Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  marzo 24 Lunedì calendario

I Comuni in dissesto: il governo non paga più e l’Europa lo “processa”

Qualcuno si vede proporre transazioni al 60 o anche al 40% di quanto stabilito dalle sentenze dopo vicende giudiziarie pluridecennali, e lo Stato trattiene un ulteriore 20% di tasse. La sentenza diceva 100? Ne arrivano 50 o meno. Ad altri nemmeno quello: la Corte europea dei diritti umani (Cedu) condanna l’Italia per i debiti dei suoi Comuni in dissesto finanziario, contro i quali la legge non consente l’esecuzione forzata, ma lo Stato paga solo piccole compensazioni. Qualche migliaio di euro per cause da centinaia di migliaia. Il governo, secondo le sentenze di Strasburgo, avrebbe “tre mesi” per “assicurare l’esecuzione delle decisioni di giustizia interne”, però si limita a rimandare i creditori agli Organi di liquidazione (Odl) dei Comuni in dissesto. Perenne dissesto, a volte. Cresce così il contenzioso che oppone al governo, davanti agli organi del Consiglio d’Europa, centinaia di persone e di imprese beffate dagli enti locali in default o da privati (consorzi e altro) che agivano per loro conto. Un contenzioso che vale centinaia di milioni di euro: sono soprattutto vecchi espropri per opere pubbliche, ma pure appalti e canoni di locazione mai pagati, retribuzioni di professionisti e molto altro ancora.
Dal 2024 l’Italia è sottoposta alla “procedura rafforzata” di monitoraggio dal Comitato dei ministri che sovrintende all’attuazione delle sentenze Cedu: “I delegati dei ministri invitano con urgenza le autorità a eseguire senza ritardo le numerose decisioni nazionali che restano ineseguite”, si legge nella decisione del 6 marzo scorso (Riunione 1521), che evidenzia “l’aumento dei casi simili” nell’ultimo anno (ne contano 256 in totale), ma registra alcune transazioni andate a buon fine (e altre no) e riconosce al governo Meloni di aver istituito un gruppo di lavoro Chigi/Mef/Interni/Giustizia sulla questione e di aver destinato circa 400 milioni ai Comuni in dissesto. Erano 105 (su ottomila) al 1° gennaio 2025, soprattutto al Sud, più altri 123 con gli Organi di liquidazione ancora attivi dopo oltre cinque anni e 266 in “pre-dissesto”. Per Roma e altri capoluoghi ci sono norme e accordi speciali.
Giorni fa il Consiglio d’Europa ha messo l’Italia al quinto posto tra i Paesi condannati più volte dalla Cedu per problemi definiti “strutturali”: 74 casi nel 2024, fanno peggio solo Turchia (137), Romania (111), Ucraina (106) e Bulgaria (89); ci sarebbe anche la Russia se non fosse stata espulsa dopo l’invasione dell’Ucraina. Nel campionario italiano c’è di tutto, dalla gestione inefficace delle violenze domestiche alla scarsa tutela dei padri separati, ma pure l’annosa questione dei crediti incagliati nei dissesti dei Comuni, per i quali la Cedu ha sempre riconosciuto la violazione dell’art. 6 della Convenzione dei diritti umani (equo processo) o del Protocollo sul pacifico godimento dei beni quando c’erano di mezzo sentenze non eseguite. Lo stato di dissesto va bene, dice la Corte, purché abbia tempi ragionevoli. Ovviamente i problemi sono reali: non si possono pignorare le risorse essenziali dei Comuni, né si può ignorare il principio della parità dei creditori, salvo i privilegi previsti per legge ad esempio per i lavoratori subordinati, come nelle procedure fallimentari. Fino a qualche anno fa la Cedu condannava lo Stato, firmatario della Convenzione, a pagare somme all’incirca equivalenti alle sentenze non eseguite: più di 3 milioni di euro nel caso Scordino del 2007, ma sono indicati oltre 150 mila euro anche nel caso Cutelli e Russo del 2024. E i governi pagavano.
All’aumentare dei casi, però, la giurisprudenza è cambiata: la Corte ingiunge il pagamento di somme contenute, a volte fino a 20 mila euro, e per il resto ordina al governo di “assicurare con mezzi idonei, entro tre mesi, l’esecuzione delle decisioni di giustizia interne”. “Sebbene in precedenza qualche caso poteva esserci – spiega l’avvocato Egidio Lizza, che con il collega Giovanni Romano assiste vari ricorrenti a Strasburgo – il problema del mancato pagamento delle sentenze Cedu per i crediti incagliati nei dissesti degli enti locali, sorge in maniera importante e strutturale a cavallo tra il 2022 e il 2023, tant’è che viene adottata la speciale procedura”. L’Italia dovrà fornire altre informazioni per settembre. Succede proprio al governo che parla di “pace fiscale”, se non di “pizzo di Stato”.
Sono storie infinite. Una signora di Benevento che aveva subìto l’esproprio di un terreno nel 1992, ha ottenuto nel 2022 (!) la condanna definitiva del Comune a pagare 1,6 milioni, ma il Comune era in dissesto. La signora purtroppo è scomparsa e la figlia, con l’avvocato Alessandro Ferrara, si è rivolta alla Cedu, che il 18 gennaio 2024 le ha dato ragione con la celebre sentenza Lighea che riunisce decine di casi simili. Oltre a 9.600 euro di danno morale c’è la formuletta dei “mezzi idonei”, ma l’Odl del Comune propone una transazione al 60%: 1,6 milioni diventano 916 mila euro meno il 20% di ritenuta fiscale, fa poco più di 730 mila e non è detto che finisca bene. Nella sentenza Lighea c’è anche un caso dell’avvocato Lizza: un’azienda di costruzioni aveva fatto condannare il Comune di Lentini (Siracusa), nel 2011, a pagare 940 mila euro per un appalto finito in tribunale nel 1998, ma stanno ancora discutendo. Cosa vuol dire “assicurare con mezzi idonei l’esecuzione delle sentenze nazionali”? Per l’avvocato Domenico Fimmanò, che difende un altro espropriato di Sant’Arpino (Caserta) che ha vinto alla Cedu nel 2022, “il governo è come un fideiussore, deve garantire il pagamento”. Ha chiesto un decreto ingiuntivo per 521 mila euro, il tribunale di Roma ha dato ragione a Palazzo Chigi e si andrà in appello. Cioè, dopo Strasburgo, si ricomincia.