la Repubblica, 23 marzo 2025
Il Volo incanta New York: “Ma non chiamateci nostalgici”
Cosa hanno in comune Leonard Cohen e Il Volo? Un portachiavi di plastica rosso. Ad alzarlo in aria, come fosse una coppa, sono Piero Barone, Ignazio Boschetto e Gianluca Ginoble, il trio canoro nato nel 2009 a Ti lascio una canzone, talent show condotto da Antonella Clerici su Rai 1. “Alla reception, ci hanno regalato questo portachiavi. È la stanza 424. Qui dormiva Leonard Cohen, ragazzi” dice Piero, appoggiato su una sedia in un’ala del Chelsea Hotel, sulla 23esima Strada. Per la luce acida di questo albergo vittoriano in mattoni rossi con balconi in ferro battuto sono passati Dylan Thomas, Mark Twain, Robert Mapplethorpe, lasciandosi dietro una scia di festini, cuori in frantumi e delitti irrisolti. Ora tocca al Volo, tre giorni no stop da Chelsea a Midtown. “Siamo in ottima compagnia. Leonard Cohen, Frank Sinatra… tutti morti”. E quel passepartout alberghiero la dice lunga su quanto bohémien, libera e creativa sia la loro traiettoria: Europa, Canada, America, Sud America, Oriente. A maggio torneranno con la terza edizione di Tutti per uno – Viaggio nel tempo (un progetto di Michele Torpedine, già manager di Andrea Bocelli e Zucchero) accompagnati da una grande orchestra. Lo show si sposterà nel Palazzo Te di Mantova, l’8, 10 e 11 maggio, unici live in Italia. Intanto, a New York, la quinta volta a Radio City Music Hall è un successo.
Piero: «Per il compleanno, i miei amici mi hanno regalato questo quadro: è la stampa di una foto scattata con il cellulare. 1 metro e 20 per 1 metro. Ritrae Radio City nel 2022, con scritto ‘Il Volo sold out’. Festeggiare sedici anni di carriera a soli trent’anni? Entusiasmante. A me poi da sempre affascinano i numeri: dal 25 aprile 2024 all’ultima data del nuovo calendario abbiamo toccato 200 tappe».
Gianluca: «In Italia siamo riusciti a rompere le barriere e il pregiudizio, dalla vittoria al Festival di Sanremo (2015, Grande amore) a concerti come Notte magica, in piazza Santa Croce a Firenze, con la partecipazione di Placido Domingo, nostro estimatore. In America, il belcanto italiano è percepito con grande ammirazione. Un po’ ce lo invidiano».
Ignazio: «Come l’espresso».
Gianluca: «E ora ci troviamo a New York e io alloggio proprio dove dormiva Bob Dylan. Ho appena visto A complete unknown».
Vi è piaciuto?
Piero: «Io faccio una distinzione tra due tipi di musical: Bohemian Rhapsody sulla vita di Freddie Mercury e Rocketman dedicato a Elton John. Sembrano lo stesso biopic eppure c’è una netta differenza nel racconto. Quello di Elton John lo trovo troppo aggrappato alla sua persona e poco all’artista».
Che rapporto avete voi con il cinema?
Gianluca: «Come tante forme d’arte, il cinema è un modo per raccontare il reale. Noi traiamo ispirazione dalle vite dei grandi artisti, ci aiutano a mettere tutto in prospettiva. Ed è altrettanto incredibile “sfogliare” biografie di successo. Ti accorgi che il talento è presente sin dalla giovane età. Il talento non può rimane nascosto nel corpo. Deve uscire e mostrarsi.
Avete già pensato al vostro film biografico?
Gianluca: «È troppo presto per un film su di noi ma il cinema è decisamente nelle nostre corde, basti prendere il tributo ad Ennio Morricone. Abbiamo anche inserito un primo testo sul tema di The ecstasy of gold. Un privilegio rivisitare Il buono, il brutto, il cattivo di Sergio Leone».
Proprio come in uno dei suoi fortunati spaghetti western, la vostra scala di valori, sul piano umano, mi è sempre sembrata pari a quella del “buono” Clint Eastwood.
Piero: «Questa espressione valoriale è una componente spontanea del nostro vissuto. Non siamo dei ragazzi costruiti. L’omaggio a Morricone lo rincorrevamo da dieci anni, poi è arrivato da solo, senza forzature. Per alcune cose, l’età anagrafica è l’unica forma di rispetto possibile».
Ignazio: «Abbiamo tanti progetti in mente. Da tempo, la missione che ci accomuna è portare il nostro genere musicale ai giovani, alla nuova generazione. Con lo stesso spirito portiamo avanti lo show Tutti per uno (su Canale 5). Siamo tre personalità diverse fuse nel pop lirico. Puntiamo alla leggerezza. E, di questi tempi, di leggerezza abbiamo tutti bisogno».
Gianluca: «Entrare artisticamente in America e cantare nella nostra lingua nativa è pensabile solo attraverso il “bel canto”. Altri artisti italiani hanno provato a sfondare negli Stati Uniti ma si sono dovuti, almeno in parte, adattare alla lingua inglese per essere più commerciali. Si sono “americanizzati”. Il segreto del Volo, credo sia mantenere una certa coerenza, a prescindere dai gusti. La nostra forza è quella di portare questo patrimonio culturale con la forza e gli occhi di un gruppo di giovani».
Ignazio: «Uno dei nostri ultimi brani, Capolavoro, lo definirei il 2.0 del pop lirico.Gianluca: Ecco, le tradizioni, sì, sono benvenute, ma non chiamateci “nostalgici”. Siamo da poco reduci di uno speciale PBS da Agrigento, dalla Valle dei Templi, con un repertorio che va da Nessun Dorma ad Astra, la nostra nuova canzone del nuovo album».
Piero: «Il “belcanto” è rispettato dagli americani. La melodia è più forte del senso del testo in italiano. Queste vibrazioni arrivano con tale potenza da permetterci un nono tour negli Stati Uniti. E stamattina nel programma tv Good day New York, su FOX 5, ci hanno chiesto di cantare in italiano la melodia del Gladiatore. Potevamo intonare le Pagine Gialle e la melodia sarebbe comunque arrivata al cuore. Non accadeva la stessa cosa ai tempi di Elvis Presley? I nostri genitori ballavano, dimenando i fianchi, pur non capendo le parole del Re del rock and roll».
Gianluca: «Il “bel canto” è uno stato d’animo universale. Intonare Nessun Dorma, la romanza per tenore della Turandot di Giacomo Puccini, è qualcosa di mistico. Un canto dall’altro mondo. È come ascoltare i mantra in sanscrito.Ignazio: Nei palazzetti eravamo soliti chiudere i concerti con Nessun dorma e sentivamo cantare tutti i ragazzi quasi fosse una hit. Bellissimo».
Avete esplorato New York? Lungo Mulberry Street c’è una installazione di luci con appese le strofe Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno.
Piero: «A Chinatown e nel Lower Manhattan andiamo tutte le volte che siamo qui in tour. Prima un burger da Au Cheval…».
Ignazio: «Perché fai quella faccia austera quando pronunci Au Cheval? (ride)».
Piero: «…e a pochi passi c’è la porticina di un pub dove si fa musica jazz. E da quella porticina, qualche volta, passano pure Woody Allen e la sua New Orleans Jazz Band».
Piero, New York tu la conoscerai meglio dei tuoi compagni d’avventura per via delle Half Marathons che hai fatto.
Piero: «Secondo una statistica, oggi è più facile entrare all’università di Harvard che iscriversi alla maratona di New York. Le richieste sono aumentate del 22%».
Ignazio: «Potresti fare la maratona di Berlino».
Piero: «Tra due anni sicuramente».
Riuscite a unire sport e disciplina nel canto?
Ignazio: «Io soprattutto. Da quando mi son sposato ho preso 20 chili».
Gianluca: «No, non scherzare».
Ignazio: «Per fortuna viviamo in un mondo che è sempre meno propenso al “body shaming”».
Gianluca: «Basta non dare troppa importanza al parere altrui».
Avete una routine? Come vi ricaricate?
Gianluca: «Abbiamo tutti e tre stili di vita completamente diversi. Ci ritagliamo del tempo per noi. Io trovo conforto nelle letture o in corsi fai da te. Sto studiando filosofia. Poi faccio meditazione tutti i giorni, circa 45 minuti. E palestra, tra una data e l’altra. Mens sana in corpore sano».
Ignazio: «Non bastano i libri e lo studio per avere una mente e un corpo sani? Che te ne fai degli allenamenti? Se mantieni la testa libera, il corpo diventa sano in automatico».
Gianluca: «Corpo e mente vanno allenati insieme».
Ignazio: «Ah tutti e due? Peccato. Sennò iniziavo a leggere anch’io».
Con quale sentimento canterete per la quinta volta a Radio City?
Piero: «Pur essendo il nono tour negli States, abbiamo fatti tutti e tre una constatazione. Ci stiamo finalmente godendo il momento. A trent’anni si vive con maggiore consapevolezza. Io, quella consapevolezza, penso di averla acquisita. Tre tour fa, prima del Covid, ci siamo esibiti a Radio City, ma ero così agitato e nervoso che il concerto è iniziato ed è terminato all’improvviso. Ho provato una sensazione di malinconia, da solo in camerino. Era come non esserci stato. Questa volta, non succederà.Ignazio: Il mestiere ormai lo abbiamo imparato. E non smetteremo mai di impararlo. Io dico sempre: levami tutto ma non il cantare. Altrimenti mi ammalo. Sarebbe come strappar via il cuore, la sorgente, l’Arc Reactor da Iron Man. Per me tutto è una sfida con me stesso, specialmente in luoghi così importanti».
Sedici anni di carriera. E di vita. Se ci pensate, siete una sorta di esperimento sociologico.
Ignazio: «Un esperimento che non si è mai più ripetuto. Da spettatori vi vediamo crescere come vedevamo maturare il ragazzino texano di Boyhood nel film di Richard Linklater o i gli attori-prodigio di Harry Potter: infanzia, pubertà, età adulta. Noi al concetto del “tempo” pensiamo tanto. Ne parliamo spesso tra noi».
State srotolando la vostra vita, e il vostro talento, di fronte ad una grande lente che penso vi sia amica.
Ignazio: «Quella “lente” non l’abbiamo mai vista come nemica. Abbiamo vissuto i primi anni di carriera con sana ingenuità. Oggi, non abbiamo più ingenuità ma genuinità. Io col tempo ho un vero e proprio dilemma a livelli “industriali”. Tipo, “Essere o non essere”. Vorrei che le giornate durassero mille ore per poter far tutto. Non mi spaventano gli anni. Ho la fobia del tempo a breve termine. Se mi sveglio a mezzogiorno già penso che ho perso la giornata; se mi sveglio presto cerco di recuperare e finisco per andare a letto alle 4 del mattino, e il ciclo si ripete. Rincorro il tempo. Un gioco perso».
Avete lavorato con alcuni “intoccabili”, da Barbra Streisand a Placido Domingo. C’è qualcosa di etico che vi hanno passato, anche involontariamente?
Ignazio: «Ci hanno insegnato il prendersi la responsabilità della propria vita e del proprio lavoro».
Gianluca: «E il rispetto per tutte le maestranze».
Siete come una mappa. Vi siete esibiti in location che generalmente non ospitano comuni mortali.
Piero: «Merito della melodia italiana che ci permette di arrivare in posti inaccessibili. A Kyoto, in Giappone, nel 2022 abbiamo avuto il privilegio di poter cantare per la prima volta – unici artisti farlo – alla inaugurazione della ristrutturazione del tempio buddista Kiyomizu-dera, uno dei più antichi, a strapiombo su una foresta. Un concerto fatto con l’orchestra “incastrata” tra le colonne di un tempio datato 778. Neppure alle nostre fantasie avremmo osato chiedere tanto. Forse è ciò che siamo e sempre saremo: tre semplici sognatori».
C’è una congruenza tra sogno e realtà.
Piero: «Ti è venuta un po’ la “r” americana, eh?».
Il mio ragazzo è americano. Mi sono “Sopranizzato”.
Gianluca: «E lui ha la “r” italiana, immagino».
Ignazio: «Di solito, chi bacia di più trasmette la “r”. Quindi vuol dire che t’ha baciato molto più lui».
La sua mamma, ad uno stadio di Alzheimer avanzato, fino a poco tempo reagiva solo con Grande amore. Sorrideva. La pelle rosacea, gli occhi lucidi.
Piero: «Mi vengono i brividi».
Ignazio: «Questo è amore. Noi siamo tre ragazzi comuni che hanno sempre cercato di cantare l’amore in tutte le sue sfumature, pur passando attraverso le nostre esperienze. La cosa bella dell’amore è che non ha uno standard. Non conosce generi o sessi. Non conosce razze. L’amore è tanto razionale quanto irrazionale. Tutti possiamo parlare d’amore e abbiamo il diritto di amare in modi diversi».
Gianluca: «Si vede che Ignazio è fresco di matrimonio».
Ignazio: «Ho sempre ricercato una famiglia. Una pietra sicura».
Che rapporto avete con la fede?
Gianluca: «Io non ho un rapporto forte. La tradizione del paese in cui siamo nati ha contribuito. Andavo a messa da piccolo con i miei fratelli e mia mamma a Roseto degli Abruzzi. La fede io continuo a cercarla. Nel dubbio e nel mistero trovo sempre una luce. Mi sono ribellato ad un indottrinamento puramente basato sul luogo di nascita. Andando in giro per il mondo da quando avevo quattordici anni, ho voluto cercare la mia verità e un mio cammino spirituale. Sono passato da L’anticristo di Nietzsche a Ludwig Feuerbach che alimentava la mia tesi: Dio è una proiezione dell’uomo. Ora sono ad un punto diverso delle mie ricerche: la mente è limitata, lo spirito è incomprensibile. La dottrina della Cabala parla di questo: attraverso i sensi possiamo percepire solo l’1%, il 99% non si può comprendere. Girando il mondo ho capito che la religione è la sacralizzazione della cultura. Tanto vale studiare le varie religioni e tirare noi le somme, d’istinto, non per imposizione. La mia è una ribellione al dogma, all’immobilità. Continuare a scavare può creare inquietudini, però, per me, è come una “chiamata”. Mi mantengo nel mezzo, senza scegliere, per il momento.Piero: Nel 2016 ci siamo esibiti a Panama davanti a Papa Francesco e nel 2022 alla Giornata Mondiale della Famiglia sempre con Papa Francesco. Qui stringiamo in mano il portachiavi del Chelsea Hotel con Leonard Cohen ma un giorno distribuiranno anche quello con Papa Francesco, ne sono sicuro.Ignazio: Papa Francesco in questi anni ha trasmesso a tutti una sicurezza e una stabilità della Chiesa e del Credo. Un’accessibilità rara. E lo ha fatto con molta tenerezza. Una figura meno “politica” rispetto a quelle più autorevoli di Wojty?a e Ratzinger. La fede vera, per me, va oltre le istituzioni. È il tuo rapporto con Dio che va preservato e nutrito. Tutto il resto è un tramite».
Ignazio ha parlato di sua sorella quasi come di una figura materna e della famiglia in sé come unica ancora di fiducia. A che punto siete con la fiducia? Siete in pace tra voi tre, con il vostro entourage, nella vita di tutti i giorni?
Ignazio: «Sì e no. Il dubbio ti porta al dialogo e al dibattito. Io dei tre sono quello che più mette dubbio su tutto e smaschera le cose che non vanno. Penso che non ci sia grande differenza tra un trio, composto da due tenori e un baritono, ed una azienda. In un’azienda, si deve parlare e ci si ascolta. Se dici una cazzata, dici una cazzata. Se dici una cazzata giusta, dici una cazzata giusta».
Piero: «Diciamo che Ignazio non ha lavorato tanto sulla diplomazia (ride). Ti dice le cose come la lama di un coltello. È giusto avere una figura come lui nel gruppo. Io e Gianluca, si sa, siamo due poli opposti. Ignazio, in mezzo, crea un terremoto di assestamento, e poi ci permette di allinearci. Noi ci confrontiamo su tutto».
Avete scritto due libri…
Ignazio: «Il primo non lo abbiamo scritto noi. Scusate se lo dico ma nel primo libro, un po’ per ragioni di marketing, abbiamo raccontato minchiate».
Piero: «Ma sì, ci sta, Ignazio».
Ignazio: «Il secondo, Quello che porto nel cuore, è introspettivo. Io ho diviso i miei capitoli con dei nomi, dalla Bilancia Spugnosa a La Maschera».
Piero: «Io nei miei capitoli ho descritto solo l’infanzia. Oggi, se devo essere sincero, sono meno propenso al parlare di me stesso, della mia vita privata. Mi piace raccontare gli artisti che siamo, non il privato. Ignazio: Io la penso diversamente. Mi metto in gioco. C’è chi vede l’artista di successo come un mito inarrivabile, invece io vorrei essere considerato uguale a tutti gli altri, quando la posta in gioco è condividere esperienze come depressione, attacchi di panico, ansia… Se mostro la mia fragilità, penso che chi mi segue penserà “cazzo, non sono solo”».
Piero: «Io mi tiro indietro perché viviamo nella “spettacolarizzazione del nulla”. Non c’è più privacy, e quindi sta scomparendo il mistero dietro l’artista. Che cosa resta della sua vita? Per non parlare della sua arte».
Gianluca: «Ognuno è libero di fare ciò che vuole. Noi non vogliamo essere giudici di niente. La musica è esposizione, anima e corpo. Capisco il bisogno di Piero di non pubblicare nulla di personale. Ci basta la musica. La vocazione dell’artista è comunicare e ispirare. E dato che parliamo del mistero dell’artista, menzioniamo di dovere Lucio Corsi».
Ignazio: «Vederlo infilare le patatine nelle spalline del vestito, infischiandosene della moda, mi ha fatto morire».
Gianluca: «Che artista meraviglioso».
Cosa vi attende?
Gianluca: «Proseguiamo il tour negli Stati Uniti fino a fine marzo. Dopo tre date in Canada ad inizio aprile, torniamo in Italia con Tutti per uno – Viaggio nel tempo, dopo il grande riscontro all’Arena di Verona. Lo show riprenderà a ottobre in America Latina per tornare in Europa tra novembre e dicembre nelle capitali».
Stanchi?
Piero-Ignazio-Gianluca: «(in coro) Sì».