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 2025  marzo 23 Domenica calendario

Nanni Moretti e i 50 anni di «Ecce Bombo»: «Costrinsi mio padre a recitare. Ed ecco come nacque "no, il dibattito no"»

Nanni e i suoi 10 Comandamenti. «Parlerò per un’oretta, dividendo in dieci capitoli la mia chiacchierata. Dopo sarò nell’atrio se qualcuno vuole una foto con me». Parlerà per quasi due ore. Un Nanni Moretti insolito, disponibile, rilassato, lucido, battutista. Al Petruzzelli in un applaudito monologo racconta (in piedi) il suo cinema con un canovaccio infarcito di aneddoti e episodi: Lui regista, attore, esercente, produttore, dagli inizi ad oggi. Il Bif@st, il festival  di Bari, lo omaggia con una retrospettiva e un premio (nel ’26 festeggia 50 anni di lungometraggi). Il capitolo autobiografico decide di sopprimerlo, quello sulla critica (aveva detto «sarà il più breve») lo risolve così: «Chiunque può dire del nostro lavoro qualunque cosa. Io non replico mai. Fine del capitolo». Applauso.
Ecco i primi Super 8, «oggi è più facile, all’epoca era tutto complicato. Andavo in giro con proiettore, pizze e amplificatore, dicevo: mi piacerebbe fare l’assistente volontario, senza disturbare. Nessuno me l’ha fatto fare e così sono diventato regista. Nel ’73 portai alle Giornate degli autori due miei corti. Mi rivolsi alla platea: se alla fine vogliamo parlare...Silenzio. Da quel trauma è nato No, il dibattito no». Il suo cinema nasceva dal voler mostrare il suo ambiente politico, sociale e generazionale, e prenderlo anche in giro. E stare davanti alla cinepresa «come attore più che come persona». Ecce Bombo, i giovani che aspettano l’alba dalla parte sbagliata mentre vedono gente e fanno cose, fu un successo inatteso: «Pensavo di aver fatto un film doloroso e per pochi, invece fu comico e per tutti. Il produttore mi disse, sono affezionato al tuo film, sai, è come quei figli problematici».
Dice che il suo lavoro di spettatore ha influenzato le sue scelte: «Mi piacevano i fratelli Taviani con la loro macchina da presa fissa. I film come rappresentazione della realtà. Così non accumulai a casaccio le inquadrature con tante cineprese. Ma in seguito abbandonai questo fondamentalismo». Quanto alle sceneggiature, quando viveva con i suoi («fino a 29 anni non mi sono mosso da lì») si piazzava col registratorino per usare i dialoghi delle prime radio libere. Vedendo Truffaut, dal suo Bianca in poi si convinsi «di dare più importanza a intreccio e sviluppo del racconto». Oggi si circonda di donne sceneggiatrici. Cita Habemus Papam, «sul terrore dei cardinali di essere votati Papa; Conclave invece ha tutto quello che io volevo mettere da parte. Detto questo, come film di Natale si è guadagnato la pagnotta». Sul capitolo recitazione elogia Silvio Orlando, che «umanizza e fa suoi i dialoghi più letterari». Ora gigioneggia un po’ e «fa» Nanni Moretti parlando di un’idea di scrittura che reputa sbagliata, poi si ferma: «Però non è male, magari mi prendo due appunti».
All’inizio come attori prendeva amici e parenti: «Cercavo di mediare mettendo qui e là attori di teatro, ricordo Lina Sastri che in Ecce Bombo fa la ragazza schizofrenica e mi chiedeva notizie, le replicavo di recitare le battute e basta, lei insisteva e io, non lo so, Lina». Oggi, sarà l’età che scorre, si sente «più affettuoso e solidale con gli attori, allora erano pedine di un gioco». Sui set c’era suo padre, che insegnava Epigrafia greca all’università, «lo costringevo a recitare, aveva più talento di me». Essere anche produttore, da 38 anni, gli ha dato la libertà di scegliere, investire su registi esordienti «per restituire un po’ la fortuna che avevo avuto», di sperimentare: per esempio fare un corto su lui in vespa che gira per Roma e poi svilupparlo in un episodio di Caro diario. Diverte quando dice che «ci sono tre categorie di registi che diventano produttori: chi produce autori simili o peggiori; chi inconsapevolmente finanzia giovani per poi dire, avete visto che non c’è ricambio generazionale; e chi produce per torturare giovani registi, l’esempio più lampante fu Coppola con Wim Wenders». Ne ha per il pubblico, quando identifica il personaggio con la persona, e vai a far capire che quando menziona il pugile Mohammed Alì in Sogni d’oro, non è Nanni che dice «io sono il più grande». Altro aspetto, la musica: «Però da giovane ero più bravo a teorizzare sull’uso delle canzoni nei miei film». Infine la sua creatura, il cinema Nuovo Sacher, dove mostra «film che mi piacerebbe vedere». La sala aprì nel 1991 con Riff-Raff di Ken Loach, «in esclusiva da noi, oggi per fortuna uscirebbe in dieci sale. Io non mi sento investito da una missione sul cinema di qualità. Se curo altri aspetti non è per dovere ma per piacere, è un arricchimento del mio lavoro di regista». La coerenza, quella non gliela toglie nessuno. Una cosa tiene a dirla: «Non ho mai snaturato le mie idee di cinema».