono numerose e un’Autorità mondiale con sede in Giamaica, cui però non aderiscono americani, russi e cinesi, sta cercando di regolamentarle. Lo scioglimento dei ghiacci del Polo Sud, necessario per avviare lo sfruttamento delle risorse minerarie, sarebbe molto più disastroso dello scioglimento dei ghiacci dell’Artico, in termini di innalzamento del livello dei mari.
Il ruolo dell’Europa
L’Europa ha terre rare in Serbia e in Portogallo, mentre la Norvegia ha scoperto l’anno scorso il più grande giacimento del continente, molto utile a un’Europa che ne importa il 98% dalla Cina. Con le risorse norvegesi potrebbe soddisfare il 10% del fabbisogno, ma non siamo nel mezzo del deserto mongolo, e la sensibilità ambientale è diversa. Chi come noi ha pochissime risorse e un’alta densità abitativa dovrebbe investire nelle attività di recupero: uno smartphone può contenere fino a 10 terre rare su 17, mischiate a oltre 40 elementi chimici diversi. Ma separarle è complicato e costoso. Ogni anno, vengono buttati 5,3 miliardi di cellulari. L’85% finisce in discariche africane, che li rivendono in India, nel Sud-est asiatico e in Cina. E proprio la Cina sta raggiungendo il primato anche nel riciclo, che poi ci rivende gli stessi elementi chimici sotto forma d’altri telefonini. Vuol dire che la convenienza c’è. Allora perché non tenersela «la spazzatura informatica» e organizzarsi con filiere su larga scala? La terra rara è di chi ce l’ha, ma nessuno ci impedisce di riutilizzare quella che è già stata estratta e sta sul mercato.