Il Messaggero, 24 marzo 2025
Ordini del made in Italy già in frenata per i dazi
«Il 2 aprile sarà il giorno della liberazione dell’America». Dai prodotti made in Italy, tanto per cominciare. Se alle parole dovessero seguire i fatti, l’altisonante proclama lanciato da Donald Trump con toni insieme di promessa e di minaccia lascerebbe tavole e scaffali d’America ineluttabilmente prive del meglio dell’export tricolore.
L’ATTESA
A dieci giorni dalla possibile entrata in vigore della tagliola trumpiana, il clima che si respira tra i produttori dello Stivale è principalmente attendista. Anche se c’è chi già registra nel sismografo degli ordini le prime scosse di assestamento: «Nelle ultime settimane – spiega al Messaggero Riccardo Rosa, presidente di Ucimu che rappresenta i costruttori italiani di macchine utensili, robot e automazione – abbiamo notato che alcuni clienti hanno messo in pausa le trattative sui nuovi ordini per vedere cosa accade». Capire se Trump darà o meno seguito ai suoi annunci è un dilemma amletico anche sull’altra sponda dell’Atlantico: «Parlando col presidente dei produttori americani – continua – ho capito che anche lì c’è grande incertezza».
Questione non proprio di lana caprina, per un comparto che ha negli Usa il primo mercato di sbocco (600 milioni di euro le vendite dello scorso anno). Al contempo, guardando al precedente del 2018, ci si può lasciare andare a un cauto ottimismo: «La scorsa volta Trump mise una tariffa dell’1,75% per i prodotti europei e una del 25% per quelli cinesi, favorendoci di fatto. Gli americani hanno estremo bisogno di macchinari performanti come i nostri: non è dunque così scontato che i dazi arrivino davvero». Impensabile, in questo settore, accelerare le spedizioni via cargo – come il Financial Times scrive in relazione ad alcuni produttori di auto – per far toccare alle merci il suolo americano prima che sull’orologio dell’Apocalisse commerciale scatti la fatidica ora X: «Per noi è impossibile – conclude Rosa – perché il lead time va dai 3 ai 9 mesi».
E se da un lato c’è chi, come Barilla, eviterà la tagliola perché produce in loco per il mercato interno (nel caso specifico, grazie ai due stabilimenti operativi nello Stato di New York e in Iowa), dall’altro c’è chi si interroga sul tema: «Alcuni prodotti come i Dop e i Docg non si può certo produrli in loco – sottolinea Giacomo Ponti, presidente del Consorzio Italia del Gusto e del Gruppo Aceti di Federvini, oltre che dell’omonimo gruppo – al massimo imbottigliarli, ma presumibilmente i dazi verranno applicati anche allo sfuso».
A differenza dei vini, minacciati con una super-tariffa del 200%, l’aceto (soprattutto quello balsamico di Modena Igp, per il quale gli Usa valgono il 33% dell’export) non è stato finora menzionato dall’inquilino della Casa Bianca risparmiando il comparto da fibrillazioni preventive sui prezzi. Resta il fatto, prosegue Ponti, che i dazi sono un «sistema antistorico che non porta beneficio né a chi li mette né a chi li riceve. A pagare, peraltro, sono i consumatori finali, quelli che in un mercato globalizzato come il nostro definiscono il successo o l’insuccesso di un prodotto. L’esperienza ci dice che per un dazio del 25% le vendite si riducono del 50%: è quella che potremmo chiamare la regola del due». Una volta perso un mercato, ammonisce Ponti, «ci vuole tempo per riconquistarlo: speriamo che ciò non avvenga perché si è fatto un gran lavoro di promozione del nostro export, e sarebbe davvero un grosso guaio se i dazi venissero applicati».
Controindicazioni potrebbero peraltro registrarsi anche entro i confini domestici, come evidenzia Raffaele Drei, presidente di Fedagripesca-Confcooperative: «Se si fermano le esportazioni, servirà maggior aggressività nel mercato interno per evitare che i prodotti restino in magazzino. L’alternativa è cercare nuovi mercati esteri, ma ci vorrà del tempo».
«Una bottiglia di bianco, una bottiglia di rosso, o forse invece una di rosé», cantava Billy Joel nel ‘77 nella sua Scenes from an italian restaurant: con i dazi di Donald Trump, niente più bottiglie. E, forse, niente più belle canzoni.