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 2025  marzo 24 Lunedì calendario

Così le donne salirono in cattedra a Milano

È importante sia per il risultato sia per l’appello della curatrice, questo volume dedicato alle donne docenti nei cento anni dell’Università Statale di Milano (che ha festeggiato il compleanno a tre cifre nello scorso ottobre). Per il risultato, perché la ricerca condotta nell’archivio dell’ateneo e all’Archivio centrale dello Stato traccia i profili e racconta le attività di straordinarie professoresse che si sono fatte largo in un ambiente maschile; per l’appello, perché la curatrice Michela Minesso invita il mondo intellettuale e accademico a uno sforzo collettivo che consenta di ampliare la ricerca e far luce sulla realtà femminile negli altri atenei puntando, così, a un’indagine di respiro nazionale.
Intanto, però, abbiamo una puntuale ricostruzione del capitolo milanese (proposta in parte anche in una mostra lo scorso autunno), a partire dall’inaugurazione, l’8 dicembre 1924 al Castello Sforzesco, con l’allora sindaco, e primo rettore, Luigi Mangiagalli. L’immagine in bianco e nero riprodotta dal Corriere della Sera parla da sé (come le tante disseminate nel volume) con i rettori e i professori, tutti uomini, radunati per l’avvenimento. Eppure arriverà una donna tra i docenti ordinari – accanto a 44 colleghi – che insegneranno di lì a poco: è la biologa Cesarina Monti, che lascia Pavia per la cattedra di Anatomia comparata e la direzione dell’Istituto di Anatomia e fisiologia, nota per le sue ricerche anche a livello internazionale (parlava l’inglese, il francese e il tedesco).
Bisognerà aspettare il 1942 per avere una seconda docente ordinaria, Maria Pastore: laureata alla Scuola Normale, insegna Matematica e poi Meccanica razionale. Nel frattempo, però, tenevano dei corsi alcune “libere docenti” (cioè abilitate all’insegnamento ma non titolari di cattedra) come Carolina Lanzani, storica dell’età antica, o Lily Eglantine, anglista, o Lavinia Mazzucchetti germanista e traduttrice – di Mann, Hesse, Zweig tra gli altri – che firmò il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. Una scelta pagata con l’allontanamento dall’ateneo, dove vigevano le regole imposte dal regime: l’obbligo del giuramento al re e al fascismo introdotto nel ’31, l’iscrizione al partito quale requisito per partecipare ai concorsi pubblici nel ’32. In qualche caso l’adesione al credo fascista era piena e sincera, come per Lea Meriggi, la prima donna titolare di una cattedra di diritto internazionale in Italia ottenuta a Ferrara, dove si spese per concedere la laurea honoris causa al ministro del Terzo Reich Hans Franck. Altre erano state vittime delle leggi razziali, come Angela Bolaffi, docente di Chimica, espulsa dopo il settembre del ’38, o Ida Calabi, che nemmeno poté iscriversi all’Università (l’accesso era interdetto agli ebrei) e continuò a studiare da privatista laureandosi nel dopoguerra in Lettere Classiche e dando corso alla carriera universitaria: diventerà ordinaria di Storia greca e romana nel 1975.
La curatrice ripercorre nei decenni lo sviluppo dell’ateneo – notevole soprattutto per quel che riguarda la facoltà di Medicina – e la lenta ma costante progressione del drappello femminile: nel 1936-37 le professoresse risultano 16 (dodici “libere docenti”), mentre pian piano cresce anche il numero delle ragazze iscritte alle varie facoltà: nel 1940 alla Statale di Milano vi sono in totale 4.720 studenti, di cui 1.080 donne.
Piegata dalla guerra, colpita dai bombardamenti, segnata dall’occupante tedesco, la città è ferita anche nella sua università: è la professoressa Angela Codazzi a salvare il patrimonio dell’Istituto di Geografia ottenendo che vengano spostati libri e documenti in provincia di Como. Nel ’49 sono avviati i lavori alla Ca’ Granda, in via Festa del Perdono, dove l’ateneo approda nel ’54. Tre anni più tardi arriva la terza docente ordinaria (la fatica nella conquista dei posti apicali la riscontriamo ancora oggi, in tutti gli ambiti), questa volta nella facoltà di Lettere, accanto a 18 colleghi: si tratta della storica dell’arte Anna Maria Brizio, che era stata sospesa dal regime perché non allineata alle posizioni fasciste, poi reintegrata nel dopoguerra, studiosa di Leonardo, Accademica dei Lincei.
E se gli anni 60 vedono l’esplosione della popolazione studentesca italiana, in linea con il boom economico, con 10.853 iscritti alla Statale milanese di cui 3.583 donne, gli anni 70 segnano un salto di qualità, anche grazie a un maggiore protagonismo delle donne nella società. Compaiono così le ordinarie nelle facoltà di Medicina, Veterinaria, Agraria, Scienze Politiche. Una successione di eccellenze e figure all’avanguardia che ridisegnano il sapere scientifico e contribuiscono a formare generazioni di giovani. Basti pensare a Luisa Riva Sanseverino, laureata in Giurisprudenza alla Sapienza, a lungo unica ordinaria (su 25 colleghi di prima fascia) di diritto del Lavoro: ebbe tra i suoi allievi Giuseppe Pera e Pietro Ichino.
Nel ’75 il balzo delle iscritte è significativo, siamo a 22.766 su un totale di quasi 60mila. Il volume si chiude giungendo ai nostri giorni, con dati eloquenti: nel 2023 le ordinarie sono 208 a fronte di 469 colleghi; le studentesse sono quasi 34.800, i ragazzi poco più di 24mila. Alla storia della rappresentanza femminile della Statale all’interno del contesto culturale e sociale, fa seguito nel volume una utile seconda parte costituita dalle schede biografiche di 60 docenti (pressoché tutte settentrionali e di estrazione sociale borghese), sino agli inizi degli anni 80, a cura di Serena Bonetti, Massimiliano Paniga e Lorenzo Vanoni. Infine, un elenco in ordine alfabetico di tutte le professoresse. Il volto austero e dallo sguardo malinconico di Lavinia Mazzucchetti è in copertina. Una scelta, anche questa, indovinata.