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 2025  marzo 24 Lunedì calendario

La telefonata di Meloni al leader di Forza Italia. Lo spettro della «verifica»

«Quando è troppo, è troppo». È un modo di dire antico e abusato, ma racchiude in estrema sintesi lo stato d’animo che hanno condiviso al telefono Giorgia Meloni e Antonio Tajani. La premier ieri ha chiamato il leader di Forza Italia, sapendo di trovarlo molto arrabbiato con l’altro suo vice, Matteo Salvini. Il segretario della Lega ha tirato l’elastico del governo fino alla tensione massima e il rischio che si spezzi non sembra preoccuparlo affatto. Le bordate continue sui dossier più delicati stanno destabilizzando la maggioranza e hanno irritato, a dir poco, l’inquilina di Palazzo Chigi. L’ultimo colpo di cannone verbale ha centrato Tajani, dipinto dai leghisti come un ministro degli Esteri «in difficoltà», che ha bisogno del loro aiuto «per parlare con Trump».
Il siluro lo ha sparato il numero due della Lega, Claudio Durigon, dalle pagine di Repubblica e sia Meloni che Tajani hanno letto l’intervista come una botta «studiata, concordata a tavolino» con il segretario. Per il ministro degli Esteri è troppo e per la premier anche. Meloni sa di essere «il vero bersaglio degli attacchi» e si era ripromessa di portare pazienza fino al congresso. Ma al 5 aprile mancano due settimane e a Palazzo Chigi non sono più disposti a incassare bordate ogni giorno su questioni cruciali come il destino dell’Ucraina, il piano di riarmo europeo e i rapporti con gli Stati Uniti.
Tajani, costretto a smentire di essere stato sfiduciato dall’alleato—avversario, è furibondo. Raccontano fonti di Forza Italia che il segretario, i cui rapporti con la leader di FdI sono in questa fase «molto buoni», ha scandito parole che hanno il sapore di un ultimatum: «Giorgia, sai che noi saremo sempre leali, difendiamo l’esecutivo e lavoriamo per la stabilità. Ma se dal 6 aprile Salvini continuerà ad attaccarci, saremo costretti a chiedere una verifica di governo». La formula è di quelle che fanno venire l’orticaria alla premier, perché sa tanto di «prima repubblica» e consentirebbe alle opposizioni di alzare ancora il livello dello scontro e decretare la crisi della maggioranza. Ma la presidente è altrettanto esasperata e consapevole che sia necessario un «chiarimento politico», che ponga un argine alle esondazioni salviniane.
«Matteo è abile a giurare che lui e Giorgia sono tanto amici, ma è anche molto bravo a far cadere i governi», avverte un «big» di FdI che chiede l’anonimato: «Sottovalutarlo sarebbe un errore». Meloni certo non lo sottovaluta ed è la prima a pensare che il ministro dei Trasporti debba «abbassare i toni e darsi una calmata». Già nell’autunno del 2022, nei giorni in cui costruiva il governo dopo il trionfo elettorale, la premier aveva messo nel conto che «prima o poi Salvini ci farà ballare la rumba» e aveva puntellato la Lega con concessioni generose: dalla presidenza della Camera a ministeri pesanti come Economia e Infrastrutture. Ora però, con «Matteo» che si è allineato a Trump e ogni giorno scavalca «Giorgia» sulla via di Washington, lei cerca la via più indolore per «governare il problema invece che subirlo».
Tra Palazzo Chigi e via della Scrofa si valuta l’idea di convocare un vertice dei leader prima del summit di Parigi organizzato da Macron per giovedì e al quale ci sarà anche la premier italiana. Meloni però è scettica, perché chiudersi con Salvini e Tajani certificherebbe che la maggioranza è spaccata, in politica estera e non solo. Di certo la presidente li sentirà entrambi, magari oggi stesso, per l’ennesimo appello ad «abbassare i toni e lavorare compatti».